Partito Democratico tre passi nel delirio

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    VIVO UN PD SE NE FA UN ALTRO il COMMENTO

    Il Pd è morto e se ne fa un altro. Che poi (la Chiesa insegna) vale anche il detto aggiornato, tipo: il Pd è ancora vivo (come il Papa) ma se ne fa un altro. La sinistra italiana non sa che fare ma lo fa. E i risultati si vedono. Si sono dimessi tutti, in blocco. E adesso per il Partito Democratico si aprono scenari di morte e forse resurrezione in altre sembianze. Quando nacque il Partito Democratico scrissi che si trattava di una “fusione a freddo”, con riferimento alla grande illusione nata dall’annuncio, nel 1989, di un esperimento nucleare appunto a freddo, che avrebbe risolto i problemi del nucleare così come lo conosciamo. Quell’illusione sfumò, l’esperimento annunciato come “riuscito”, in realtà non ebbe conferme positive. La “fusione a freddo” da cui nacque il Pd era tra l’ex sinistra Dc e gli ex del Pci. Saltando a piè pari la componente riformista per eccellenza della sinistra, il partito socialista. Situazione anomala, quella italiana. In ogni altra nazione i due poli erano entrambi “moderati” e si sono poi alternati al governo senza alcun problema (Germania, Francia, Spagna, Inghilterra…). In Italia l’anomalia è consistita nei due blocchi nati nel dopoguerra, quello “rivoluzionario” (a parole) comunista e quello democristiano, composito, unito dall’obiettivo di fare argine contro quella annunciata “rivoluzione”. Quando defagrano entrambi, per diverse cause contingenti (le cause scatenanti sono la classica goccia che fa traboccare il vaso), ma in sostanza per la caduta del colosso sovietico, sul campo restano solo macerie. Ma nella caduta si trascinano anche le forze mediane riformiste, che uscivano vincitrici nella storia (i socialisti con la caduta dell’illusione comunista, i liberali e repubblicani per la caduta del caravanserraglio democristiano). Sul perché i perdenti hanno trascinato nella sconftta i vincitori ci sono cause e concause che qui lasciamo perdere. Fatto sta che a quel punto mentre il Pci cambiava nome a raffca per darsi una nuova identità, nella Dc le correnti andavano ognuna per la sua strada. E la corrente di sinistra (“La Dc è un partito di centro che guarda a sinistra” aveva detto De Gasperi) faticosamente, con vari passaggi (Ppi e Margherita) approdò alla citata “fusione a freddo” per affrontare il “partito di plastica” berlusconiano che marciava dietro il suo condottiero e sembrava un’armata “innumerevole”. Ma, anche solo in due occasioni, come avrebbe detto Brecht, quell’armata, anche se era innumerevole “la si potè contare”. E qui era emerso il difetto congenito delle forze di sinistra nella loro storia: quello delle divisioni anche feroci, ognuna presunta detentrice di un disegno salvifco (in terra), non disponibile a “gradualismi” e quindi a compromessi con altre forze contigue, vissute sempre come concorrenziali, al punto da preferire la vittoria della destra, ricorrendo anche al “fuoco amico”, che appunto fece cadere Prodi per due volte. L’alleanza tra ex Dc ed ex Pci è (era) basata su un presunto riferimento elettorale comune. Ognuno si portava nella nuova casa i vecchi mobili, due cucine che sfornavano pasti diversi per la stessa spettabile clientela. Che nel frattempo era profondamente mutata, si era fatta “borghese”, presentava richieste di menu variegati che entrambe le cucine non erano attrezzate a dare. Lo si è visto con l’ingresso dei giovani, più o meno rampanti, quelli che della storia di Dc e Pci non avevano memoria e nemmeno volevano sentirsela raccontare. Il Pd aveva però la fortuna di avere un nemico. Un nemico tiene unito l’esercito. Ma abbattuto il nemico emergono le divisioni storiche. Il bello è che sono emerse a nemico vivo e pimpante. Bersani ha commesso errori a raffca, nell’evidenza di dover trovare alleati, ha prima rifutato le profferte di Berlusconi, si è umiliato inutilmente con i grillini che gli hanno risposto picche. Ma il suo fallimento nel tentare di fare un governo era passato quasi inosservato con l’avvento dell’elezione del Presidente della Repubblica. E qui Bersani ha cambiato alleato, si è messo con Berlusconi ma è stato impallinato dal “fuoco amico”. A quel punto era Grillo che gli offriva l’alleanza che Bersani aveva cercato inutilmente. L’ha rifutata, è andato per conto suo (con Prodi) ma anche da solo è stato impallinato dalla carica dei 101. Che il Pd a questo punto sia un partito da rifondare pare evidente. Magari ripartendo umilmente dai bisogni del territorio, perché per fare gli strateghi bisogna esserlo. E Bersani, direbbe Totò, modestamente non lo fu.

    LA CARICA DEI 101: il Pd è morto, anzi no

    Dalla bacheca facebook di Antonio Misiani, deputato bergamasco e tesoriere del PD, bersaniano doc. Giorgio Garofano: Il Pd nazionale è andato ad auto-distruggersi contro un muro. E con lui il centrosinistra. Bisogna ricostruire tutto da capo. E tocca a noi. Partendo da persone come Pippo Civati e Lucrezia Ricchiuti. Ci siete, amiche e amici? Galimberti Sem: Non voglio usare toni cattivi e maleducati, in momenti così diffcili. Ma, Antonio, azzeriamo tutta la classe dirigente, anche quella provinciale. E cominciamo a ricostruire, anche lentamente. Basta inciuci, siamo una forza di sinistra e abbiamo la nostra dignità e i nostri ideali. Non è obbligatorio governare a tutti i costi. Marcello Saponaro: Credo sia necessario vederci e parlarci, di persona, al più presto. I toni non hanno bisogno di essere amplifcati quanto FB invece sa fare. Troppo. E invece c’è bisogno di discutere e di guardare dentro di noi e nei nostri errori molto più di quanto ci sia bisogno di invocare la caccia strumentale ai 100 traditori che tanto non frmeranno mai la propria confessione. C’è bisogno di capire cosa serve al Paese e cosa deve essere il PD, se ancora vorremo parlare di Partito Democratico. Non è obbligatorio, è però auspicabile, a mio avviso. Per una volta facciamo in modo che il confronto parta da noi, da Bergamo, non dalle alleanze precostituite. Penso che Laura Rossoni dovrebbe convocare l’assemblea provinciale, se non l’ha già fatto. E penso che sia venuto il momento per il PD di diventare adulto, rompendo gli schemi del passato e costruendosi sulle idee, sui programmi e sulle strategie. La federazione Margherita-DS deve essere sepolta senza portar con se il PD, se possibile. Marisa Ausilio Amico: Il PD è MORTO, ciò che c’era di nuovo e di bello l’avete affossato e distrutto. Ormai è troppo tardi. La Carica dei 101 vi ha smascherati e il voto di SEL vi ha gettati nella fogna Sono Una che ha votato per le Primarie. Massimo Cortesi: Concordo con due piccole avvertenze: un incontro è propedeutico ma se vogliamo fare un Pd dobbiamo aprire tanti canali di comunicazione perchè se no saremo i soliti quattro con visioni distinte. Inoltre sarebbe il caso di evitare o di smentire situazioni come quella che vede persone nostre che già si mettono in moto per candidature in maniera autonoma che non danno il senso di un partito ma solo di un potere personale che si gioca poi all’interno di un partito Silvano Facheris: La più grande fgura di merda della storia dell’umanità vi è costata solo i due euri delle primarie. Un affarone. Tullio Domenighini: Racconta ai tuoi colleghi grandi elettori che in una battaglia, si segue il comandante in campo (Bersani) e non può essere che ciascuno abbia il suo personale nemico. Come militante democratico questa sera ho il cuore a pezzi per quanto è potuto succedere. Andrea Bonadei (assessore a Costa Volpino, sulla sua bacheca). Se il vento forte, le intemperie, il ghiaccio, i terremoti fanno sgretolare e smussano la cima di una montagna, questo non vuol dire che la montagna non esista più. A chi dice “Il PD è morto”, il “il PD non esiste più”… beh, io esisto ancora. I Circoli sono lì, pronti. Tanti militanti, nonostante tutto, costituiscono una base solidissima che, per quanto incazzata, non permetterà che gli errori di una classe dirigente compromettano per intero un progetto che abbiamo contribuito a fondare. #ilPDèvivo

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