Il PAPA che rimise la chiesa al passo dei tempi

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    10Mezzo secolo. Giovanni XXIII moriva il 3 giugno di cinquant’anni fa, in una sera che mescolava lacrime e pioggia. Si scrive troppo spesso che una nazione, anche solo un paese “piange” per la scomparsa di un compaesano. Quel giorno la gente piangeva davvero, credenti e non credenti. Papa Roncalli aveva ridato luce alla Chiesa, le sue parole a braccio ti tramortivano di speranza e fducia, le sue encicliche “sociali” restano nella storia, rivolte a “tutti gli uomini di buona volontà”. Il Papa bergamasco ebbe un ruolo internazionale anche politico, quando tra Stati Uniti e Unione Sovietica si arrivò a un soffo dalla guerra nucleare, con la crisi di Cuba. Fu chiamato il “Papa buono” ma è una defnizione riduttiva, magari popolare, ma del tutto inadeguata. L’11 aprile scorso ricorreva il 50° anniversario della “Pacem in terris”, un’enciclica che apriva la Chiesa al mondo così com’era, accettando il bene e indicando il male, senza anatemi. La Chiesa di Pio XII Per capire questa storia passata bisogna riportarsi al passato remoto, al papato di Pio XII, di una nobile famiglia romana, i Pacelli. Era nella continuità di una Chiesa chiusa al mondo, che combatteva le sue battaglie contro i “nemici” individuati nei movimenti nati alla fne dell’ottocento, socialisti, radicali e gli stessi liberali e poi, nel primo novecento, il nemico numero uno, il comunismo. La negazione di Dio, la religione “oppio dei popoli”, frasi ad effetto, cui contrapporre la dottrina, la fede, la tradizione. Il crollo del Papa-Re è stato digerito in poco meno di un secolo. E anche un certo smarrimento della capacità di lettura del nuovo, del fascismo più che del nazismo, Mussolini defnito “uomo della Provvidenza”. Il giovane Monsignore Roncalli nel 1924 di Mussolini scriveva: “Resto fedele al Partito Popolare ma per la posizione che occupo qui presso la Santa Sede non posso e non debbo pubblicamente pronunziarmi”. Ma la Chiesa a forza di starsene zitta favorisce gli eventi. Che precipitano. Sul futuro Duce Roncalli scrive: “Mussolini è certo una gran testa. Forse pensa anche che di essere padrone assoluto d’Italia e che tutto debba essere ai suoi piedi (…) Si può essere con lui in alcune cose e si deve essergli contrari in altre”. La Chiesa regnante gioca col fuoco: alle elezioni del ’24 il listone fascista elegge 356 parlamentari, il Partito Popolare 39, i socialisti 43 e i comunisti 17. Ma nel 1926, da Vescovo, nunzio in Bulgaria, da lontano gli sembra che la “gran testa” vada sostenuta: “Come si fa dire male di questo Governo che volere o no ha aiutato molto gli interessi religiosi?”. E nel 1934 riceverà anche le insegne di Grande Uffciale della Corona d’Italia “che il Re d’Italia su proposta di Mussolini mi ha conferito (…) Tutto sommato è meglio prendere di queste distinzioni che delle botte”. E poi sostiene, nelle lettere alla mamma, la campagna d’Africa, orgoglioso (da lontano) del proprio paese. Dov’è fnito il giovane segretario di Mons. Radini Tedeschi che accompagna il suo Vescovo Radini Tedeschi a far visita agli operai in sciopero nel bergamasco? Che la Chiesa abbia sottovalutato il fascismo, interpretato come “diga” contro il pericolo comunista, si può capire anche da queste posizioni di uno che non è certo contro la povera gente, lui “fglio del Battista della Colombera”. Finita la guerra Pio XII sembra voler riprendere da dove ci si era lasciati. Il Partito Popolare è diventato la Democrazia Cristiana e il 1948 è l’anno del giudizio universale, i cosacchi possono abbeverare davvero i cavalli in Piazza S. Pietro. La Chiesa si mobilita, i pulpiti sono predelle di comizio, le Madonne Pellegrine percorrono da cima a fondo l’Italia. La ieraticità di Papa Pacelli sembra un punto fermo. Ma i parroci, soldati sul campo delle battaglie quotidiane, sanno che il mondo sta cambiando, lo sforzo di risollevarsi dalla guerra e dalla miseria porta negli stabilimenti non più la manovalanza femminile, facilmente controllabile, ma milioni di giovani fgli di contadini, che nella città trovano risposte a domande che non si sono mai poste, la giustizia sociale, i ricchi e i poveri, chi sta con chi. E all’improvviso quel voltare le spalle del prete ai fedeli, lo stesso latino della liturgia, diventano una barriera molto più incomprensibile e datata di quella che si metteva a metà chiesa, per separare i maschi dalle femmine. La Chiesa predica nel vento. La Chiesa di Papa Giovanni E poi arrivò un martedì di fne ottobre, il 28 ottobre 1958. Fumata bianca. C’era nell’aria, ce lo aveva detto il nostro prof di latino, che il Card. Roncalli poteva essere nella rosa dei papabili. Magari era una previsione basata solo sull’orgoglio bergamasco, mai avuto un Papa di questa terra nella storia. Aula di terza media, silenzio di studio. Là in alto la cassetta dell’altoparlante che il vicerettore Don Giuseppe Cesani metteva in azione soprattutto la domenica, per le partite di calcio e poche altre volte. Sì, c’era stato anche un giorno in cui eravamo stati invitati a lasciare (“in ordine”) lo studio per scendere in cortile dove era arrivato in visita il Patriarca di Venezia. Ci eravamo affollati intorno a lui, cosa che non ci sognavamo di fare con Vescovo di Bergamo Mons. Giuseppe Piazzi che andava visto a debita distanza. Quando parlavano di quel cardinale di Santa Romana Chiesa, il sottoscritto Papa dal 1958 al 1963 avevo moti di orgoglio, da lui avevo avuto la “carezza” che mi aveva scosso il capelli, nel ’56, a Venezia, quando ci ero andato con lo zio Don Pietro Bonicelli e mezza Tavernola per l’ordinazione di Don Lucio Cristinelli. E quando sentii la sera dell’apertura del Concilio, il “discorso della luna” con quella frase “date una carezza ai bambini e dite questa è la carezza del Papa”, io che non ero più bambino ma ragazzo, quella carezza dissi di averla già avuta. La Chiesa di Papa Giovanni si apriva al mondo, lui da quella fnestra là in alto puntava al cuore di tutti, credenti o non credenti, trasudava umiltà, disponibilità, accoglienza, comprensione. Non cambiava la dottrina, cambiava il modo di comunicarla, non minacciava scomuniche, parlava a tutti e ascoltava. Nel 1962 si prospetta la possibilità addirittura della visita di Nikita Kruscev al Papa. Un avvenimento sconvolgente, il capo dell’Unione Sovietica comunista in S. Pietro? Altro che i “cosacchi” che abbeverano i cavalli alla fontana vaticana. A Papa Giovanni i curiali ricordano cosa fece Pio XI quando Hitler venne a Roma. Se ne andò a Castel Gandolfo per non incontrarlo. Papa Roncalli risponde: “Perché dovrei scappare? Se viene, resto a casa mia. Se chiede di vedermi lo ricevo. Ascolto quello che vuole dirmi e replico riaffermando che la Chiesa niente altro domanda se non di assolvere ai suoi doveri”. Basterebbe questa risposta per capire come stava cambiando la Chiesa: parla di “doveri” non di “poteri”. La profezia della nonna Con un Papa della propria terra, ognuno rivendica ricordi in esclusiva. Di Roncalli ho sentito parlare fn da piccolo, quando era ancora Nunzio Apostolico in Francia e non era ancora cardinale. Alla zia Rina, con lo zio Don Pierì che ascoltava sorridendo, bastava dare il “la” e partiva il tormentone di quella profezia di mia nonna. Perché da giovane monsignore Don Angelo Roncalli veniva in villeggiatura a Vilminore, ospite in casa dei miei nonni, Ernesto Bonicelli e Bona Albrici, negli anni ’20. E la mattina presto sotto le fnestre di casa, ai piedi della grande scalinata della chiesa, si faceva la gara degli aspiranti chierichetti. Don Angelo celebrava la “messa delle otto”. Allora i “serviéncc”, i chierichetti, ricevevano una piccola mancia. Che era di dieci centesimi. Don Angelo dava invece “quattro palanche”, vale a dire venti centesimi. E così la gara era a chi arrivava per primo, mio padre Nardo, mio zio Angioletto, il Roberto, l’Andrea, ol Patancia. Dopo la Messa don Angelo faceva escursioni nei dintorni, andava per sentieri e tornava a “casa” per il desinare, spesso con le scarpe infangate. Toccava alle fglie, la Ita e la Rina, pulirle. E queste brontolavano perché a volte quelle scarpe erano in condizioni pietose e toccava raschiare il fango e lucidarle con “olio di gomito”. Fu così che la nonna Bona, un giorno, sentendo le due fglie lamentarsi, troncò le lamentazioni con la frase: “Piantatela che Don Angelo un giorno sarà vescovo, cardinale e forse… a Papa”. La nonna non fece in tempo a vedersi avverare tutta la profezia. Morì a Tavernola (dove aveva seguito il fglio prete) il 18 aprile 1944, quando il Vescovo Roncalli era a Istanbul. Ma da lì in poi in casa Bonicelli quella profezia divenne una sorta di tormentone, coronato dal suo avverarsi nel 1958. Roncalli a Vilminore Ma come era arrivato il giovane Don Angelo a Vilminore? Nel 1918, fnito il servizio militare come Cappellano dell’ospedale di Bergamo, Roncalli fonda la Casa dello Studente in Via San Salvatore di città alta e il 10 dicembre viene nominato Direttore spirituale del Seminario di Bergamo. Ha il preciso incarico di accogliere e indirizzare al meglio i giovani chierici reduci dalla grande guerra e in crisi dopo gli orrori che avevano visto e vissuto. Tra questi c’era un tenente dei Lupi di Toscana, Pietro Bonicelli che negli anni seguenti sarebbe poi diventato prete, vicedirettore del Collegio Angelo Maj di Clusone, curato per cinque anni a Calolziocorte e prevosto di Tavernola per 27 anni, fno alla morte (29 ottobre 1959). Tra loro c’erano 13 anni di differenza. Don Angelo diventa padre spirituale del giovane chierico Bonicelli, reduce di guerra e in crisi al punto da pensare di abbandonare la tonaca. Il 29 ottobre 1958 il prevosto Bonicelli scriveva nel suo diario: “E la persona del nuovo capo visibile? E’ una persona di mia conoscenza, un amico, quello che mi aiutò a spegolarmi dai resti lasciati in me da un lungo tempo passato sotto le armi: lo ebbi come professore in liceo e come Rettore alla casa studente poi lo ebbi ospite in casa, poi le ebbi sempre per amico e professore: ora è vicario di Gesù Cristo”. Don Angelo Roncalli fu a Vilminore a passare l’estate in casa Bonicelli dal 1921 al 1924. Ne restano tracce nel “libro delle Messe” e nel Chronicon che teneva l’arciprete Bettoni. Dopo il disastro della diga del Gleno (1 dicembre 1923), ricevendo due prelati arrivati in valle per verifcare le condizioni della gente dopo la sciagura scrive che “è una fortuna” avere in paese Don Angelo (corretto a penna in “Monsignor”) “che sa come ci si deve comportare”. Vilminore, come il resto d’Italia, era stato falcidiato, oltre dalla guerra, anche dalla terribile “spagnola”: “Vilminore sembra un deserto” annota l’arciprete Bettoni. Il 19 marzo 1925 Roncalli viene consacrato Vescovo. Il 30 giugno scrive da Sofa alle sorelle: “La temperatura qui a Sofa è buonissima come in montagna a Vilminore”. Il 19 settembre 1929 muore Ernesto Bonicelli e Mons. Roncalli scrive dalla Bulgaria una lunghissima lettera di condoglianze a Don Pietro Bonicelli, allora Curato a Calolziocorte: “(…) Comprendo bene che la dipartita del tuo degno papà renda più necessaria ed utile la tua assistenza alla tua venerata mamma, ai tuoi più giovani fratelli”. (Don Pietro era il secondogenito di 17 tra fratelli e sorelle. Il primo, anche lui di nome Pietro, era morto appena nato – n.d.r.). “(…) Quando avrai occasione di scrivere alla tua buona mamma ed ai tuoi, di’ loro che li ricordo sempre, che li benedico, e che se avrò ancora il piacere di rivedere Vilminore, non mancherò di far loro una visita (…)”. Nel 1948 in effetti potrà tornare a Vilminore, in occasione del Congresso Eucaristico di plaga. Roncalli e Tavernola Il rapporto di amicizia con Don Pierì (Don Pietro Bonicelli: Vilminore 22 ottobre 1894 – Tavernola 29 ottobre 1959) prosegue a Tavernola dove Don Pietro Bonicelli diventa parroco il 2 ottobre 1932, succedendo a Don Francesco Cavagna coinvolto suo malgrado nel rapporto di forza tra operai e proprietari del cementifcio. Don Pierì (Roncalli lo chiamava Don Pierino, ma lui non gradiva) arriva a Tavernola in un clima di rifuto del cambiamento del prevosto. Nessuna accoglienza festosa, anzi. Il nuovo parroco fa il suo ingresso il 17 ottobre 1932 con una “solenne” cerimonia nella chiesa deserta, solo con i parroci del vicariato e i preti amici. Arriva il momento dell’omelia e i confratelli pensano la salti, in chiesa, a parte i preti, non c’è anima viva. Don Pierì sale sul pulpito e comincia imperterrito la sua omelia. E a un certo punto entra, dal fondo della chiesa, una vecchietta. Vedendo tutti quei preti e nessuno tra i banchi, quel prete sul pulpito che parla ai banchi vuoti, la donna si fa il segno della croce come per scacciare il diavolo e si precipita fuori. I tavernolesi impiegarono un anno per accettare il nuovo parroco e l’ingresso solenne glielo fecero il 22 luglio 1933. Il Vescovo Roncalli arrivava a Tavernola in visite private e teneva una relazione epistolare con l’ex alunno e amico. La “stanza del Vescovo” era riservata alle sue visite, aveva un piccolo studio-anticamera e sul lettone c’era la “coperta di rose” di mamma Bona, creata apposta per quello che sarebbe diventato “cardinale e forse a Papa”. Nonna (mia) Bona morirà il 18 aprile 1944. Ci fu anche un “incidente diplomatico”. Il 14 novembre 1955 di inaugurava un nuovo impianto alla “cementifera”. Don Pierì aveva invitato il Card. Roncalli a benedire e inaugurare l’impianto e Roncalli aveva fatto sapere che sarebbe venuto volentieri. Quando lo venne a sapere il Vescovo di Bergamo, Mons. Giuseppe Piazzi, fece sapere al prevosto di Tavernola che la presenza di Roncalli non gli era gradita, dicendo che il “titolare” era lui e a lui toccava la benedizione dell’impianto. Don Pierì comunicò al Cardinale la presa di posizione e lui abbozzò. Tra Mons. Piazzi e Papa Roncalli i rapporti non furono cordiali, anche per la costruzione del nuovo Seminario di Bergamo, mentre Piazzi era per costruirlo ex novo fuori dalle mura, Papa Giovanni insistette per il Colle S. Giovanni e affdò tutta l’opera al Card. Gustavo Testa, bergamasco. Due anni dopo Tavernola, il 17 giugno 1956, “riparò” al torto fatto, a sua insaputa, al Cardinale, andando in massa a Venezia per l’ordinazione di Don Aldo Lucio Cristinelli, prete tavernolese trapiantato in laguna.

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