I BERGAMASCHI CHE HANNO FATTO L’ITALIA

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    I BERGAMASCHI CHE HANNO FATTO L’ITALIA Da Lovere, Albino, Sarnico, Clusone, Trescore, Adrara, Chiuduno, Pradalunga…

    Un garibaldino in convento e altre storie Fra documenti, storie, pezzi di vita, c’è anche quella di Antonio Pievani detto anche Teodosio da Tirano, nato proprio a Tirano (Sondrio) il 19 settembre 1837, dottore in matematica, con una passione per il… Vangelo. Infatti tra una battaglia e l’altra si metteva a spiegare il vangelo ai suoi compagni di avventura. Antonio alla fne di tutto si ritirò nel convento di Lovere, nel convento dei frati Cappuccini e lì è morto il 6 gennaio del 1880. Del suo passaggio a Lovere i frati conservano ricordi e cronistoria nella biblioteca centrale della Provincia, che nel caso dei frati è a Milano. Antonio cambiò proprio nome in Fra Teodosio da Tirano una volta entrato in convento. Antonio, che aveva già pensato di farsi frate, poi però prese le armi e si aggregò coi garibaldini, ma alla fne della spedizione entrò nei francescani per andare missionario nel mondo barbaro. E invece, tradito dalla salute, si ritirò nel convento di Lovere, dove morì nel 1880 in una cella del convento del lago d’Iseo, non un lago qualunque per i garibaldini, visto che sulle sue rive erano nati quattro compagni suoi nei Mille, Arcangeli Zebo, Gian Maria Archetti, Carlo Bonardi e Giuseppe Volpi. Bonardi e Volpi erano amicissimi di Antonio. Il Volpi del Sebino Giuseppe Volpi è uno dei Mille che arriva da Lovere (per l’esattezza Giuseppe Gian Bettino Volpi) è nato infatti a Lovere il 4 ottobre 1843 da Eugenio ed Elisabetta Grassi (morì all’Ospedale di Brescia il 30 agosto 1866). Lovere terra di volontari, da lì era partito Enrico Branzolini per difendere Venezia nel 1849, e in seguito tutta una schiera di volontari nelle varie campagne garibaldine. E addirittura Garibaldi nel 1859 tenne a Lovere per qualche tempo il suo Quartier Generale. E al Ginnasio (ora intitolato a Decio Celeri, umanista e scienziato loverese del XVII secolo) era iscritto Giuseppe Volpi dall’anno scolastico 1853-54 al 1856-57, e si distingue, come si legge nei registri della scuola, ‘per attenzione intensa, per distinto progresso ed ottima condotta oltre che per intelligenza pronta ed aperta’. Nell’archivio di Stato di Torino si parla a lungo di Volpi: “Il suo ritratto ce lo raffgura bello ed ardito, col capo eretto in cui s’aprono due grandi occhi luminosi e pensosi sotto la fronte ampia, incorniciata dai folti e ricci capelli neri. Il naso ha una linea decisa e forte in armonia coi lineamenti energici, diluito il viso. La bocca è piccola e ben disegnata sul mento volitivo. Aveva da poco lasciato gli studi quando fuggì da casa per correre a Genova col Nullo. Fu uno di quei molti adolescenti che riuscirono, attraverso una severa scelta, ad essere ammessi alla spedizione che salpò da Quarto la storica sera del 5 maggio 1860. Il poderoso manipolo di Bergamaschi formò l’8ª Compagnia, con Francesco Cucchi per furiere. Il Nostro appartenne, però, alla 6ª Compagnia, 2ª Squadra. I veri prodi agiscono con piena dedizione di sé, ma non amano parlare delle proprie imprese. Cosi poco sappiamo in particolare di quanto il Volpi operò da Quarto al Volturno. Ci piace immaginarlo, con molta probabilità di non essere lontani dal vero, all’assalto di Palermo, a Porta Termini, come si legge ne l’Abba, il manoscritto che racchiude la storia dei Mille: ‘Francesco Nullo era già dentro con una mano di Bergamaschi, balzato di là dalla barricata col suo cavallo poderoso tra i regi fuggenti’, oppure al Volturno col suo conterraneo Baroni, nella battaglia campale sanguinosa del 1° ottobre 1860 ‘delle tre Compagnie Boldrini, soltanto una ventina di uomini col tenente Baroni di Lovere, ferito nel capo, si unirono alla sera a Menotti e servirono a riformare il Battaglione…’. Certo si distinse per valore e disciplina se l’ Abba, nella sua mirabile e schietta storia della spedizione, lo cita associando il ricordo del commilitone a quello del lago nativo: ‘Volpi del Sebino’. Se inoltre Menotti Gabriele nel settembre 1887 scriveva in una lettera conservata nel Museo del Risorgimento, presso l’Accademia Tadini in Lovere: ‘Non mi è possibile accettarlo (si riferisce all’invito rivoltogli dal Presidente della Società Operaia, sig. Battista Zitti, altro garibaldino fervidissimo) ma debbo esprimere a Lei e al Comitato tutta la mia gratitudine per l’invito all’inaugurazione del Monumento che Lovere innalza alla Memoria dell’uomo che ebbi la fortuna d’avere per padre. Alla patriottica Lovere tutta la mia riconoscenza, colla sua bellissima popolazione che nelle lotte per l’indipendenza diede larga parte di sé coi migliori dei suoi fgli. Ricordo con affetto tre compagni nei Mille, tra i quali il Volpi, caduto poi eroicamente a Monte Suello…’. Sciolto il Corpo dei Volontari, il Volpi, fedele alla camicia rossa, ritornò, modesto ma ardente e pronto ai nuovi cimenti che si preparavano, al suo paese, ai suoi”. Ecco alcune scarne, ma signifcative note relative al suo stato di servizio: 12 giugno 1860: caporale della 2ª Squadra, 2ª Compagnia, 5° Battaglione (Cossovich), 2ª Brigata, 15ª Divisione fno all’8 luglio; 13 settembre 1860: sergente al 1° Battaglione, 2° Reggimento, 2ª Brigata, 15ª Divisione; 4 dicembre 1860: congedato a Caserta. Pare partecipasse ai cosiddetti “fatti di Sarnico” (maggio 1862). Nel 1864 risultava domiciliato a Milano. Nel 1866 tornati i tempi dei puri entusiasmi, eccolo di nuovo tra le fle dei fedeli di Garibaldi “sotto il suo primo capitano, nella 10ª Compagnia del 1º Reggimento contentandosi modestamente del grado di sergente”. Il D’Ayala, nelle “Vite degli Italiani benemeriti della libertà e della Patria, morti combattendo”, cosi ne ricordò la fne gloriosa: ‘All’inizio della campagna delle Giudicane, quando i volontari volavano già coi cuori a Trento, ‘nello scontro sanguinoso del 3 luglio a Monte Suello, toccò grave ferita alla coscia sinistra. Sopportò con animo veramente gagliardo l’amputazione, ma il 30 agosto successivo nell’Ospedale di Brescia dovette soccombere non ostante le intelligenti e affettuose cure del dottor cavalier Rodolfo Rodolf, a soli 23 anni!”.

    Il primo Arcangeli di Sarnico Febo Arcangeli arriva invece da Sarnico (Parrocchia di San Martino), (3 gennaio 1839 e morto a Genova il 7 dicembre 1906). Arruolatesi nei Cacciatori delle Alpi, fece la Campagna del 1859 e fu decorato con la medaglia commemorativa francese e italiana. Partito coi Mille da Quarto, ebbe durante la campagna di Sicilia la nomina a sergente a Palermo e a sottotenente della IV Compagnia – II Battaglione – II Reggimento – II Brigata della Divisione Turr. Dal grado poi volontariamente si dimise dopo l’incontro di Teano. Fu decorato con la Medaglia dei Mille del Senato di Palermo Il 21 aprile 1863 parte per raggiungere Francesco Nullo nell’impresa di Polonia Il 5 maggio 1863, decide di andare in una foresta a visitare il commilitone Marchetti ferito; ma, sorpreso con gli altri dai Russi, poco prima della morte di Francesco Nullo, viene ferito a un ginocchio, ma un suo compagno, Luigi Caroli, gli cede il proprio cavallo e cerca di portarlo in salvo. Con altri prigionieri feriti è ricoverato all’ospedale di Olkusz, dove rimane, non potendo reggersi in piedi, anche dopo la partenza dei compagni. Di là scrisse che le sue ferite si rimarginavano e che veniva trattato bene. Di questa sua permanenza ad Olkusz la fglia Glauca racconta un commovente episodio: “Mia nonna Luigia Foschetti, saputo che il fglio creduto morto era soltanto ferito all’ospedale, ottenuto con preghiere il lasciapassare, fra stenti e pericoli si recò in Russia al capezzale dell’unico fglio diletto. Tornata in patria, un po’ per lo strapazzo, ma soprattutto per il dolore della sorte toccata al fglio, si spense, e il povero esule al suo ritorno non trovò più la madre adorata”. Dal Tribunale di guerra russo è condannato a morte; ma la condanna gli è commutata in 12 anni di deportazione in Siberia. Parte scortato da Cosacchi, il 3 luglio 1863 dalla fortezza di Czenstochow per la Siberia. Ma nel novembre 1866 arriva l’amnistia e ritorna in Italia, dove diventa vicedirettore della cartiera A. Binda di Vaprio d’Adda. Si trasferisce poi a Genova con la moglie Anna Galli di Canonica d’Adda e le fglie Glauca ed Itala, per lavorare come usciere nell’Avvocatura Erariale e a Genova muore a 68 anni. Un altro Arcangeli da Sarnico Anche Isacco Arcangeli arriva da Sarnico, ma non è parente di Febo. Nasce il 9 settembre 1838 per poi morire a Grumello del Monte il 13 dicembre 1917. Nel 1852 era studente di 2° grammatica al Ginnasio-Liceo. Partito nel 1860 ventiduenne, con i Cairoli, da Pavia dove frequentava l’Università, e con altri sei compagni bergamaschi, pure studenti a Pavia (Luigi Agazzi, Giuseppe Bresciani , Ferdinando Cadei, Giuseppe Ghislotti, Agostino Pasquinelli , Carlo Scotti ), arrivò a Quarto il 5 maggio 1860, e a Talamone fu assegnato alla 7° Compagnia dei Mille, comandata da Benedetto Cairoli. Subito dopo la resa di Palermo, fu nominato tenente. Nello stesso anno 1860 (dicembre) si laurea in chimica-farmaceutica, a Napoli. Torna poi in Sicilia, a Palermo, dove sposa Margherita Monti, il 28 aprile 1862. Nel 1864 ritorna a Sarnico, e si trasferisce poi a Grumello del Monte nel 1881, dove apre una farmacia propria. Dal matrimonio di Isacco e Margherita nascono dodici fgli (7 maschi e 5 femmine). Il 31 marzo 1892 si sposa una seconda volta con Carola Baldelli, e nascono altri quattro fgli (1 maschio e 3 femmine). Arrivano per lui medaglie commemorative, la pensione dei Mille (legge 22 gennaio 1865) e altre onorifcenze. La sua spada si trova nel Museo di Lovere; tutte le medaglie e i documenti delle cittadinanze onorarie si trovano nel Museo di Bergamo. A Grumello venne intitolata al suo nome un’aula delle scuole elementari. Un luogotenente da Adrara S. Martino Pietro Giuseppe Bresciani arriva invece da Adrara S. Martino dove è nato il 23 novembre 1836 ed è morto il 9 settembre 1907. Nel 1856 supera l’esame di licenza al Liceo e si iscrive all’università. Prima ancora di entrare nei Mille, emigra in Piemonte, elude la sorveglianza della polizia austriaca e si arruola come soldato volontario, partecipando alla campagna del 1859, nel 1° Reggimento Granatieri di Sardegna, dove entra il 23 marzo 1859, per essere congedato il 24 novembre 1859. Torna agli studi a Pavia ma se ne va presto, il ‘richiamo’ dei Mille è forte e si unisce ad altri cinque bergamaschi, sotto la guida dei Cairoli entrando a far parte della 7° Compagnia. Sbarca così a Marsala nel maggio 1860 e raggiunto, attraverso ai gradi di sergente e di sottotenente (11 giugno 1860), il grado di luogotenente nella 1° Compagnia, 1° Battaglione, 1° Reggimento, V Brigata, 15° Divisione il 1° ottobre con anzianità, partecipa a tutta la campagna del 1860. A Calatafmi viene ferito. Alla fne della campagna rimane nell’Esercito regolare, partecipa al Corso volontari italiani, nel quale gli è confermato – 21 luglio 1861 – il grado di luogotenente e entra nell’Esercito italiano – 27 marzo 1862 – sino al 5 ottobre 1862, quando viene rimosso dal grado e dall’impiego in seguito a parere del Consiglio di disciplina. Torna ad Adrara e diventa notaio, e accetta altre cariche pubbliche, tutte nel suo paese e nella sua Adrara muore nel 1907. Il Maggiore Comi da Trescore Cesare Comi nasce invece in Val Cavallina, a Trescore Balneario l’11 marzo 1844 e lì muore il 24 aprile del 1900. Suo padre era un medico molto conosciuto a quei tempi, Giovanni Comi, medico di guerra, e proprio a suo padre nel 1862 a Trescore Garibaldi donò un revolver e la sua fotografa, e che nel 1866 seguì l’esercito garibaldino come medico di campo (aveva già 63 anni). Cesare invece si arruolò per la spedizione in Sicilia e sbarcò con l’8° “Compagnia di ferro” dopo essersi distinto da Calatafmi a Palermo, il 24 luglio fu assegnato caporale al 1° Reggimento (2° Brigata della 15° Divisione) con il grado di sergente. Dopo alcuni scontri a fuoco fu promosso sottotenente il 29 ottobre e gli fu decretata la menzione onorevole al valor militare. Passò nel Corpo dei Volontari e il 18 maggio 1861 fu comandato al deposito dei sottotenenti in Ivrea, dal quale, nel marzo 1862, passò al 30° Reggimento Fanteria, col quale partecipò alla guerra del 1866. Con l’unità d’Italia arriva la promozione a tenente (25 settembre 1870) e quella a capitano il 30 ottobre 1880. Dopo 34 anni di servizio nell’esercito passa alla Riserva col grado di Maggiore il 21 novembre 1894 Rientra a casa e sposa Lucia Fertili, subito dopo muore il padre, ormai 82 enne, Cesare segue le sue orme in paese, diventa Presidente dell’Asilo infantile, delle Scuole comunali, delle Carceri, del Tiro a Segno, Assessore anziano, Membro del Consiglio Ospitaliere. Rimane amico di Garibaldi e nel Municipio di Trescore c’è un quadro che raffgura Cesare e Garibaldi. Il fedelissimo Cristofoli da Clusone Giacomo Cristofoli è invece di Clusone dove nasce il 25 febbraio 1842, morirà a Bergamo il 29 marzo 1898. A dieci anni, nel 1852, era iscritto alla prima grammatica del Liceo-Ginnasio. Appena diciassettenne se ne va in Piemonte e si arruola a Savigliano nei Cacciatori delle Alpi coi quali fece tutta la campagna del 1859. Partecipa alla Spedizione dei Mille con l’8° “Compagnia di ferro” dei Bergamaschi. Diventa sergente furiere nella 1° Compagnia, 2° Battaglione, 2° Reggimento, 2° Brigata della 15° Divisione. Era considerato uno dei fedelissimi di Garibaldi, che seguì anche nella dolorosa campagna all’Aspromonte. Fu uno degli organizzatori della spedizione in Polonia. Il 5 maggio 1863 nella sfortunata battaglia di Krzykawka, in Russia, dove morì Francesco Nullo, insieme con Paolo Mazzoleni, porta in salvo Elia Marchetti. Riesce a fuggire dalla Russia grazie a due moscoviti mandati dal medico che curava Elia Marchetti e riesce così ad evitare la deportazione in Siberia, ma viene poi arrestato dagli austriaci. Ottiene però di essere messo nella stessa prigione con altri garibaldini. Con l’amnistia viene rimpatriato nel 1865, Giacomo segue nuovamente Garibaldi, nel 1866, distinguendosi in parecchi scontri di quella campagna. Poi torna a casa, era ragioniere e possidente e comincia a curare i propri affari. Nel 1885 partecipa alla celebrazione venticinquennale della presa di Palermo, e il 14 agosto 1886 sposa Maria Manighetti, con la quale fa sei fgli. Clusone gli ha dedicato una via. Il mantello di Piccinini da Pradalunga Daniele Piccinini nasce invece a Pradalunga il 3 giugno 1830, la sua era una famiglia borghese, frequentò il Ginnasio di Bergamo (l’attuale Sarpi) e poi continuò gli studi a Pavia. Ma il suo temperamento un po’ troppo… patriottico gli costò l’espulsione dagli Istituti dell’ ‘Imperial Regio Governo Austriaco’ per essersi rifutato di cantare in una ricorrenza solenne l’inno uffciale: ‘Dio salvi l’imperatore’. Torna a casa, rifuta di lavorare nell’azienda del padre e trova lavoro come garzone. Nel 1848, a 18 anni, si arruola e diventa uno dei fedelissimi di Garibaldi. Partecipò alle battaglie di Varese, San Fermo, Seriale e Treponti. Con Garibaldi entrò in Bergamo. Il 27 maggio, durante la dura e vittoriosa battaglia di San Fermo, alle porte di Como, rimase ferito. Viene congedato come sergente ma intanto aspetta una chiamata, l’Italia non era ancora unita e la chiamata arriva da Garibaldi. Corse a Bergamo e fu tra gli organizzatori dei volontari che portarono all’Unità d’Italia. Famosissimo l’episodio, citato dagli storici della spedizione e che racconta il gesto di Daniele che, “vedendo Garibaldi esporsi in mezzo all’infuriare del fuoco con suprema indifferenza, gli si fece innanzi e coprendolo col suo ampio torace, quasi in tono di rimprovero gli disse: a Generale, la camicia rossa vi espone maggiormente ai tiri nemici, e ciò non va bene e gli gettò sulle spalle un suo ampio mantello di incerata per coprire il rosso troppo pericoloso della gloriosa camicia”. Daniele viene promosso sul campo uffciale. Durante le battaglie in Sicilia rimane ferito e l’ospedale dove era ricoverato viene bombardato dai Borboni ma riesce a salvarsi. Diventa uno dei punti fermi dei Mille e partecipa a tutte le spedizioni successive. Il cugino Piccinini da Albino Enrico Piccinini è invece di Albino dove nasce il 16 maggio 1831, morirà a Valtesse il 23 agosto 1895. Cugino, di Daniele Piccinini, fu tra i primi ad arruolarsi per la Spedizione dei Mille, che seguì in tutte le sue fasi con l’8ª “Compagnia di ferro” dei Bergamaschi. Dopo Calatafmi ebbe il grado di caporale. A Palermo, rimase ferito. Si medicò alla meglio e tornò a combattere. A causa delle fatiche di guerra e delle marce di avvicinamento a Palermo gli si gonfarono per varici i piedi e le gambe. Il cugino Daniele Piccinini in una lettera al padre del 20 giugno 1860 scrive: “Dell’Enrico riceverai una altra mia lettera. Egli ritorna a casa perché inabile al servizio militare…”. Torna al suo paese, riceve le medaglie commemorative e la pensione dei Mille con la legge 22 giugno 1865. Si sposa con Adelaide Balotti di Milano, con la quale ha cinque fgli, nel 1866 sì trasferisce con la famiglia a Valtesse dove muore nel 1895. Poletti da Albino, scudo di Garibaldi Giovanni Battista Poletti nasce invece ad Albino il 22 novembre del 1840 da Giovan Battista e Pierina Caminetti e muore ad Aragona (Agrigento) il 17 marzo 1893. Con Garibaldi già nel 1859 come volontario nel 3° Cacciatori delle Alpi (12 giugno 1859); congedato il 6 settembre stesso anno con medaglia francese di quella campagna, l’anno seguente è fra i Mille nello storico sbarco di Marsala. Viene nominato sergente; poi, con Decreto Dittatoriale del 29 ottobre 1860, sottotenente. A Calatafmi fa da scudo a Garibaldi e viene ferito in faccia con colpi di mitraglia. Confermato nel grado nel Corpo Volontari Italiani, (dal marzo 1862) passa nel 12° Reggimento Fanteria e combatte nella campagna del 1866. Nel 1867 è ad Albino, in aspettativa. Poi si trasferisce ad Aragona (Provincia di Agrigento) per motivi di lavoro, era sottocapostazione prima a Siracusa e poi a Girgenti. Per una malattia diventò cieco e morì in ospedale, sui documenti archiviati a Torino si legge “visse miseramente e morì pover

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