Agosto 2020 – Nembro – Piero Pulcini: 5 mesi di ospedale e 50 giorni di terapia intensiva: “Sono tornato dall’altro mondo”

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Una ‘via crucis’ lunga cinque mesi, scandita da numeri che probabilmente ne fanno un record nel suo genere: 7 giorni di febbre a 40, 50 giorni di terapia intensiva, 151 giorni senza poter vedere nessuno dei suoi famigliari, 25 chilogrammi persi (da 83 a 58), 2 mesi di riabilitazione per recuperare le funzioni fondamentali come il linguaggio, la deglutizione, il senso dell’equilibrio… La cruda realtà delle cifre non basta però a raccontare tutta la drammaticità della vicenda vissuta da Piero Pulcini, architetto, 64 anni, tornato a casa il 28 luglio scorso ed accolto dall’abbraccio corale non solo dei suoi Cari ma di tutti i vicini e degli amici del CAI: la via parata a festa con palloncini d’ogni colore, grandi striscioni di ‘bentornato’, musica e canti di saluto: “Mi sono profondamente commosso per questa dimostrazione di affetto – dice Pulcini – una bellissima festa; ma ciò che più mi ha emozionato è stato il pianto dirotto di mia mamma Virginia, che ha 93 anni: lacrime di gioia che per un momento hanno come cancellato i mesi di dolore e di sofferenza, ancora adesso il solo pensiero di questa donna forte che mi abbraccia stretto e mi inonda di lacrime di felicità mi fa accapponare la pelle”. Il tributo di ansia e di sofferenza è stato pagato pesantemente soprattutto dai famigliari dell’architetto: la moglie Serenella Foresti, i figli Vanessa, che abita nella stessa casa del padre con la sua famiglia, e il figlio Mauro, che vive e lavora a Barcellona ma che è tornato apposta per abbracciare il padre finalmente uscito dal tunnel del Covid-19. “Dopo il Covid-19 papà è stato colpito da altre patologie perché il virus aveva deteriorato altri organi vitali oltre i polmoni – spiega la figlia Vanessa – Diciamo che si è salvato proprio per il rotto della cuffia perché aveva in fisico forte ed allenato ed un atteggiamento positivo nonostante tutto. Anche adesso, a casa, si impegna molto negli esercizi, lui vorrebbe recuperare in fretta, ma è ancora debole e si stanca facilmente”. La via crucis di Pulcini comincia a metà febbraio scorso: febbre a 40 ma i medici, considerato che non ha problemi di respirazione, gli dicono di stare a letto e di curarsi con la Tachipirina. Però dopo 8 giorni le cose non migliorano e, dietro le reiterate insistenze dei famigliari, viene ricoverato: “A Seriate mi sembrò di entrare nella scena di un film, l’ospedale era un’infermeria di guerra, con i malati che riempivano anche i corridoi…Non c’era più posto per nessuno e le persone mi morivano accanto come mosche, insomma uno spettacolo devastante anche dal punto di vista psicologico”. Il giorno dopo arriva la crisi respiratoria: Pulcini viene trasferito all’ospedale di Varese, subisce una tracheotomia e viene intubato: “Praticamente ero in coma, in terapia intensiva ci sono stato 50 giorni, sottoposto più volte anche alla dialisi ed a trasfusioni di sangue. Per fortuna di questo periodo mi rimangono pochi ricordi perché non ne avevo coscienza, ma per i miei Cari il calvario è stato quotidiano: ogni giorno appesi al telefono, sempre col terrore che arrivasse loro la notizia peggiore…Ovviamente venivo alimentato artificialmente, avevo perso l’uso della parola e la capacità di deglutire, ho ripreso a mangiare solo nell’ultimo mese della riabilitazione a Trescore, riabilitazione che ha comportato anche lunghe sedute di logopedia per riconquistare l’uso della parola e quello dei movimenti fondamentali, dal momento che anche la massa muscolare si era paurosamente ridotta”. Pulcini, anche secondo i medici, ce l’ha fatta perché aveva un fisico forte, da sportivo: “Ho sempre amato e frequentato la montagna con gli amici del CAI locale ed ho anche praticato regolarmente il ciclismo; il mio lavoro di architetto per una società di costruzioni mi ha spesso portato in giro per il mondo, dalla Cina al Medio Oriente, insomma godevo di una salute invidiabile e non ero mai stato malato…Forse per questo sono sempre riuscito a mantenere, nonostante tutto, un atteggiamento mentale positivo: quando sono uscito dalla terapia intensiva ero ancora incosciente ma poi via via, recuperando la lucidità, mi ripetevo che dovevo farcela, ed anche se i miglioramenti erano di una lentezza esasperante, eseguivo con costanza e impegno tutti gli esercizi che mi venivano proposti. Sapevo di essere solo all’inizio di una lotta lunga e faticosa, ma non mi sono mai scoraggiato, avvertivo il sostegno delle tante persone che da lontano pregavano per me e questo mi dava coraggio. Anche la fede mi è stata di grande aiuto, pur nel dolore grande di aver perso per il Covid-19 tanti cari amici, tanti coetanei e tanti compaesani”. Anche adesso che è tornato a casa Pulcini dedica gran parte della giornata alla fisioterapia: “Credo di aver recuperato circa il 60% delle funzioni che avevo perso, il percorso per arrivare al 100% sarà ancora lungo. Ma per uno come me, che è miracolosamente ‘tornato dall’altro mondo’, si tratta già di un progresso notevole . Dunque mi impongo la pazienza e la costanza e non perdo la speranza di tornare ‘come prima’, e l’affetto e la vicinanza dei miei cari, dei miei amici e dei miei compaesani mi è di grandissimo aiuto. Se e quando riprenderò a lavorare in giro per il mondo? E’ ancora presto per dirlo, per ora mi accontenterò di una vacanza al mare con la mia famiglia, il lavoro può attendere: la drammatica vicenda che abbiamo vissuto – e dico ‘abbiamo’ perché è stata psicologicamente pesantissima soprattutto per i miei Cari – mi ha ulteriormente convinto delle priorità da perseguire nella vita, e gli affetti stanno senz’altro in cima a questa scala di valori”.

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