Carta canta

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    Metti una sera (dopocena)  con Araberara

    Un tempo questa sarebbe stata una festa da maggiorenni, 21 anni compiuti. Araberara lo scorso anno ha festeggiato il 20° compleanno con tre serate sul porto di Lovere con una formula evidentemente fortunata, migliaia di persone sul porto nuovo, tra dibattiti, interviste e musica. Quest’anno ci è stato chiesto di proporre con la stessa formula una Serata Araberara. Il nostro è un giornale un po’ anomalo che racconta storie, belle e brutte, di gente che sbarca il lunario e coltiva sogni, che sprofonda e riemerge, che vive e sopravvive, che esplode di rabbia e di gioia, che è contenta e si accontenta, che litiga e si riappacifica, che elabora lutti e fa festa, lavora e respira, insomma odi et amo come scriveva il poeta. Noi facciamo un giornale che non è né migliore né peggiore dei suoi lettori che tuttavia nel nostro giornale trovano anche una “lavagna” su cui scrivere i loro umori, le loro passioni civiche (oh, yes), le loro critiche, le loro proposte, le loro speranze, le loro proteste. Tutte qui le ragioni del successo di questo giornale che non ha capitali alle spalle, vive di forze proprie, vendita e pubblicità e ci vive miracolosamente da 21 anni. * * * La “Serata Araberara” è quindi una miscela della vita, storie di persone, discussioni, uomini e donne che si danno da fare, giornalisti che vanno a cercarsi mondi diversi, varcano confi ni e frontiere, preti che affrontano frontiere interne al nostro mondo (lo scorso anno Don Mazzi, quest’anno Don Gallo), mamme che raccontano dolori, uomini che hanno segnato la storia dello sport e la musica come sottofondo a tutto, consolatoria, divertente, impegnata, esplosiva, colonna musicale di una vita che val comunque la pena vivere, amori e dolori che si compensano e una serata particolare che solletica la mente e il cuore.

    Don Galli :  “sono stato un marinaio e anche in tempo di guerra , se uno stava affogando non chiedevamo se era Americano o Giapponese , tiravamo in barca.”

    Don Andrea Gallo, ha festeggiato gli 80 anni il 18 luglio scorso, è prete dal luglio 1959: “In 49 anni di presbiterato non ho mai avuto una sospensione, né un’ammonizione canonica, correzioni fraterne sì, ma da 46 anni sono in comunione con la Chiesa”. “Cosa dice Gesù ai cristiani? Dice siete sale, dimmi tu se in una minestra il sale si vede! Poi dice, siete lievito, e il lievito si vede nel pane lievitato? Se la minestra però non ha sale quanto basta e nel pane non c’è lievito… Dice ancora, siete luce, ma la luce che dice Gesù non è il faro della Lanterna, è il lumino ad olio che avevano nelle case. Attenta! Siete come un chicco di grano, è qui il messaggio, che dà frutto solo dopo che è marcito, ecco il presentarsi alle altre culture, non è che tu arrivi e sei la mia cultura”. “Non chiamate nessuno Padre, sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. Non fatevi chiamare ‘maestri’, perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo e voi siete tutti fratelli. Quindi che cultura andiamo a insegnare se non siamo maestri? Non riesco a capire come mai se la pigliano con me, cultura non cultura, non cambia niente, vanno avanti ugualmente. Tutte le culture hanno bisogno del messaggio del Vangelo, ma attenzione che il sale non diventi scipito”. Parliamo delle sue comunità. “La comunità di S. Benedetto al Porto nasce l’8 dicembre 1970. In quegli anni eravamo entusiasti, stimolati, venivamo dalla grande primavera di Papa Giovanni, avevamo avuto il grande fuoco dello Spirito Santo del Concilio Vaticano II, che terminò nel gennaio del 1965, c’era un grande fermento spirituale. Nasce una porta aperta, la nostra differenza è che non siamo settoriali, perché in 35 anni abbiamo accolto veramente tutti gli ultimi, dal tossicodipendente, ai vecchi, agli immigrati, alle prostitute. Una porta aperta. Io sono stato un marinaio, e anche in tempo di guerra, se uno stava affogando, non chiedevamo se era Americano o Giapponese, lo tiravamo in barca!”. Qual è il suo metodo? Qual è la differenza tra le sue comunità e le altre esistenti in Italia? “Le nostre comunità non hanno cancello. Perché avere paura che qualcuno scappi? Ma se uno vuole andarsene lo accompagniamo alla stazione, gli diamo i soldi per il treno. Don Bosco diceva: se vuoi farti obbedire, fatti prima amare. Non crediamo al metodo comportamentista: se fai bene ricevi il premio, se disobbedisci alle regole, hai la punizione. Nessuno impone terapie, nessuno salva un altro, ci salviamo a vicenda”. “Sostenere che la coercizione giustifi ca la cura, non sta in piedi da nessuna parte, ecco l’etica della responsabilità. Dalla dipendenza alla pratica della libertà. Ecco il nostro metodo. Da tutte le dipendenze, quelle che ti fanno meno uomo, meno donna”. Poi la citazione del “quinto vangelo”, come l’ha chiamato Don Gallo, quello del suo amico Fabrizio De André, con la chiusura nel famoso verso di “Via del Campo”, una strada malfamata genovese: “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”. Infine qualche frase tratta da un libro di Don Gallo: “Vorrei imparare l’umiltà di esserci, rallegrandomi della presenza degli altri, restando un indicatore leggero di una luce, in attesa di ricevere la pienezza del senso della vita. Ho settantasei anni e mi sento un bimbo. Ho solamente un genio in me: il genio della fanciullezza. A ottanta spero di essere ancora giovane e di poter dire all’angelo che mi verrà a chiamare: Senti un po’, ritorna fra dieci anni”.

    La Mamma del grande campione Toinina Pantani racconta il figlio Marco.

    Tonina è la mamma di Marco Pantani. Tonina ha deciso di continuare a essere la mamma anche se Marco non c’è più, che i figli sono per sempre, lo sono ancora di più quando se ne vanno come non dovrebbero andarsene. Tonina quando parla di Marco non ha posto per altro, che per una mamma forse è sempre così ma per lei lo è ancora di più. Perché Marco era il ciclismo e continua a esserlo per chiunque tenti di affrontare una qualsiasi montagna dove il cielo sembra schiacciarti addosso la fatica. Che Marco per la gente rappresentava la voglia di farcela, di arrivare in cima alle salite. Tonina si scalda subito quando parla di Marco: “Da piccolo Marco era come da grande, sempre uguale, combattivo, con la voglia di sfida addosso. Vedi Marco lo hanno descritto in tanti modi, usando paroloni complessi ma Marco era la persona più semplice del mondo, non aveva secondi fi ni. Quando faceva parte di un gruppo lo difendeva sino in fondo, così come difendeva il gruppo quando era diventato un ciclista professionista, però il gruppo, quel gruppo che lui ha sempre difeso lo ha lasciato morire da solo”. Tonina ci torna sempre su, Tonina non vuole dimenticare: “Perché dovrei dimenticare? Io cerco la verità e la verità non la si trova dimenticando”. Lei ha chiamato il suo libro ‘Era mio figlio’, non era meglio ‘E’ mio figlio’? “Sì, forse sì, e infatti io avevo pensato proprio a questo titolo, perché un figlio lo rimane anche quando non c’è più ma la casa editrice, la Mondadori, ha preferito così, per me è uguale, l’importante era raccontare Marco come volevo raccontarlo io, come era in realtà e in fondo così abbiamo fatto”. Lei aveva un chiosco di piadine, Cesenatico è un posto dove la gente va al mare, si diverte, Marco era un tipo solare, divertente, come viveva il mondo del ciclismo, fatto di fatica ma anche di viaggi, spostamenti, allenamenti, era cambiato? E la gente di Cesenatico che veniva al chiosco come viveva le sue vittorie? “La gente di Cesenatico voleva bene e vuole bene a Marco, così come lui era legatissimo a Cesenatico. Pensa che quando era in giro a correre, anche se capitava magari che aveva vinto una tappa importantissima, lui chiamava e diceva ‘come va al mare? C’è gente? Vanno bene le piadine?’, lui era così, Cesenatico l’aveva nel cuore. E poi il mare, quando poteva lui stava al mare, non solo a pescare, ma lui era nato al mare e non poteva stare senza mare, ci passava ore e ore, anche solo a guardarlo oppure ci andava con gli amici”. Vedere un figlio in cima al mondo e vederlo poi infangare, una madre come ha vissuto queste due parabole così diverse: “Per me è sempre stato in cima al mondo, anche prima che corresse e anche quando lo hanno fatto smettere in quel modo, credo sia così per ogni mamma e come ogni mamma quando l’ho visto infangare così mi sono ribellata e quando ho capito che nessuno faceva nulla per difenderlo gliel’ho detto ‘non so quanto possa valere, ma ci sarò sempre io a difenderti’”.

     

     

     

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