27 GENNAIO, GIORNATA DELLA MEMORIA Ad Auschwitz c’era la neve Il racconto di Nedo Fiano raccolto da Giorgio Fornoni

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Auschwitz

di Giorgio Fornoni

“Ad Auschwitz c’era la neve… e il fumo saliva lento”; così recitava una canzone di Guccini dei primi anni ’70. L’ultimo giorno dell’anno, mentre tutti festeggiavano l’evento dell’entrata nell’anno 2000 mi trovavo con mio figlio in quella cittadina della Polonia, a ripercorrere i passi della storia, a meditare sugli eventi.

La notte precedente la neve era caduta coprendo come un manto bianco il territorio del grande olocausto.

Una fitta nebbia incupiva l’animo e mischiava i brividi con quelli della storia. All’entrata del museo un anziano signore disponibile ci ha guidato oltre il cancello del campo di concentramento ove sta scritta una frase tristemente famosa: “Il lavoro rende liberi”. Appena di là comincia il suo racconto quest’uomo segnato dal tempo, bianco in viso e nei capelli, occhi fissi nei ricordi e voce profonda. Ogni angolo una pausa, ogni stanza una storia… il cadenzato passo intrecciava il silenzio.

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Le impronte nella neve segnavano il nostro passaggio attraverso i cortili dei blok… Dal filo spinato, la neve cadeva quanto un corvo puliva il suo becco.

Calammo nei sotterranei. Una cella con una lapide indicava la sofferenza di padre Kolbe ed un cero al centro, invece, il passaggio del Papa in visita al dolore. Poco più in là, un’altra cella, nella penombra di una pallida lampadina, sul muro, l’incisione di un “Cristo” e… ritornammo a vedere la neve… Al blok degli italiani, la poesia di Primo Levi congela l’anima.

…“Voi che vivete sicuri / nelle vostre tiepide case, / voi che trovate tornando a sera / il cibo caldo e visi amici: / considerate se questo è un uomo / che lavora nel fango / che non conosce pace / che lotta per mezzo pane / che muore per un sì o per un no…”.

Silenziosi passi ci accompagnarono fino al secondo campo, quello di Auschiwtz Birkenau. Dalla torretta principale, lo sguardo spazia per chilometri.

Sotto di noi ancora la ferrovia ed il filo spinato a doppia fila delimita all’infinito il campo di sterminio. Il fumo, qui, saliva davvero lento. Ora non sono rimasti che i camini ora che con la neve tutto si è… spento.

Ritornati a casa, sentiamo la necessità di incontrare un testimone, un sopravvissuto a quella tragedia e lui, Nedo Fiano, ci racconta la sua storia.

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LA DEPORTAZIONE

«Credo che uno dei momenti più drammatici che io possa raccontare della mia esperienza di Auschwitz sia quello dell’arrivo sulla rampa di Birkenau.

Diciamo che la rampa di Birkenau era alla sua maniera la stazione ferroviaria dove si scaricavano i prigionieri che arrivavano da tutte le parti d’Europa. Noi eravamo partiti sette giorni e sette notti prima ed è stato un viaggio piuttosto sofferto non soltanto per la fame e per la sete, ma soprattutto per l’angoscia, per una certa paura che cresceva col passare dei giorni.

Avevamo nel vagone vissuto attimi anche drammatici; la morte di un nostro compagno molto avanti negli anni come anche la nascita di un bambino. Mi sembra alla stazione di Merano o di Bolzano, questa signora venne fatta scendere e venne portata all’ospedale dove, seppi dopo, che partorì un bambino e una volta che il bambino è stato messo alla luce lei poi è stata ricaricata su un altro convoglio successivo…

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