Nel deserto di San Francesco

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    Nel deserto di San Francesco © Riproduzione riservata
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    Araberara 23 marzo2018

    Nel deserto di San Francesco

    di Giorgio Fornoni

    Primavera del 1220. Una nave veneziana, forse al servizio dei Crociati, torna dall’Egitto ed entra nella laguna veneta diretta a Torcello, all’epoca un centro importante di cultura e commerci. A bordo c’è anche Francesco da Assisi, accompagnato da un suo discepolo, fra Illuminato da Rieti. Francesco, il fondatore di un nuovo ordine religioso che ribaltava la tradizione dell’epoca, che aveva fatto della povertà la propria bandiera e dell’armonia con la natura la propria originale via verso la santità, aveva lasciato le verdi colline dell’Umbria l’anno prima, forse al seguito della quinta Crociata. La sua era però una missione di pace, alla ricerca di una possibile intesa tra Cristianesimo e Islam che ancora una volta rivoluzionava la storia.

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    Un risultato importante Francesco l’aveva ottenuto. Catturato dai Saraceni, si era trovato faccia a faccia con il Sultano d’Egitto, Malek el Kamel, che era rimasto affascinato dalla sua carica di spiritualità e lo aveva fatto poi ricondurre, incolume, al campo dei Cristiani. Ma la missione di pace, come era stata concepita da Francesco, era sostanzialmente fallita. Nel suo stesso Ordine si facevano strada orientamenti diversi rispetto all’originaria intuizione evangelica. E ora Francesco si sentiva stanco e aveva bisogno di pregare, di riflettere, di ritrovare la pace dentro se stesso, prima di ridiscendere verso Assisi.

    E’ in quel momento che il santo approda su una piccola isola della laguna, nella diocesi del Torcello, che gli viene messa a disposizione dal nobile veneziano Jacopo Michiel. L’isola è letteralmente invasa dagli uccelli, aironi, cormorani, anatre, gabbiani, rondini, ma il loro chiasso assordante, narra la tradizione, si arresta quando il Francesco comincia a pregare. E’ questo scenario di un cielo solcato dal volo degli uccelli, di vegetazione galleggiante sull’acqua, di barene sommerse, di vita prorompente, di tramonti che infiammano le sere d’inverno che si imprime per sempre nell’animo del poverello di Assisi. Cinque anni dopo, ormai prossimo all’incontro con Sorella Morte, forse ispirato anche da quella sua permanenza sull’isola della laguna veneta, comporrà il suo commovente canto di lode al Creatore: “Laudato sii mi Signore, cum tutte le tue creature”..

    La barca dei frati che dalle rive di Burano accoglie l’ospite che oggi si reca all’isola di San Francesco del Deserto, percorre in una quindicina di minuti lo spazio di laguna che separa la terraferma da un luogo che sembra appartenere ad un altro mondo, che non è però fuori dal nostro mondo, ma più dentro che mai..

    Ci sono luoghi che, come per incanto, sembrano unire cielo e terra. Sono luoghi nei quali il cuore dell’uomo, corroso da esperienze negative come fa l’acqua salmastra con i mattoni del Deserto, si scopre bisognoso di una sosta che lo acquieti, di una accoglienza che lo riscaldi, di un ascolto che lo faccia ritrovare, oltre ogni agitazione o affanno, finalmente lontano da assordanti solitudini, come da vuote e infinite parole.

    Ci sono luoghi nei quali è possibile uscire dall’autoinganno di un Io al centro di tutto, che fa credere di essere in rapporto con gli altri quando si è estranei perfino a se stessi. Luoghi dove non si fugge, ma si affronta, dove non si evita ma si incontra: se stessi, l’Altro e Colui che san Francesco chiamava “Altissimo, Onnipotente, bon Signore”. Luoghi dove il tempo non ci divora e dove è invece possibile gustarlo, questo tempo che scorre inevitabile e sempre più veloce verso un Oltre che solitamente chiamiamo “destino”, ma che, in realtà, non è altro che l’approdo che vogliamo dare alla nostra sempre ambivalente libertà. 

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    Tutto questo è certamente San Francesco del Deserto. L’isola venne donata da Jacopo Michiel all’ordine francescano nel 1233, sette anni dopo la morte di Francesco e a cinque dalla sua canonizzazione. I Francescani è lì che vivono da otto secoli, salvo qualche breve interruzione: nel 1400 a causa della malaria e ai primi dell’Ottocento quando le truppe napoleoniche prima e poi austriache trasformarono l’isola in magazzino e polveriera.

    Una sobria e fiera bellezza cattura lo sguardo di chi varca oggi la soglia del convento. Osservando le pareti presso l’ingresso, si possono notare delle scritte sul marmo che descrivono il miracolo del silenzio degli uccelli, che non vollero disturbare la preghiera di Francesco e un estratto dell’atto di donazione dell’isola ai frati francescani.

    Si attraversano poi due chiostri. Il primo, risalente al 1200, depredato delle colonne marmoree durante le soppressioni napoleoniche, venne ricostruito dai frati nella seconda metà dell’Ottocento. L’altro chiostro risale al 1400. La chiesa è del XIII Secolo.

    Sull’isola vivono cinque frati e una cagnetta “devota”, la Tosca, che condivide anche i momenti di preghiera della fraternità. La vita della comunità vede l’alternarsi di momenti di preghiera ai momenti di accoglienza degli ospiti che intendono soggiornare sull’isola, solitamente da venerdì a domenica. Oltre 25mila persone, provenienti da tutto il mondo, visitano ogni anno questo luogo di silenzio e di pace, il più significativo monumento allo spirito di San Francesco.

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    Il mantenimento dell’isola richiede anche una cura sollecita degli spazi verdi, delle piante e dei fiori, degli ambienti interni ed esterni, la coltivazione dell’orto, la manutenzione delle barche e dell’attrezzatura agricola. I frati, quando richiesto svolgono un servizio ministeriale presso le vicine comunità di Torcello, Burano, Treporti, Sant’Erasmo e Cà Savio.

    Ogni fine settimana, una quindicina di persone adulte vengono ospitate in ritiro. Chi viene, condivide con la comunità dei frati i momenti di preghiera e i pasti in refettorio. Agli ospiti vengono offerte due riflessioni al giorno sulla parola di Dio o un tema di spiritualità. Le persone hanno anche la possibilità di confrontarsi singolarmente con un frate. Molti ritornano ogni anno, ritenendo quella a San Francesco del Deserto una esperienza importante per il loro percorso spirituale. Un luogo dove ritrovarsi per riprendere in modo nuovo il cammino della vita.

    A San Francesco del Deserto risuonano forti e vicine le parole che, dopo la Creazione dell’Uomo, evocano la continua esigenza di una nuova Genesi, di un nuovo inizio: “Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel Giardino di Eden, perchè lo coltivasse e lo custodisse”.

     

    Forse è proprio qui, su questa isola fuori dal mondo, che il Deserto può diventare il vero Giardino dell’Eden. Un luogo dove placare l’inquietudine delle tentazioni terrene e ritrovare la pace e l’armonia perduti. Dove ritrovare il senso della propria vita e ascoltare la voce di speranza che sgorga all’interno di ogni uomo. Quella voce profonda, così simile alla brezza della laguna, che San Francesco ascoltava su questa stessa isola al momento della preghiera, quando intorno si faceva il silenzio e il poeta del Cantico delle Creature scopriva l’intero universo all’interno del proprio cuore. 

    Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce” si legge nel Vangelo di Giovanni (Gv. 3,8). ”Ma non sai da dove viene, nè dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito”.

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