SOVERE – Il ricordo di Monica Poletti, lei che ha spiazzato il dolore

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(tea) Raccontare Monica sembra facile, perché se chi scrive l’ha conosciuta le parole si impastano meglio, ma poi mentre scrivo mi accorgo che raccontare Monica è riduttivo, perché ci sono persone che si portano dentro un mondo intero raccolto tutto dentro un sorriso e una voglia di vivere che va oltre tutto. Monica arrivava da Clusone, la incontravo ogni tanto camminare verso La Spessa mentre accompagnava sua sorella, ma la incontravo anche a Lovere, a Sovere, in altri posti, ovunque, una trottola di felicità. Monica era felice. Credo lo sia ancora. Lo sarà sempre. E quella felicità io lo so che la trasmetterà come un uragano a Gaia, Luca e Giacomo. Ricordo quel giorno qui fuori dalla redazione quando è entrata con il suo solito sorriso stampato in volto, per un saluto, ero qui da sola, avevamo da poco chiuso il numero del giornale: “Cavoli, sei appena andata dalla parrucchiera?’, mi ha guardato, ha sorriso, si è tolta la parrucca: “Ho un tumore, sto facendo le chemio, sto perfino meglio così, cosa dici?”. Ecco, Monica era così, non si è mai lamentata, mai, nemmeno alla fine: “Lotto per i miei figli’. Monica spiazzava anche il dolore, che non poteva far niente con lei, magari portarsi via il corpo ma il cuore e l’anima si respirano dappertutto, nello sguardo di Gaia, Luca, Giacomo, della mamma, della sua famiglia e dei suoi amici. Io ne sono sicura, e non sono le solite frasi fatte scritte per ricordare chi non c’è più, ci sono battiti di cuore che non si fermano, che si trasformano e basta, si trasformano in qualcosa che è per sempre.

 

Eri quella che dorme in fondo

alle primavere

sotto le foglie mai spente del sogno.

Ti indovinavo già da tempo,

nella freschezza di una passeggiata

nell’aria buona dei grandi libri

o nella forza di un silenzio.

Sei la speranza delle grandi cose.

Sei la bellezza di ogni giorno.

Sei la vita stessa.

Sei l’alba con le vesti lacere dentro un cielo libero.

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