Schiena taciturna

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    La mascherina appoggiata sul sedile, il finestrino abbassato e il cielo che si libera e va dove vuole. Quasi come noi. Che all’improvviso non sappiamo dove andare, quasi che la libertà faccia un po’ spavento, ha preso consistenza, prima non l’aveva, era scontata, adesso niente è in saldo, ce la siamo guadagnata e sudata, e la annusiamo un po’ cosi, come si fa con i pacchi che consegnano a casa con scritto ‘maneggiare con cura’, perché dentro c’è il nostro cuore che ci vuole portare dove indica il battito che accelera, quello dell’emozione.

    E noi corrotti come chiunque altro da un mondo assuefatto ai carboidrati e alle parole, brancoliamo ancora fra tramonti, metrica e schegge di speranza per un istante liberi dal terribile contagio dell’abitudine.

    Resto sola. La mascherina non serve. Il marciapiede davanti alla luce. Le stelle sedute sui fianchi, la schiena taciturna dei giorni, le ore sono sempre nude e nuove nei dintorni di me. Chissà cosa penseresti tu che questo pezzo di storia non lo hai vissuto da qui. Sai, ho bisogno di spazio per pensarti a dovere, tu che conoscevi il profumo della pioggia di maggio sull’asfalto tiepido, tu che stavi dietro al tempo e qualche volta davanti, e la notte ti sorrideva quando volevi chiudere gli occhi al sole e mandare a dormire il mondo.

    Ed è notte anche stavolta e stavolta penso a te travolta tra volti incolori senza lune scassacazzi, cosi si scioglie bene l’anima nel nero lucido dei pensieri. E qualunque alba ci sia domani spero venga con un tè caldo e che si sieda di fianco a me per cercare di spiegarmi in tutti questi mesi dov’è che ci siamo sbagliati. Che poi è così bello ogni tanto sbagliarsi. E tornare a guardare avanti. Che indietro ci siamo già stati.

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