Il gabbiano e la terraferma

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    Aristea Canini

    Tutto è incustodito dentro quest’alba nuda, vento intenso della mia anima di ritorno da me, ma un gabbiano sul lago apre il cielo come una lacrima dolce. Si alza in volo e regala luce al lago, offrendola alle stelle. Guardo e mi lascio attraversare da quello che capita. Il più grande ostacolo di un’opera d’arte è quello di volerla capire. Rientro verso casa, strade deserte, un uomo taglia l’erba. Profumo di fieno ovunque. Guardo le sue mani libere quasi pregassero per un raccolto buono, riempie lo sguardo del colore della spiga di grano e guarda lontano, oltre le nubi, oltre il sole, oltre il bisogno. Libero è un sogno che consente il passaggio, il viaggio nel mondo, una gioia senza intenti, ma intenzioni. Libera è l’emozione pura, la crosta dura del pane, un cammino fatto di passi e non di suole. E ritrovo le mie orme tra i battiti che danzano del cuore. E ricomincia un’altra giornata tra volti e parole. E quando tutti se ne vanno e restiamo noi due, tra bicchieri vuoti e computer spenti, com’è bello sapere che sei lì come una corrente che rinfresca, solo con me sull’orlo della notte, e che duri più del tempo, sei quello che non se ne va perché uno stesso tepore ci chiamerà un’altra volta a svegliare il nuovo giorno, insieme, ridendo, spettinati. Tu di me sei la terraferma. E allora ti raccolgo l’acqua che non hai mai visto.

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