CERETE – Mattia Bertasa, 22 anni: “A noi piccoli allevatori di montagna non ci pensa nessuno, la passione ereditata da nonno e bisnonno. Ora ho 50 mucche e 100 pecore, uso solo caglio di vitello…”

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“Secondo me, le proteste degli agricoltori che vanno a Roma coi trattori saranno anche giuste, ma si tratta più che altro delle grandi aziende della pianura…A noi piccoli allevatori di montagna invece non ci pensa nessuno, forse anche perché siamo disuniti e non abbiamo tutti quei trattoroni così imponenti. Eppure le leggi vigenti penalizzano anche noi, forse anche di più, e fanno pensare che i piccoli allevamenti come il mio vogliano proprio cancellarli”.

Mattia Bertasa, 22 anni tra poco, tuttavia non si scoraggia: “Non mi scoraggio perché la passione è più forte di tutto. Io ce l’ho fin da quando ero piccolo, ho sempre seguito il mio nonno Lodovico, – tuttora titolare dell’azienda che ha sede a Cerete Alto –  che ha sua volta l’aveva ereditata dal mio bisnonno Tobia – e da grande, dopo essermi diplomato al corso per Operatore agricolo a Clusone, ho voluto seguire il suo esempio. Così adesso che lui comincia ad essere un po’ stanco perché non è più un giovanotto, il grosso del lavoro lo faccio io ed ho intenzione di continuare a farlo”.

E il lavoro non manca di certo: Mattia e Lodovico allevano una cinquantina di bovini e un centinaio di pecore, producendo formaggi tipici di qualità perché per la caseificazione non usano fermenti vari ma solo caglio di vitello:

“Come si faceva una volta, cioè producendo in questo modo latticini che conservano tutte le loro caratteristiche naturali di sapore e di profumo a seconda del foraggio di cui le bestie si nutrono, perché se invece usi i fermenti i formaggi vengono tutti uguali: meno rischi, certo, ma anche meno qualità”.

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