benedetta gente

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    Canto di Natale? Si convertirà nella realtà il vecchio avaro e tirchio Scrooge del romanzo di Dickens? Torneranno sulla terra gli spiriti del passato ad ammonire che il divario crescente tra ricchi e poveri può sfociare in rivolta? Certo, tranquilli, intanto la povertà, nell’epoca dell’individualismo, non ha voce corale, è lamento soffocato, non tanto dal pudore quanto dalla vergogna con i vicini. “Italia post-populista e malinconica”. E’ la definizione dell’ultimo rapporto Censis del 2 dicembre. Abbiamo paura della terza guerra mondiale (61%), che usino le bombe atomiche (59%). che i nostri ragazzi siano chiamati alle armi (58%). La paura e l’impotenza (“non ci si capisce più niente”) inducono non alla reazione, alla mobilitazione, addirittura alla rivoluzione, ma appunto alla malinconica accettazione di quello che succede che “tanto decidono tutto loro”. Loro chi? I due miei coetanei (ad occhio) avrebbero una soluzione da cassa di supermercato, “mandarli tutti a casa”. Ma come, abbiamo appena votato, c’è un nuovo governo, già finita la luna di miele? “Io scaldo con la legna, ho comprato una stufa e scaldo solo cucina e camera, ho chiuso il salotto che tanto mia moglie non ci faceva entrare nessuno, perché poi bisogna pulire”. Mentre discutono con fare saccente di chi non sa niente ma pretende, se non l’applauso, almeno un incondizionato consenso, una signora ha bloccato la coda, sta frugando nella borsetta per trovare i 35 centesimi che mancano al totale, non li trova, la gente dietro sbuffa, “cosa posso lasciare?” chiede alla cassiera che guarda le varie piccole confezioni, trovato, anzi, “le devo il resto di 20 centesimi, grazie e buongiorno”.

    “Si ridisegnano le planimetrie sociali” dicono gli studiosi del Censis. Che pongono una domanda che sembra filosofica, esistenziale: “Dove siamo, tutti insieme, in questo tempo?”. L’inflazione che fa schizzare tariffe, imposte e prezzi, dilaga il pessimismo di arrivare davvero a fine mese (79,3%), si rompono (in senso figurato) i salvadanai, insomma si intaccano i risparmi. E monta una sorda rabbia per chi invece spende e spande, senza neppure la discrezione di non sbatterti in faccia il privilegio di potersi permettere acquisti di merce che in vetrina sembrano già un insulto, a cominciare dal cartellino del prezzo. La rabbia è ancora individuale, non trova uno sbocco collettivo, non ancora almeno. Mentre anche i partiti della sinistra vengono vissuti come radical-chic, i nuovi poveri sono già disillusi anche dai populisti. Citazione sempre dal rapporto Censis:«Gli italiani ritengono particolarmente insopportabili, nell’attuale situazione, i seguenti fenomeni: l’87,8% l’eccessivo gap esistente tra le retribuzioni dei dipendenti e quelle dei manager; l’86,6% i bonus milionari di buonuscita per i manager, pagati per andarsene piuttosto che per lavorare; l’84,1% le tasse troppo ridotte pagate dai giganti del web; l’81,5% i facili, immeritati guadagni di influencer, personaggi senza un comprovato talento e competenze certe; l’80,8% le remunerazioni milionarie di azionisti e manager; il 79,7% l’incremento boom dei patrimoni dei super-ricchi; il 78,7% gli eccessi e gli sprechi per le feste delle celebrities; il 73,5% l’uso di jet privati da parte di ricchi paperoni; il 71,0% lo sfrecciare di auto potenti e Suv dai consumi incontrollati; il 70,5% la presenza di piscine e giardini da innaffiare nelle grandi ville private; il 69,4% l’esibizione sui social network di vacanze e viaggi di gran lusso; il 69,3% l’ostentazione di spese stratosferiche per ristoranti, hotel, locali notturni». Si temono (ma chi è che le teme a questo punto?) “improvvise fiammate conflittuali”. Ma non sono annunciati neppure scioperi, i sindacati sembrano difensori di categorie specifiche (i pensionati sono la maggior parte dei tesserati). Alla ultime elezioni quasi 18 milioni di aventi diritto non ha votato. Tutta qui la protesta? Serve a niente. Una massa silenziosa che passa davanti alle vetrine e non entra in negozio, non se lo può permettere. La storia racconta di rivolte che quelle vetrine hanno poi spaccato; ma no, ognuno per sé è ancora la parola d’ordine, non si condividono dolori e bisogni. Non ancora.

    Il personaggio di Dickens del resto ha il suo pentimento personale. “Canto di Natale” per essere tale ha bisogno di un coro, non di una massa di solisti. Tutto qui. Buon Natale lo stesso. Per un buon anno servirebbe qualche cautela. Ce lo siamo augurato ogni fine anno e va sempre peggio, pandemia, guerra, che altro ci possiamo aspettare di peggio? Forse è la volta buona di avere un anno almeno più tranquillo, pur nella “malinconia” che coltiviamo dietro le nostre finestre chiuse.

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