benedetta gente

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    “Questi non segnano neanche se giocano fino all’alba”. La frase, per un’associazione di memoria e idee poco decifrabile, mi ha ricordato la bellissima storia delle petit chèvre de monsieur Seguin di Alphonse Daudet. Riassunto. Seguin aveva avuto sei capre, che il lupo si era divorato, quando si erano avventurate nel bosco. L’ultima, di nome Blanquette, è legata, ma aspira anche lei alla libertà. Infatti riesce a fuggire. Cala la sera. Combatterà col lupo tutta la notte e all’alba (ecco l’associazione) si lascerà uccidere, sfinita. Ci sono libertà che costano care. Che c’entra? Revenons à nos moutons. Era una partita degli ottavi di finale della Coppa del mondo. Da una parte la Croazia, quasi tutti “italiani” (nel senso che giocano nelle nostre squadre) e quindi adottata da parte del nostro tifo da divano, dall’altra i vichinghi, gigantoni biondi con dentro un… atalantino che tra l’altro, per aumentare la confusione, ha un curioso nome latino, Cornelius. Siamo ai supplementari, in pieno stallo. “C’è un cambio in vista nella squadra danese, serve fantasia”, annuncia il telecronista.Inquadratura della zona panchina, dev’esserci un errore, sta per entrare un calciatore di colore che più intenso non si può, si chiama Pione Sisto Ifolo Emirmija, danese. Danese? Evidentemente, se gioca in nazionale. E’ lui che deve iniettare un pizzico di fantasia in una squadra (un popolo?) che la mette sulla forza fisica ma non la spunta. Non la spunterà lo stesso. La Francia da sempre gioca con campioni di colore, perfino mezza Svizzera adesso è colorata non di rosso ma di marrone scuro (che uno distratto l’avrebbe scambiata per il Senegal), l’Inghilterra lo è da sempre e non c’è squadra del mondiale che non sia colorata, compresa la biondissima Svezia (fa eccezione, mi fanno osservare, la Croazia che è in finale assieme alla Francia multietnica).

    Allora per chi viene da noi non è più questione di “colore”, ma di interesse di società che contano. Le piccole aziende del nostro territorio che “fallirebbero il giorno dopo senza i negri”, come, con linguaggio forbito, ha sentenziato un sindaco di estrema destra ma furibondo con la Lega, non contano a sufficienza, non osano dire ad alta voce quello che confidano in privato, hanno paura della paura più diffusa, quella della maggioranza dei loro compaesani, paure ben coltivate dal populismo dilagante. Ma non rubano i posti di lavoro anche questi calciatori in erba (spesso sintetica)? Le nostre società di calcio li comprano con due soldi e poi ci fanno plusvalenze milionarie. Come mai nessuno grida allo scandalo di migliaia di giovani italiani che sgambettano sui campi di calcio e si vedono preclusa la strada del successo dall’arrivo (in aereo, mica sui gommoni) di questi “migranti” perlopiù africani? In Danimarca e perfino in Svizzera (che con gli italiani non è mai stata tenera) li hanno naturalizzati al punto che li mettono in nazionale. Quindi ci sono “ladri” (di posti di lavoro) che addirittura accogliamo sventolando bandiere e innalzando inni e canti, e altri che insultiamo e rigettiamo a mare.

    Per questi ultimi alziamo alti lai perché “rubano” il posto di lavoro ai nostri figli, che sono notoriamente tutti aspiranti tornitori, muratori, saldatori, spazzini ecc. Vi ricordate la gag di Checco Zalone in “Quo vado?”: “Per me è sì. Benvenuto in Italia” dice Zalone ad un ragazzo che palleggia molto bene davanti ad un Centro di prima accoglienza. “Ragazzi, si gioca in 11, non possiamo accogliervi tutti”, risponde Zalone agli altri migranti che protestano, aspettando di entrare in Italia.Nel 2016 il Senato approvò una legge che favoriva “l’integrazione sociale dei minori stranieri residenti in Italia, mediante l’ammissione nelle società sportive purché affiliate alle federazioni italiane o comunque ad enti di promozione sportiva”. Insomma siamo per ributtarli a mare ma dopo averli fatti… palleggiare, che non si sa mai che finalmente vinciamo lo scudetto con il mercenario di colore che del resto le nostre guerre più riuscite sono quelle che abbiamo fatto combattere ad altri per noi, folla plaudente fin dal tempo degli Orazi e Curiazi e della disfida di Barletta e così per il calcio che è proseguimento della guerra con altri mezzi. Bisogna ricordarlo a quelli che fischiano Balotelli a prescindere, questo mondiale russo è pieno di campioni colorati anche se poi le donne (ariane?) europee si sono tutte invaghite di un brocco, tale Rurik Gislason, un islandese avvenente che però nemmeno la squadra dell’oratorio del mio paese metterebbe in campo: ma volete mettere il tifo femminile (beh, non mettiamo limiti di genere) sugli spalti anche tenendolo in panchina?

    La petite chèvre de monsieur Seguin, nella sua ricerca ingenua di libertà e di avventura, era entrata piena di entusiasmo in un territorio dominato dai lupi. Lo sapeva, ma pensava che le cose potessero cambiare. Si è battuta fin che ha potuto, fino all’alba, perché comunque, come per l’unica sopravvissuta delle cinque anatre di Guccini, “bisognava volare”. In un mondo in cui la convivenza è ridotta all’homo homini lupus vale anche la metafora del protagonista di “Qualcuno volò sul nido del cuculo” quando cerca inutilmente di smuovere con le mani nude il lavabo di marmo per infrangere le sbarre della finestra e fuggire e, arrendendosi, dice: “Almeno io ci ho provato”. E qualcun altro ci riuscirà, il suo gigantesco amico “indiano” riuscirà a scappare. Perché qualcuno, prima di lui, “almeno ci aveva provato”.

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