benedetta gente

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    Ma a che serve discutere con gente che confonde il plusvalore con le plusvalenze? Serve a niente ragionare con chi non vuole (e non sa) ragionare, con chi affida il proprio futuro a un (veramente a molti) gratta e vinci. Ci vorrebbe un nuovo Socrate, caparbio, insistente come un “tafano”, disposto ad essere non solo insultato ma di nuovo condannato a bere la cicuta. Sarebbe, è, oggi, un dialogo tra sordi, nessuno sarebbe disposto a sopportare le sue domande incalzanti, apparentemente banali, che riservano la trappola dialettica che solo chi ha conoscenza sa preparare. No, non arriverebbe a sera. Si è diffusa (da chi?) la convinzione che tutto sia semplice, che la complessità dei problemi sia un’invenzione per tenerci buoni, che la conoscenza sia un lusso per gente che non sa far niente e complica la vita degli altri. L’ignoranza sbandierata come soluzione “gordiana” di ogni “nodo” (la storiella di Alessandro Magno che, non riuscendo a sciogliere il nodo di Gordio, lo taglia con la spada). Certo, tagliare fa scomparire il nodo, ma rovina per sempre la corda. E gli atteggiamenti alla Brenno, il Gallo che a Roma butta la sua spada sulla bilancia già truccata con il vae victis (guai ai vinti) pagano magari nell’immediato ma alla lunga si pagano (Furio Camillo lo sconfiggerà). “Più son piccoli e più alzano le mani” direbbe Vecchioni che in “Pani e pesci” aveva descritto decenni fa l’attuale situazione della promessa di rinnovare il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Vi promettono la luna, poi dicono che non è colpa loro se non possono darvela, è scomparsa, deve averla rubata davvero il “Cattivissimo me” (riferimento al primo film della serie).

    Si è perso il senso dell’autorità, avendo perso gli eletti l’autorevolezza. Ma no, “i nuovi politici sono la conseguenza di un Paese in cui è stato tolto il servizio militare”. Quando ho letto questa diagnosi di Patrizio Bertelli, 72 anni, uno dei grandi industriali della moda (Prada), all’inizio mi è sembrata una stupidaggine. Poi ha spiegato come si è perso nel tempo il “rispetto” che si imparava nei paesi dove le “stazioni” educative erano diffuse ma convergenti, famiglia, scuola, comune, parrocchia, fabbrica. Il rispetto per un progetto di comunità, incarnato di volta in volta dalle figure istituzionali, con i loro pregi e difetti. In quel senso il servizio militare aveva una funzione educativa, del “dare” qualcosa, un pezzo del proprio tempo, alla società da cui si era avuto (che poi lo Stato lo impiegasse bene quel tempo era altra faccenda). Oggi la formazione dei ragazzi è globale ma non la fa il paese, la società in cui crescono, dove quindi l’autorità è marginale e l’autorevolezza un optional.

    Ma questi sono gli elettori del futuro. Gli elettori di oggi sono i ragazzi cresciuti dopo i frettolosi funerali della civiltà contadina. E il loro è un voto di protesta contro un sistema di cui, frugando, non trovano l’anima, i vecchi rimpiangono per definizione “i vecchi tempi”, quelli a metà non riescono a capire chi decida cosa e per cosa. E però “non riescono a capire che il voto di protesta può nuocere a loro stessi, non capiscono che quel voto può incidere sui loro risparmi, sui rapporti economici su cui è fondata la loro stessa vita, che il voto contro il sistema si possa ribaltare contro se stessi”. Da qui le delusioni, i disincanti, le rabbie, i nuovi voti di protesta cui seguiranno nuove delusioni ecc. Bisognerebbe ricominciare dalla scuola. Bisognerebbe… Ma dai, a che serve discutere con gente che confonde il plusvalore con le plusvalenze?

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