VAL DI SCALVE – STORIA DI UN DISASTRO ANNUNCIATO/2 – Il Viganò voleva costruire altre quattro dighe in valle: si fece la villa al Santèl

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Il Censimento del 1921 “contava” 1.030 abitanti nel Comune di Oltrepovo, 1.304 abitanti in quello di Vilminore (allora ancora diviso dall’Oltrepovo), 775 ad Azzone, 1008 a Colere e 1.623 a Schilpario. In Valle di Scalve c’erano quindi 5.740 abitanti. La Valle viveva di economia prevalentemente agricola. Ma boschi e prati non bastavano più al sostentamento della popolazione.

L’industria della “ferrarezza” viveva una delle sue cicliche crisi: al Forno fusorio di Dezzo erano depositati, invenduti, quasi ventimila quintali di ghisa.

L’industria dei primi decenni del secolo era alla ricerca di impianti di produzione di energia elettrica, il “carbone bianco”.

La ditta Galeazzo Viganò, di Triuggio (allora provincia di Milano, adesso provincia di Monza Brianza), con i suoi stabilimenti cotonieri, era una tra le tante (molte si erano insediate direttamente sui fiumi, come in Val Seriana).

La concessione prefettizia di utilizzazione delle acque del torrente Povo, nella valle del Gleno, per costruirvi un impianto idroelettrico è datata 31 gennaio 1917.

I busitì dol Viganò

Ma già due mesi prima (8 novembre 1916) il Comune di Vilminore stipula una convenzione con le “Condizioni generali e tariffe per la fornitura di energia elettrica per illuminazione”. Attesa e speranza della “luce” elettrica, il nuovo “miracolo” che avrebbe cambiato la vita della valle con la luce elettrica nelle case, prima nella chiesa parrocchiale (quelli che furono chiamati i busutì dol Viganò). Ma tra gli amministratori locali e la ditta Galeazzo Viganò ci saranno contenziosi che arriveranno fino agli anni ’30, ben dopo il disastro.

La ditta “Galeazzo Viganò”, “consumatrice di alcune migliaia di cavalli di forza, che acquistava dalla Società Anonima per Imprese Elettriche Conti” per i suoi stabilimenti cotonieri, aveva acquistato una concessione ptrecedente per lo sfruttamento dell’acqua del torrente Povo nella valle del Gleno, risalente al 1907. Il progetto complessivo, con le due centrali di Bueggio e Valbona, prevedeva una produzione di 60 milioni di chilowattora.

Già dal 1918 dunque la ditta Viganò predispone il “cantiere” preparando servizi, accessi e strade per la grande opera, sotto la direzione di Michelangelo; questi però muore nell’ottobre del 1918 e viene sostituito dal fratello Virgilio, forte di una sua precedente esperienza in Sicilia, dove aveva gestito un impianto idroelettrico sulle Madonie.

A coordinare l’impianto del Gleno arriva l’Ing. Santangelo di Palermo, che allarga il progetto coinvolgendo le acque dei torrenti Nembo e Tino, che, opportunamente convogliati al bacino di Santa Maria, avrebbero dovuto alimentare, con le acque del Gleno, la Centrale di Valbona, sotto l’abitato di Vilminore.

Le altre 4 dighe previste

Ma in progetto c’era anche il convogliamento delle acque del Vo’ e del Gaffione, oltre che del Dezzo per altre dighe e centrali. Probabilmente, non fosse successo il disastro del Gleno, i Viganò avrebbero fatto costruire altre quattro dighe “minori”, due nella valle del Venano/Venerocolo (di 1 milione di metri cubi una, e 1 milione e 250 metri cubi l’altra), una addirittura appena sopra Ronco di Schilpario nella valle del Vo (3 milioni di metri cubi) e una piccola (300 mila metri cubi) nella valle del Gaffione.

In realtà per questi impianti non si ottenne mai la concessione. Progettista del sistema è l’Ing. Gmür, che fa arrivare il suo elaborato “definitivo” al Genio Civile il 12 maggio 1919: la diga sarà “a gravità, in muratura di calce idraulica” per un serbatoio di “circa 5 milioni di metri cubi di acqua”.

Nell’estate 1919 iniziavano gli scavi, prima ancora dell’approvazione del progetto, che avverrà solo due anni dopo, il 28 marzo 1921.

Furono asportati 8300 metri cubi di terra e massi e 7400 metri cubi di roccia. Ai primi di giugno del 1920 si dà inizio ai lavori murari della diga (senza che ci sia ancora l’approvazione da parte del Genio Civile): nell’estate del 1920 vengono eseguiti 13.700 metri cubi di muratura, quasi tutti sulla sponda destra, usando pietrame ricavato dagli scavi, mentre la calce era fornita dal forno costruito in Valbona.

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