Teresa, ultima di 21 figli, e quella stalla sopra Ardesio dove nascose gli ebrei e Liliana Schwamenthal, ultima testimone della grande tragedia

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Teresa, ultima di 21 figli, e quella stalla

sopra Ardesio dove nascose gli ebrei

e Liliana Schwamenthal, ultima

testimone della grande tragedia

 

diGiorgio Fornoni

C’è una piccola grande storia nella tragedia epocale dell’Olocausto che ha sfiorato anche Ardesio e le sue valli. Me l’ha raccontata mia zia, oggi ottantasettenne, l’ultima di 21 figli che all’epoca abitavano in località la Maruchina, una stalla sul versante del Monte Secco. Teresa Montanari,moglie di Riccardo Schwamenthal, bambino all’epoca, racconta: “I miei suoceri si sono trovati ad Ardesio a domicilio coatto, avevano già dietro alle spalle l’esperienza di Ferramonti. Ferramonti era un campo di concentramento italiano per stranieri vivevano non certo in una situazione tragica o drammatica come quelle dei lagher tedeschi, però sicuramente erano privati della libertà”.Ferramonti in provincia di Cosenza era il campo di concentramento più importante. Molti ebrei lì rinchiusi, tra il 1940 e il 1941, vennero spediti al nord, tra questi la famiglia Schwamenthal che dopo un lungo tragitto in treno giunse a Clusone, era il 9 ottobre del 1941.

Era proibito uscire di casa prima dell’alba e rientrarvi dopo l’Ave Maria. Il primo giugno del 1942 la famiglia Schwamenthal venne trasferita a Gromo. Non era sempre un luogo sicuro per le incursioni dei nazifascisti e dovevano per questo cambiare frequentemente riparo.

Da Valgoglio a  Colarete a Boario, rimanendo comunque in quella zona fino al dicembre del 1943, fino a quando fuggirono ad Ardesio. La Maruchina, questo rustico era stato scelto come estremo rifugio dalla famiglia Schwamenthal, ebrea, in fuga da Vienna e dalle persecuzioni nazifasciste. La zia Angiolina sorella di mia mamma, racconta: “Nel ‘44 è arrivata questa famiglia di ebrei e c’era una donna che aspettava un figlio o una figlia. Abbandonarli in mezzo ad una strada perché sono ebrei? Sono persone anche loro come noi. E poi mia mamma diceva: “e i miei che sono via? Una figlia ed un figlio che sono in cerca di fortuna… se anche i miei non fossero trattati allo stesso modo… cosa potrebbero fare? La mamma, la nonna ci pensava a queste cose”.

In quella stalla, il 2 gennaio 1944, dalla mamma Alice, già al nono mese, nacque una bambina, Liliana. Il nome era stato suggerito proprio dalla zia Angiolina. La stalla era affittata alla famiglia del nonno Visinoni ed era stata mia nonna ad accogliere quei profughi spaventati, nonostante ci fossero già tante altre bocche da sfamare. La bambina era nata aiutata dalla levatrice, la signora Bice, e in un momento così carico di pericoli si era riusciti a mantenere nell’anonimato e nel segreto la presenza di quella famiglia ebrea.

Dopo una settimana, il proprietario della stalla, per paura che la incendiassero, intimò a mio nonno di farli andar via, perché tedeschi e fascisti erano sempre più vicini, già nella Roa e nei Ruch. Verso il 10 gennaio per paura di coinvolgere la famiglia che li ospitava, Alice e i suoi decisero di trasferirsi altrove.

La famiglia Schwamenthal, attraversò dunque il Serio, con la bambina in fasce e si diresse a Botto Basso, dove si fermò anche lì poco più di una settimana. Proprio in quei giorni una incursione dei tedeschi aveva fatto diversi morti anche ad Ardesio, persone sospettate di essere partigiani, ma anche semplici civili. Scapparono da quel pericolo e fuggirono verso Piazzolo dove rimasero fino ai primi di maggio del 1944. C’era un clima di terrore crescente e i profughi fuggirono ancora seguendo la valle di Ave, ma per un sentiero più alto e nascosto. Giunsero così su un colle dove sorgevano due stalle, chiamato Ronco Masone, “La Masù”. Si trattennero lassù da maggio ad ottobre del 1944, riuscendo sempre a sfuggire a delazioni e rastrellamenti. Era quello il momento più difficile nelle nostre valli. Appena al di là di colle Palazzo, avvenne un episodio che nessuno potrà mai dimenticare.

L’abitato di Valzurio, poche case in cima alla valle dell’Ogna, era un luogo strategico per i movimenti dei partigiani. Lì trovavano rifugio, potevano facilmente nascondersi sulle montagne o traversare verso le valli vicine. Non da ultimo, presso le case dei contadini, trovavano anche qualcosa da mangiare. La gente era abituata alla loro presenza, ma più volte aveva chiesto che i partigiani si allontanassero dal villaggio, per non mettere in pericolo chi viveva lassù. Il 14 luglio 1944, i tedeschi sferrarono la loro offensiva. Sapevano della presenza dei partigiani per una spiata, e attaccarono con tre colonne: una dalla strada principale da Villa d’Ogna, due da colle Palazzo, per accerchiare i combattenti alle spalle. Ci fu un primo scontro a fuoco, ma i partigiani riuscirono a sganciarsi e fuggire rapidamente. I tedeschi trovarono però, nascoste in una casa, casse di munizioni abbandonate e decisero per una rappresaglia.

Incendiarono quindi l’intero villaggio, appiccando sistematicamente il fuoco alle due estremità e al centro, dopo aver saccheggiato case e cibarie. Dodici famiglie restarono senza più nulla. In poco tempo, dell’abitato di Valzurio, non rimaneva altro che macerie fumanti. La famiglia Schwamenthal non era l’unica a subire la persecuzione nazifascista dalle nostre parti. Negli stessi anni, in quell’epoca di violenza e di fame, qualche decina di famiglie aveva trovato rifugio in val Seriana e in val Brembana. Ad Ardesio, e precisamente in Valcanale, una frazione addossata alle montagne, trovò ospitalità e rifugio, dal 1941 e fino al termine della guerra, la famiglia di un medico friulano dell’Isonzo, che raccontò quella avventura in un libro di memorie.

A Clusone venne trasferita dal campo di concentramento di Ferramonti anche la famiglia Kron. Eugenio Kron era un pittore già affermato, poi trasferito a Sovere, dove viveva nella abitazione della famiglia Camanini. Insieme a tutta la sua famiglia riuscì a mettersi in salvo dopo una soffiata, appena in tempo per sfuggire ad una retata che avrebbe visto tutti deportati nei lager tedeschi. Un’altra famiglia ebrea si era stabilita a Rovetta. Erano benestanti e questo dava loro maggiore libertà di movimento. Riuscivano ad aiutare anche altre famiglie ebree.

Ma a Rovetta un protagonista da ricordare fu anche il parroco. Ospitò diversi profughi a casa sua, mantenendo il segreto e il silenzio fino ai giorni della Liberazione. Liliana Schwamenthalvive oggi a Bergamo, suo fratello Riccardo è morto nel novembre del 2016. Liliana è l’ultima testimone diretta della più grande tragedia della storia recente avvenuta nelle nostre valli.

 

NB – Come si legge da questo documento, il sindaco di Ardesio attesta che da parte del suo ufficio è stata inoltrata domanda al tribunale civile e penale di Bergamo per essere autorizzato a ricevere una tardiva dichiarazione di nascita a nome di Schwamenthal Liliana nata ad Ardesio il 02 gennaio 1944 alle ore 22 e minuti cinque. Ecco che il 06 agosto 1945 il nome di questa bimba venne finalmente reso pubblico e registrato sui registri delle nascite del comune di Ardesio.

 

 

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