TAVERNOLA – IL GEMITO DI SORELLA MONTAGNA SERESÀ

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Frana di Tavernola

Dalla mia finestra vedo la cara montagna de Seresà, Serena di natura che mi conosce fin da bambina! Le parlo e le chiedo perdono, mi scuso con lei per tutta la sofferenza che le abbiamo causato; sono anni che geme, piange di dolore nel rumore dei suoi lievi o forti franamenti con dure lacrime di sasso che scivolavano fino ai nostri piedi per dare da mangiare a noi paesani del dopo guerra affamati!  

Tutte le famiglie con otto o dieci figli cui dare da mangiare. Ed io ero una di queste bambine con due fratelli che facevano questi lavori, conoscevo bene la loro fatica perchè ci passavo in mezzo, vicino, quando prima di andare a scuola elementare ed oltre dagli 8 ai 14 anni portavo ai fratelli operai la colazione perché partiti a digiuno alle quattro del mattino. 

Dino lavorava dai Fugarì a un metro dal forno che cuoceva i sassi. Con una pala di ferro spostava i sassi nel forno dalla parete al centro nel fuoco. Poi andavo giù sotto dove c’era lo zio Giuseppe   che con un carrello raccoglieva le grosse braci e le portava in basso dove c’erano tante buche e ci passavo in mezzo con tanta paura di caderci dentro. 

Qui venivano macinate in polvere di cemento. Ed ancora più in basso andavo dai masnocc.  In certe stanze piene di cemento fino al soffitto e gli operai con un grande carrello sospeso in alto sfondavano nel cemento per riempirlo, la polvere invadeva tutto come una nebbia e ti seccava la gola e mancava il respiro! Gli operai erano cosi coperti di cemento dalla testa ai piedi che quando arrivavo li non riuscivo  a riconoscere mio fratello. Allora lo chiamavo, Pasquale! Poi buttavano il cemento in altra buca che lo portava all’insacco (dove riempivano i sacchi di grossa carta fatti nella cartiera lì vicino dove lavoravano le ragazze grandi del paese, come mia sorella Ines). Alla fine il sacco da mezzo quintale veniva portato in spalle anche da zio Gioanì “canivì” su un grosso barcone che portava il carico a Paratico.  

Quanti morti solo in quegli anni Cinquanta. Lo zio Piero “ciaeta” addetto a trapanare e staccare dei sassi sbalzato da una certa altezza. Privato, amico di Dino, soffocato dal gas delle mine sparate all’interno di caverne.. Il cugino Elia caduto dall’alto di una roccia. L’amico Gepe del cugino Dante fu preso alla schiena da un macchinario che circolava. Poi in altri anni ce ne furono ancora… 

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