sovere – La storia 5 profughi nella casa del Curato “Abbiamo attraversato il Burkina Faso, il Niger, la Libia e poi il mare sui barconi. Vogliamo restare qui”. “Facevo il sarto”, “Frequentavo l’università”.

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Fame, violenza, il mare e ora sotto le ali…di don Angelo

Moussa si è appena alzano, sta facendo colazione. Kante Ali, Karifa, Fufann e Zacaria (che magari non si scrivono così i loro nomi, ma me li scrivono loro sulla mia agenda e partiamo così, sorridono per il mio nome… che è più incomprensibile del loro, e optiamo per un ‘Tea’ che va già meglio). 8.30 del mattino, in cucina caffè e latte e fette biscottate. Tutti e 5 dalla Costa d’Avorio, ma si sono conosciuti a… Casazza. Dove sono stati ‘smistati’ come prima accoglienza dopo lo sbarco a Lampedusa. “Non ci siamo mai visti prima – racconta Karifa che l’italiano è quello che lo mastica meglio – ma ci siamo trovati bene subito”. Che l’Italia era un sogno ma il sogno non è diventato incubo come qualcuno dipinge: “No, qui ci troviamo bene, benissimo. Vogliamo rimanere qui. Il nostro sogno? avere i documenti, trovare un lavoro e farsi una famiglia. Questa è la nostra terra”. Già, la famiglia e i bambini. Kante Ali, 29 anni, in Costa d’Avorio ha una bimba, di 4 anni. Sorride: “Sì, lei è là, e ci penso”. Kante Ali in Costa d’Avorio faceva il sarto, 29 anni: “Là è un mestiere che funziona, costa meno fare i vestiti che comprarli”. Karifa tira un po’ le fila dei 5, 29 anni anche lui ma in Costa d’Avorio studiava, università, mi spiazza: “Tedesco”. Come tedesco? “Sì, tedesco, le lingue servono”. Me ne accorgo anch’io cercando di mischiare francese e italiano. Anche Zacaria studiava: “Ma io non all’università”. Fufann faceva invece l’elettricista e Moussa, il più silenzioso, il meccanico. Arrivati qui, nello stesso posto dallo stesso posto ma su strade diverse. Moussa ha attraversato il Mali, Algeria, Libia e poi Italia. Karifa invece è passato dal Burkina Faso, dal Niger e dalla Libia prima di arrivare in Italia sul barcone e approdare a Lampedusa. La stessa storia di tanti altri profughi che abbiamo incontrato in questi mesi. Mesi in viaggio senza niente, con addosso il cielo e la speranza, fermarsi a lavorare dove capita per trovare i soldi per un viaggio dove la meta è sempre aldilà di ogni cosa, di ogni ostacolo, di ogni alba da non far diventare tramonto. “Siamo partiti perché là non c’è niente, c’è violenza, non c’è futuro, noi vogliamo rimanere qui”. Sorridono. A casa sanno che siete arrivati? “Sì, lo sanno e sono felici”…

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