PREMOLO – LA STORIA /1 – Rosangela: sette anni a San Patrignano: “A me Vincenzo Muccioli ha semplicemente salvato la vita”

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“A me Vincenzo Muccioli e San Patrignano hanno semplicemente salvato la vita, e scusate se è poco. Ho letto in questi giorni delle polemiche suscitate da un filmato sulle vicende della comunità e mi riprometto di vederlo, ma non credo che scoprirò qualcosa di nuovo in merito: io ci sono stata per sette anni, e credo di averne capito l’unicità e l’efficacia, perché lì le tante… fumoserie psicologiche che vengono applicate in altre strutture cosiddette di recupero – lunghe sedute, riunioni di gruppo, tante parole inutili che lasciano il tempo che trovano – non hanno spazio, ti devi confrontare con la vita vera, il lavoro, le persone che ti stanno accanto, i conflitti relativi, le regole, i successi e gli insuccessi, le illusioni e le delusioni… Insomma la vita vera, dalla quale il tossico si è autoescluso con la sua dipendenza…”.

Rosangela Borlini, 48 anni, nasce a Premolo, in una famiglia normalissima e tipica dei nostri paesi: madre casalinga, padre gran lavoratore, una sorella che arriva quando lei è ormai adolescente. Dopo le Medie, trova lavoro in una filatura della zona e, nel tempo libero, ama recarsi in discoteca:

“Andavo al ‘Milleluci’ di Ardesio che allora era molto in voga, e mi piaceva la compagnia dei ragazzi più grandi… Di lì le prime esperienze con qualche spinello, e poi il salto nell’eroina. Il salto era quasi… logico, e io l’ho fatto, dalla perfetta incosciente che ero”.

Ad un certo punto però drogarsi non è più innocua trasgressione e divertimento.

“Diventa un bisogno, un bisogno totalizzante, e allora non riesci più nemmeno ad alzarti la mattina per andare al lavoro… I miei genitori, disperati come si può immaginare, contattano il gruppo degli ‘Amici di San Patrignano’ che esisteva a Clusone, dove viene loro consigliato di pormi davanti all’aut-aut: o la ragazza si mette in riga o la sbattete fuori casa. Loro, ovviamente  col cuore che si spezza, mi sbattono fuori casa, ed io me ne vado, approfittando dell’ospitalità di altri tossici. Un anno così, sto sempre male, mi riduco a pesare 36 chili, finché mi arriva una telefonata da mio padre  –  solitamente duro e di poche parole  –  in cui però avverto tutta la sua sofferenza. Allora mi decido e lo prego di venirmi a prendere”.

Segue una settimana di disintossicazione a casa.

“Con l’assistenza dei miei e di un medico, la disintossicazione fisica è relativamente ‘facile’, in sette giorni ti riesce. E poi, siccome mi avevano detto che a San Patrignano mi avrebbero presa solo qualora fossi stata consapevole e motivata, decido di partire”.

E’ il 1993, Rosangela ha vent’anni. A San Patrignano conosce ovviamente Vincenzo Muccioli:

“Era una persona forte e di polso, certamente,  forse un po’ rude, ma capace anche di grande tenerezza. E non faceva sconti a nessuno. Ricordo quando un importante personaggio politico, che aveva una figlia in comunità, gli chiese di portarla a casa per qualche giorno, o almeno di lasciarla uscire per una gita, un pranzo, una cena; Vincenzo fu irremovibile: – Allora prendila e non riportarla più! – gli rispose, per niente impressionato dal fatto che si trattasse di un personaggio molto potente… Un altro aspetto che voglio chiarire è che Muccioli non ha mai chiesto nemmeno 1 euro a nessuno: i  famigliari, se ci sono, possono vederti una volta all’anno e portarti dei vestiti, nient’altro, a mio padre e a mia madre in sette anni non è stato chiesto nemmeno un centesimo”.

Rosangela in comunità lavora nel settore della tessitura, quello che le è già un po’ famigliare…

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