LO STORICO MIMMO – FRANZINELLI RACCONTA /3 LA VERA STORIA DELLA MARCIA SU ROMA DELL’OTTOBRE 1922

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Mimmo Franzinelli
Il Comando di Perugia e le colonne impantanate Perugia, sede del quadrumvirato, la notte del 27 ottobre passa sotto controllo squadrista.
Le vie della città sono percorse, a mo’ di ronda, da due vetture delle squadre d’azione «Disperatissima» e «Satana», che sul retro della vettura hanno installato una mitragliatrice.
Con infelice tempismo, si celebra alla Corte d’Assise un processo per costituzione di bande armate, che ha come imputati non già i fascisti, bensì un centinaio di «sovversivi» accusati di complicità con il «Comitato esecutivo internazionale comunista di Milano», e imputati di «partecipazione a bande armate per far insorgere i cittadini contro i poteri dello Stato».
A ricordare il clima politico, sono presenti in aula, con atteggiamento minaccioso, gruppi di squadristi, che intimidiscono gli avvocati difensori e i testimoni.
Intanto dal quartier generale all’Hotel Brufani (ubicato di fronte al palazzo della prefettura), sabato 28 ottobre il «Comandante generale» Balbo dirama ai responsabili delle colonne armate una quantità di messaggi, su foglietti recapitati da elementi fidati, che si spostano su motociclette, avventurandosi su strade fangose e insicure.
Raccomanda al gen. Umberto Zamboni di rastrellare fucili nelle caserme, d’intesa con gli ufficiali: «Gli avvenimenti precipitano: la S.V. con treni e camions, immediatamente si porti, con il maggior numero di uomini possibile, a Terni, e s’impadronisca della fabbrica d’armi».
Tuttavia, nella notte dal 28 al 29 Zamboni non ha ancora eseguito l’ordine, che gli viene pertanto reiterato.
Il Quadrumvirato patisce il blocco della circolazione ferroviaria, disposto congiuntamente allo Stato d’assedio. Balbo mobilita i Gruppi ferrovieri fascisti di Firenze e Arezzo, affinché a Chiusi provvedano «immediatamente al ripristino della linea prima dell’arrivo dei treni con gli squadristi dell’Emilia e del Cremonese».
Altro sbarramento della linea (mediante sbullonamento e asportazione dei binari) avviene il 28 nei pressi della stazione di Civitavecchia: sospesi arrivi e partenze con Ancona, Pisa e Firenze, restano in funzione le linee per il Meridione (Sulmona e Napoli).
A Civitavecchia, tradizionale baluardo delle sinistre, «regna viva apprensione; i negozi sono chiusi e la vita paralizzata, essendosi gli operai astenuti dal lavoro» per protesta antifascista.
Quel giorno, vengono bloccati due convogli con duemila squadristi toscani, che ripartono a piedi verso S. Marinella, distante una decina di chilometri: per la capitale, ne mancano ancora una sessantina (nella sosta a S. Marinella, le colonne fasciste occupano Castello Odescalchi e un paio di alberghi).
Siccome gli eventi smentiscono le previsioni, la notte dal 28 al 29 ottobre partono dal quadrumvirato ordini urgenti con richieste di soccorso.
Si chiede ad es. a Farinacci di marciare all’istante da Cremona su Foligno. Ma l’appello rimane senza esito e ancora il 30 ottobre si invocano rinforzi… I ritardi nell’afflusso degli squadristi sono aggravati dal blocco ferroviario a Orte (di qui, la beffarda battuta «O Roma, o Orte!»).
A Monterotondo, altro obiettivo strategico da cui muovere alla volta della capitale, le camicie nere sono poche e prive addirittura del loro comandante, il gen. Fara, che le raggiungerà nel pomeriggio del 29.
Come ciò non bastasse, sulle colonne scendono raffiche di pioggia, col freddo del primo autunno.
Realtà periferiche (ad es. Udine) conseguono gli obiettivi prefissi, ma non riescono a informarne Perugia, per dissesti tecnici.
I piani prestabiliti, saltano. Al mattino del 29 ottobre, De Bono invia un messaggio al magg. Teruzzi, ispettore generale della 5a zona, non ancora partito con i suoi uomini «per i luoghi di concentramento»: viene sollecitato a rispettare i programmi, «tanto più che per ora pare che il generale Fara non abbia potuto raggiungere Monterotondo». La tabella di marcia di Teruzzi – reduce di guerra e veterano della lotta «antisovversiva» – è problematica, poiché «la linea fra Orte e Roma è rotta in due punti».
L’Ispettorato della 7ª zona, la sera del 29 ottobre è impantanato a S. Marinella con 2.413 camicie nere. Il rapporto inviato a Perugia da Dino Perrone Compagni (comandante della colonna «Lamarmora») è deprimente:
Mancano acqua, viveri, denari.
Il regio Esercito ha tolto parte di ferrovia fra Civitavecchia e S. Marinella. Alcuni ferrovieri informano che tale atto è stato compiuto in altre località.
Dalle 16 ad ora [h. 21] non sono passati che due treni sul percorso S- Marinella-Roma e viceversa, completamente vuoti.
Impossibile il collegamento con codesto superiore Comando. Da Perugia a qui con macchina 510 spinta Fiat, abbiamo messo nove ore.
L’efficienza dei reparti paramilitari, le comunicazioni Perugia-comandi locali e la rispondenza alle direttive centrali sono deficitarie (si evidenziano le conseguenze della scelta di una località come Perugia, isolata dalle principali reti di comunicazione).
Senza la resa dei liberali, le colonne mai raggiungerebbero Roma.
Ma non per questo si può dire che abbiano fallito. Anzi: la pur deficitaria mobilitazione pesa in modo determinante nell’ottenimento della vittoria politica.
Le linee ferroviarie verranno gradualmente riattivate dopo l’annullamento dello Stato d’assedio, a partire dal pomeriggio del 29 ottobre, ovvero dopo la resa liberale a Mussolini.
Il quadrumvirato può lasciare da trionfatore Perugia e trasferirsi a Tivoli, per meglio coordinare l’afflusso nella capitale, dove poi Balbo, Bianchi, De Bono e Devecchi entreranno da padroni.
Verso il cambio di regime
Si avvia a ingloriosa conclusione la prolungata agonia del gabinetto Facta, assediato da una realtà che non controlla e sempre sull’orlo dell’implosione per l’inconciliabilità di ministri filofascisti (di Scalea, Schanzer, Riccio) e antifascisti (Alessio, Amendola, Taddei)….
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