L’INTERVISTA – Don Mazzucchetti, da cappellano del carcere a parroco di Piario. “La Giustizia ti fa pagare quello che rompi, non te lo fa riparare.…”

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Cosa si può dire di un prete che per dieci anni ha avuto in carico una parrocchia del tutto particolare come quella di un carcere, carcere di Via Gleno? Quanti parrocchiani (“anime” si direbbe con linguaggio d’antan) avevi? “La media, al di là di variazioni nel tempo, è sempre intorno ai 500 detenuti perché il carcere di Bergamo, come un po’ tutte le carceri d’Italia, soffre di sovraffollamento, era predisposto per un’accoglienza di 350 detenuti, poi si sfora sempre, si va da 400-450 fino a 520 detenuti, tra reparto maschile e femminile”.

Quando ti hanno detto, dieci anni fa, vai a fare il cappellano delle carceri, eri stato direttore di un grosso oratorio come quelle delle Grazie a Bergamo, il passaggio poteva essere traumatico, i giovani dell’oratorio sono in sintonia, qui si trattava di avere a che fare con “parrocchiani” eterogenei e del tutto sconosciuti…

“Effettivamente il trauma c’è stato, anche perché la decisione è arrivata all’ultimo minuto, in quanto il Cappellano che ho sostituito era diventato improvvisamente Ispettore Generale dei Cappellani delle carceri italiane, era don Virgilio Balducchi (di Tavernola. Ha terminato l’incarico a fine 2016 – n.d.r.). La paura è quella che ci portiamo dentro tutti, nell’immaginario, chissà chi ci sarà dentro, vengono sempre descritti come mostri, ma effettivamente anche lì l’età media è molto bassa, sono giovani, tanti tanti giovani, l’età media va dai 35 ai 40 anni . Poi mi sono ricreduto, certo, non sono i giovani dell’oratorio, il primo impatto poi era part time perché io ho avuto l’incarico di cappellano delle carceri il 1 gennaio 2012 ma ho lasciato l’oratorio delle Grazie a settembre, all’inizio c’erano le mamme e i bambini che mi salutavano in centro, ciao don ciao don, sai com’è dopo tre anni di Cre… poi avendo iniziato a conoscere i detenuti dentro il carcere ma anche quelli che seguivamo fuori, alla Stazione o alla Caritas, il ciao don era molto diverso perché ne seguiva anche una richiesta di aiuto. Sicuramente è stata una bella esperienza perché l’umanità insegna sempre, soprattutto quella che sta soffrendo”. 

Mentre in una parrocchia normale ti vengono a confessare i loro peccati, qui ti trovi di fronte a dei reati. C’è differenza?

“Anche i reati sono peccati, non tutti i peccati invece sono reati. Sono rimasto sorpreso perché dentro il carcere ho trovato un desiderio di ricominciare a partire dal riconoscere lo sbaglio che si è fatto e il desiderio di riparare anche se non sempre è possibile perché la nostra Giustizia ti fa pagare quello che rompi, non te lo fa riparare, per cui il percorso riconciliativo è più lungo, quella di stile anglosassone dovrebbe affermarsi anche da noi, ma per adesso non è così . Faceva piacere che qualcuno, rendendosi cosciente del male fatto, riallacciasse un rapporto con Dio che magari aveva lasciato perdere da piccolo per le situazioni che aveva vissuto in famiglia o dentro una comunità che non è stata capace di seguirlo. Nel 2013 siamo andati a Roma per il solito incontro formativo e abbiamo incontrato anche Papa Francesco e la prima frase che ci ha detto, nell’udienza, è stata: ‘quando io incontro un detenuto mi chiedo perché lui e non io’ , lo diceva lui, in quanto a volte è questione solo di percorsi, capacità di starci sul percorso, capire i valori che ti aiutano a scegliere una buona vita e altri che ti portano fuori. Un discorso che il Papa continua a ripetere nei suoi incontri con i detenuti”. 

Non è certo quello che in generale pensa la gente fuori che quando sente che ci sono dei disagi, ci sono dei suicidi, ci sono delle situazioni disperate, dice ‘gli sta bene e anzi dovrebbero essere trattati peggio’. E dice, perché mai i preti vanno a consolarli e assisterli, vengano ad aiutare noi parrocchiani che al massimo abbiamo commesso qualche peccato (sempre concepito come veniale) ma non dei reati.

“Sai che questa critica della gente fuori io l’avevo ricevuta dentro, da un agente, infatti c’ero rimasto male e col senno di poi potevo rispondergli anche in riferimento al Vangelo… quell’agente aveva l’idea che chi non merita non deve avere. E perché tu che fai del bene continui a renderti inutile?…

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