LEFFE – DUE PAGINE DI RICORDI DI ‘PEKE’, FABRIZIO PEZZOLI – “O CAPITANO! MIO CAPITANO!”, quel bambino cresciuto con il Leffe nel cuore

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di Luca Elco Basso Basset

Un bambino cresciuto a Leffe negli anni 80′ e 90′ non può che essere stato almeno una volta nella propria vita allo Stadio Martinelli per vedere una partita del Leffe. A cavalcioni sulle spalle del papà, sui seggiolini con il nonno, nelle gradinate con gli amici oppure di nascosto perché le poche lire, che passava la famiglia, bastavano appena per pagare la benzina del cinquantino o la pizza il sabato. Tutti questi bambini e ragazzi hanno assaporato da vicino quell’epopea di campioni, perlopiù conterranei, che si davano battaglia con squadre di città sempre più grandi e sempre più blasonate. In primavera si respirava un odore d’erba appena tagliata e maglie sudate, d’inverno invece si percepiva il profumo dell’olio canforato e un freddo pungente che solo quella zona di Leffe sapeva dare come se si volesse avvisare, con un forte monito, qualunque avversario si fosse presentato in terra laniera. Pomeriggi di gioia, pomeriggi di lacrime ma sempre, sempre pomeriggi di forti emozioni e di grandi giocate che facevano accapponare la pelle e ti mettevano nelle condizioni di poter pensare di essere al centro del mondo.  Oggi un bambino nato e cresciuto a Leffe negli anni 80′ e 90′ non può che essere un adulto triste. Il supereroe di quelle storiche cavalcate, il capitano, il Leffese che difende i colori del proprio paese, non c’è più. Fabrizio Pezzoli, detto Peke, classe 1962 è scomparso martedì 21 giugno dopo una lunga battaglia contro la malattia. Centrocampista e capitano, quindici anni di Leffe tra C1, C2 ed Interregionale sotto la saggia e paterna presidenza di Maurizio Radici e tante vittorie ottenute che hanno riempito un palmares fino a quel momento vuoto: la Coppa Italia Dilettanti del 1982 (più la semifinale del 1990), la vittoria di due campionati interregionali (1985 e 1990) e la promozione in C1 nel 1992 con conseguenti quattro stagioni in categoria, massima serie raggiunta dai biancocelesti (solo il Castel di Sangro, a livello nazionale tra piccoli comuni, riuscirà a fare meglio dei Lanieri approdando fino in Serie B). In particolare, la Coppa Dilettanti e la promozione in C1 festeggiavano i loro anniversari proprio questo anno (40 e 30 anni) e nelle scorse settimane la nuova società del Leffe aveva conquistato una promozione in prima categoria, un grande traguardo dopo anni di anonimato: c’erano tutti gli elementi per una grande festa che è stata stroncata da questa immane perdita.

Un Leffese a difendere i colori del Leffe

Una carriera solo ed esclusivamente con i colori del Leffe dopo i primi anni nelle giovanili dell’Atalanta. Il ritorno a casa avviene nel 1978, con l’esordio nei “grandi” a soli 16 anni. Da lì un alternarsi tra giovanili e prima squadra fino a diventare un punto di riferimento fisso e inamovibile a soli 21 anni, nel 1983. Quasi vent’anni con i colori biancocelesti, trascinando i Leffesi a raggiungere traguardi che fino a quel momento stazionavano solo nei loro sogni. La Coppa Italia Dilettanti, la promozione in C1 e una Serie B accarezzata solamente ma che ha lasciato, in chi ha visto questa squadra, l’orgoglio di poter dire che un paese di 5.000 abitanti ha lottato alla pari e fino alla fine con piazze altisonanti e nobili decadute. Un Leffe d’oro dove sono passati giocatori di ogni tipo, meteore e campioni, giovani all’inizio della carriera e veterani verso il tramonto, persone che hanno lasciato troppo presto e altri che invece si sono spinti fin sul tetto del mondo. Insomma, un bel mix di calciatori con una sola costante: Peke.

Il Leffese del Leffe.

Per il nuovo arrivato era lui il punto di riferimento, il collegamento tra squadra e allenatore, tra società e tifosi: molto più di un semplice capitano, una bandiera. Bandiera. Una parola difficile da capire, per coloro che non sono del settore, ma che è estremamente rappresentava di ciò che rappresentava Peke. Fabrizio era, ed è ancora oggi, il simbolo, il simbolo di un intero paese raccolto per seguire le gesta del proprio capitano e della propria squadra del cuore: un attaccamento viscerale alla maglia ed ai colori ed infatti non c’erano differenze nell’identificare lui e il Leffe perché erano ormai un tutt’uno, l’uno in funzione dell’altro. Bandiera, capitano, fantasista e numero 10: nulla di più poetico. Sarebbero tanti gli esempi, a livello nazionale, di calciatori che hanno dato tutto per la maglia della propria squadra e città ma quello che può rendere di più l’idea è quello di Agostino di Bartolomei, ex capitano della Roma. Per i più giovani, il paragone dirà poco o nulla ma probabilmente è l’unico modo per far capire e comprendere quanto sia stato attaccato alla maglia, senza mai dar peso ai riflettori e alle mode nonostante le indiscusse qualità e quanto sia stato sfortunato, per circostanze diverse, nel non poter godere una vita che avrebbe dovuto regalargli e regalarci ancora tanti momenti ed emozioni.

“Nino non aver paura / di sbagliare un calcio di rigore /

/ Non è mica da questi particolari / che si giudica un giocatore /

/ Un giocatore lo vedi dal coraggio, / dall’altruismo, / dalla fantasia”…

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