(dal numero del 3 marzo 2023)
Roberto: “A giugno vado in pensione, ma penso che nessuno ritirerà il mio negozio, perché sarebbe economicamente insostenibile, anche a causa dei vari balzelli e della burocrazia. E così, qui in paese non resterà più niente”
Arrivando a Casale, l’ultimo paese della Valle del Lujo, torna alla mente la vecchia canzone “Che sarà” dei Ricchi e Poveri, che all’inizio recita: “Paese mio che stai sulla collina, disteso come un vecchio addormentato…”. Infatti, il piccolo borgo sembra addormentato in questa fredda mattina di fine febbraio. Una leggera coltre di nebbia impedisce di guardare dall’alto il fondovalle, che da quassù appare grigio, come è grigio anche il cielo coperto da nubi. E, nel bel mezzo di questo ‘grigiore’, c’è Casale, tranquillo e al tempo stesso simpatico. Ci troviamo sul territorio comunale di Albino, ma il capoluogo è lontano anni luce. Qui non c’è il rumore delle auto, non c’è traffico, non si sentono le voci confuse della cittadina seriana. Qui regna la pace tipica dei paesini di montagna. Ma, oltre alla pace, ci sono anche i problemi dei paesini di montagna. Uno di questi è il venir meno, anno dopo anno, dei servizi. La montagna sta perdendo (e in gran parte ha già perso) uffici postali, asili, scuole, sportelli bancari e altro ancora; i negozi e le varie attività sopravvivono spesso per la perseveranza della gente di montagna. Anche la Chiesa è in ritirata, togliendo (per mancanza di vocazioni) i preti dai piccoli centri. Araberara è a Casale di Albino perché fra pochi mesi questo borgo potrebbe perdere il suo unico negozio, “Nonsolopane”. Roberto Zanga, il titolare, è infatti ormai prossimo alla pensione dopo una lunga attività lavorativa durata ben 43 anni. Adesso ne ha 58. Ci accoglie nel suo negozio di alimentari, dove è possibile trovare anche giornali e tabacchi. “Sono autoctono di Casale, sia da parte di madre che di padre – sorride Roberto – Ho cominciato presto a lavorare e perciò il primo giugno, quando avrò quasi 59 anni, potrò andare in pensione. Quello che mi dispiace, però, è che se chiudo il negozio, qui in paese non resterà più niente. Temo che nessuno potrà subentrare, anche se c’è chi mi ha chiesto informazioni, ma per loro, dovendo pagare anche l’affitto, sarebbe economicamente insostenibile. Negli ultimi due anni, in pratica dopo il Covid, il lavoro è calato, anche perché sono morti alcuni anziani del paese, che erano i miei clienti più assidui. I giovani, infatti, che comunque qui non mancano, non vengono da me a fare i loro acquisti, ma fanno la spesa ad Albino o nei supermercati. Poi, magari, capita che si accorgono che gli manca il sale e vengono qui, ma gli incassi sono ovviamente bassi. E poi, a differenza degli anziani, le giovani coppie hanno un minore senso della comunità. Io, per fortuna, sono proprietario di questo ambiente, quindi almeno l’affitto non lo devo pagare; ma se fra qualche mese arrivasse qui qualcuno per ritirare il negozio, come farebbe? Purtroppo con le condizioni attuali avere un negozio in un paesino di montagna è difficilissimo. Questo anche a causa dei vari balzelli, che non mancano mai, e della burocrazia, che impone il registratore telematico, la fatturazione elettronica e via dicendo, cioè tutte cose che rendono la vita difficile, o impossibile, ai piccoli negozi. Da vent’anni si parla di semplificazione, ma poi ogni anno ci complicano la vita. Poi, mi riferisco ai politici, ci si riempie la bocca parlando dell’importanza dei negozi di vicinato, ma in partica si fa poco o niente per sostenerli. Anche perché bisognerebbe tenere conto dell’importanza sociale di questi negozi, un’importanza di cui ci si rende conto quando un paese, chiuso l’ultimo negozio, diventa vuoto, povero. È quello che temo capiterà a Casale, perché chiuso il mio negozio qui non resterà più niente. L’unico luogo di aggregazione sarà il bar dell’oratorio, che è aperto solo in certi orari e, lo voglio sottolineare, grazie all’impegno dei volontari”. Come dicevi, ritirare un negozietto in un paese così piccolo, dovendo magari pagare l’affitto, è economicamente insostenibile. “Sì. Un negozietto come questo ha un sacco di spese che non c’entrano niente col fatto di svolgere un’attività che, in questo caso, è più sociale che economica. Un negozio così, infatti, non ti fa diventare ricco, ma permette di tenere vivo il paese. Lo vedo al mattino, quando magari si trovano qui a prendere il pane alcune persone, anziane o di mezza età. Incontrandosi, si mettono a parlare e stanno qui un bel momento. Senza il negozio dove si vedranno?”. Cosa servirebbe? E, soprattutto, cosa dovrebbe fare la politica (in questo caso il Comune di Albino) per questi negozi dei piccoli centri che, in effetti, sono dei veri e propri luoghi d’incontro per la popolazione? “Servirebbe una fiscalità differenziata per i piccoli paesi di montagna, perché non è giusto che le regole siano le stesse per uno che ha il negozio in centro e uno che il suo negozio ce l’ha in un paese di 300 abitanti come Casale! Si può pensare a qualcosa per l’Imu e la Tari, ma non sarebbe sufficiente, servirebbe qualcosa di più radicale. Comunque, ne parlerò con gli amministratori di Albino. Il discorso è però anche un altro…”. Quale? “Vedi… qui a Casale una volta (mi riferisco a quando ero bambino, all’inizio degli anni Settanta) c’erano due negozi e due bar/ristoranti. Tutti lavoravano e vivevano con i loro guadagni. Ma il mondo è cambiato molto da allora. C’è la grande distribuzione che ha strozzato i piccoli negozi, ci sono gli acquisti online, la gente, anche quella che abita a due passi dal mio negozio, preferisce fare la spesa altrove, nei grandi negozi e supermercati. Là va a fare la ‘spesa grossa’ mentre qui viene a comprare un solo articolo, pagando pochi euro. E, mancando bar o ristoranti qui a Casale, la gente è ormai abituata a spostarsi in altri centri più grandi, si disperde. Andando là a bere il caffè o a cena, fa là anche la spesa… Anche io avevo un bar qui a Casale. L’ho rilevato nel 1992 insieme ad altri due soci; nel 1995 sono rimasto da solo e l’ho tenuto fino al 2005”. Perché l’hai chiuso? “Perché mi sono sposato e per non divorziare subito – si mette a ridere – ho chiuso il bar e ho aperto questo negozio. Tieni anche conto che il bar era in affitto, mentre questo negozio è di mia proprietà. Con un negozio di alimentari avevo più tempo per la mia famiglia, per la mia attività di volontariato”. Adesso sono le 10,30. Quante persone sono entrate finora nel tuo negozio questa mattina? “Una decina di persone venute a prendere il pane fresco; poi io porto nelle case una ventina di sacchetti di pane e torno qui a metà mattina. Arriva ancora qualcuno dalle 10 in avanti. Poi sono aperto nel pomeriggio dalle 16,30 alle 19, ma di gente ne arriva poca. A volte capitano pomeriggi in cui non entra nessuno”. Capita che i tuoi clienti escano dal negozio con la borsa piena? “Raramente, perché vanno a fare la spesa grossa al supermercato!”. Durante l’intervista sono entrati tre clienti: uno ha preso un piccolo sacchetto col pane, uno ha comprato le sigarette e uno il giornale. Piccoli acquisti, piccoli incassi. Servirebbe ben altro! Saluto Roberto ed esco. Le vie di Casale sono vuote. Dopo un centinaio di metri incrocio una signora che cammina con una gran fretta. Si ferma. Le chiedo cosa pensa della prossima probabile chiusura del negozio. La risposta è chiarissima: “Sono disperata. Non so come farò. Quello di Roberto è un punto di riferimento per noi. Però lo capisco, perché dopo 43 anni è giusto andare in pensione. Ma me so’ disperada”. In giro non incontro più nessuno. Passando nuovamente nei pressi del negozio vedo un anziano che sta uscendo. Cammina con le stampelle. È Attilio, ex campione mondiale di stecca; un milanese che ha deciso di passare qui gli ultimi decenni della sua vita. Anche lui soffrirà per la chiusura di questo luogo d’incontro del piccolo Casale, il borgo in cima alla Valle del Lujo che rischia di spegnersi ancora un po’ fra pochi mesi. La canzone “Che sarà” recita anche, riferita al paesino che sta sulla collina: “La noia, l’abbandono, il niente, son la tua malattia, paese mio ti lascio, io vado via”. Già, bisogna evitare che questo sia anche il futuro di Casale.
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