SANTO DOMINGO? IL PARADISO DELLA “TRAMPA” PUERTO PLATA SANTO DOMINGO

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    SANTO DOMINGO? IL PARADISO DELLA “TRAMPA” PUERTO PLATA SANTO DOMINGO “Volevamo aprire una sala da ballo. SONO FINITO IN CARCERE, e fermato per tre mesi, vittima di una truffa gigantesca”.

    per quella che doveva essere una vacanza e si è trasformata in un incubo, un incubo di tre metri per tre, le dimensioni della cella dove Maurizio è stato rinchiuso assieme ad altre nove persone per quella che laggiù chiamano ‘trampa’. Maurizio ha la faccia stanca ma gli occhi sono tornati a muoversi liberi e quello basta e avanza per cominciare a raccontare una storia lunga tre mesi, cominciata in un giorno di fine giugno quando il caldo esplodeva dappertutto e la luce si infilava in ogni buco e terminata a fine settembre quando il vento cominciava a pungere e la luce se ne era andata da tempo. Maurizio Gatti abita in Valle Camonica: “Sono andato a Santo Domingo a fine giugno, in ferie con un gruppo di amici, c’era anche Stefano Benedetti, già campione del mondo di rock n’roll, ci siamo andati proprio per la passione che tutti noi abbiamo del ballo, c’era anche Franco Bigoni, (maestro di ballo molto conosciuto nella zona del lago d’Iseo), voleva vedere se era possibile aprire una scuola di ballo laggiù, e io ne ho approfittato per accompagnarli e farmi una vacanza”. Il fonto incidente Prima di partire prenotazioni d’obbligo e assicurazioni: “Ho prenotato il noleggio di un’auto da una compagnia internazionale, ho fatto tutte le assicurazioni del caso, compresa la casco per coprire qualsiasi tipo di problema, insomma mi ero garantito un po’ dappertutto, meglio muoversi tranquilli e invece…”. Invece? “L’incubo è cominciato subito. Arrivati a Santo Domingo siamo andati a prendere l’auto presa a noleggio, guidavo io, sembrava tutto tranquillo, a un certo punto mi sono fermato a uno Stop, anche se lì non esistono segnali stradali o se esistono non vengono rispettati, noi invece eravamo rigorosamente fermi quando un motorino ci ha investito, ci è venuto addosso, naturalmente il ragazzo che guidava è finito a terra e si è ferito. Ci siamo fermati ed abbiamo aspettato tranquilli l’arrivo della polizia, non eravamo per niente preoccupati anche perché eravamo coperti dall’assicurazione e in ogni caso non era colpa nostra”. Maurizio non sapeva ancora che in questo periodo a Santo Domingo va di moda la ‘trampa’, una truffa ai danni dei turisti: “Arriva la polizia e ci accompagna al comando, ci prendono i documenti e comincio a capire che qualcosa non funziona, non capisco come mai mi fermano per tutto il giorno e mi dicono che l’indomani devo trattenermi in albergo per ufficializzare il discorso assicurativo”. Cella con… piscio Maurizio comincia a insospettirsi: “Erano tutti d’accordo per fregarci, per fregare più soldi possibili ai turisti, dai poliziotti agli avvocati”. Cosa è successo? “Mi sono presentato come d’accordo il giorno dopo al ‘fiscal’ che è una figura che in Italia non esiste, è una sorta di giudice che stabilisce le varie cauzioni, mi sono presentato con l’avvocato che l’assicurazione mi ha mandato senza sapere che era d’accordo anche lui”. E cosa ti hanno detto? “Mi hanno fatto arrestare”. Maurizio si tocca i capelli nervosamente: “Carcere preventivo, diverso dalla prigione normale, una porcilaia”. Dov’eri? “A Porto Plata, in un vecchio palazzo del 1500, una cella di tre metri per tre con altre 9 persone, senza bagni e luce, non c’era posto per sedersi, ci toglievamo i vestiti e cercavamo di sdraiarci sopra per riposare qualche ora, non c’era un cesso per questo ho bevuto solo acqua, altrimenti dove la facevo? In alto alla cella c’era una piccola feritoia dove passava uno sprazzo di luce, ma non si vedeva nulla era tutta coperta da scatolette di cibo, per il resto tutto buio. Pisciavo dentro una bottiglietta che poi vuotavo nel buco che c’era per terra. Gli altri per andare a pisciare si toglievano le scarpe, entravano con i piedi in quattro dita di piscio e la facevano, poi tornavano, si pulivano alla bene meglio i piedi e si infilavano le scarpe, una situazione igienica spaventosa”. E la… compagnia com’era? “C’era di tutto, un ragazzo dentro per tentato omicidio, uno per droga, uno per rissa. Lì funziona così, non c’è molta differenza tra un reato e l’altro, se hai i soldi paghi la cauzione, altrimenti resti dentro. Per tentato omicidio chiedevano 100 euro di cauzione che per laggiù sono tantissimi, per noi no, ma per me che ero un turista la situazione era più grave”. Maurizio passa la notte in cella: “Così magari il turista è più malleabile e paga”, Processo in manette Il mattino dopo lo vengono a prendere, lo ammanettato e lo portano al processo: “Mi hanno processato in manette, mi hanno tolto tutto, i miei amici fuori intanto tenevano i contatti con l’estero e cercavano di capire cosa stava succedendo o se era già successo altre volte. Chiedo di chiamare il console italiano, gli spiego la situazione, e lui mi dice che devo pagare il ragazzo del motorino, gli spiego che è lui che mi ha urtato, il console mi risponde che noi italiani lì siamo ospiti e che dobbiamo fare quello che dicono. A quel punto chiedo al Console di inviarmi una lista di avvocati di fiducia a cui rivolgermi, naturalmente la lista non è mai arrivata, intanto mi ritrovo con un avvocato che non faceva nulla per difendermi, anzi, erano tutti d’accordo”. Un milione di pesos Gli amici fuori dal carcere si muovono, frenetiche chiamate con l’Italia, anche con i carabinieri di Lovere, con cui Maurizio è in amicizia e alla fine sembra aprirsi uno spiraglio: “Franco (Bigoni, il maestro di ballo ndr) riesce a contattare un italiano che è là da parecchi anni e che conosce ormai tutti, gli spiega la situazione, lui capisce che il problema è grave, dice ai miei amici di riferirmi di non accettare nessun avvocato che me ne avrebbe mandato uno lui visto che lì ormai erano tutti corrotti o quasi”. Intanto comincia il processo: “Sono in tribunale in manette, c’è la Fiscal, l’avvocato del ragazzo caduto in motorino, l’avvocato dell’assicurazione, il mio avvocato esterno, io non sapevo ancora che erano tutti d’accordo per spillarmi più soldi possibile. Un processo incredibile, non era nemmeno importante se io fossi o no colpevole, mi hanno condannato sulla base del fatto che non avevo un conto corrente aperto in quel paese. Ma chi ce l’ha? Quindi 20 giorni di arresto commutati in un milione di pesos di cauzione che sono 25 mila euro e sei mesi di impedimento di uscita dal paese. Io sono pensionato e quindi potevo anche trattenermi sei mesi ma è chiaro che era tutta una truffa perché un altro come avrebbe potuto? avrebbe sicuramente perso il posto di lavoro e quindi era costretto a pagare i 25 mila euro. E solo al processo ho scoperto che l’assicurazione che avevo stipulato copriva solo per 4.000 euro il danneggiato e 6.000 euro di cauzione. Non ero coperto in nulla”. Il Console italiano “Mi sono fatto accompagnare a telefonare ancora al Console, gli ho detto del processo, della condanna e lui mi ha semplicemente risposto che la mia situazione si era aggravata. Mi sono messo a urlare che quello era un sequestro di persona a scopo di estorsione e il console per tutta risposta mi ha risposto che gli avevano detto che nell’uscire dalla cella mentre mi riammanettavano avevo dato un pugno a un poliziotto, non era vero ma non ci potevo fare molto. I poliziotti mi accompagnano a ritirare 3.500 euro, tutto quello che potevo ritirare, dovevo pagare gli avvocati per aiutarmi a uscire da lì. Ma appena ritirati i soldi arrivano i miei amici…”. Maurizio si ferma un attimo e poi riprende: “Mi hanno urlato di non dargli niente, che era tutto un imbroglio, che mi avrebbero mandato l’avvocato giusto loro, che quell’italiano contattato laggiù ne stava mandando uno lui di sua fiducia, un avvocato in gamba e onesto, amico personale del Presidente, ma ormai avevo ritirato i soldi e stavo andando in cella, ma se pensi che un poliziotto ha una paga di pochi euro al mese e lì c’era dentro gente che non poteva pagare 10 euro di cauzione capisci che per quella cifra chiunque in cella avrebbe trovato il modo di farmi fuori”. In auto col machete E cosa è successo? “Mentre mi stavano portando dentro mi sono sfilato i pantaloni e li ho lanciati a una mia amica poco lontano, le ho gridato di scappare in albergo, nei pantaloni c’erano i soldi”. Mentre Maurizio racconta la storia, seduto vicino a lui c’è Franco Bigoni: “Non ti dico che notte abbiamo passato – spiega Bigoni – sul tetto col machete con la paura che arrivassero i poliziotti a prenderci i soldi”. Intanto arriva l’avvocato mandato dall’amico italiano: “Raccoglie tutti i particolari della vicenda e mi dice che purtroppo dovevo passare ancora un paio di notti in carcere, perché nel frattempo doveva muoversi per provare a sistemare la vicenda e gli servivano 2.700 euro per pagare tutte le persone che erano dietro la ‘trampa’”. L’avvocato si muove e le cose cominciano a sistemarsi ma sorge il secondo inghippo, Fuga per l’Italia Maurizio non può più lasciare il paese, su di lui c’è una condanna definitiva: “Anche se il processo non era stato corretto c’era una condanna definitiva e ufficiale che sarebbe apparsa su qualsiasi terminale di qualsiasi aeroporto e mi avrebbe impedito di salire su un aereo. Nei terminali non appare il motivo della condanna, ma il fatto che ci sia stata. Ero bloccato lì”. Maurizio pensa di scappare: “Mi sembrava l’unica soluzione possibile, non trovavo un’altra possibilità, tramite il mio avvocato pensavo di trovare qualche funzionario dell’immigrazione che mi potesse dare una mano”. Intanto gli amici erano riusciti ad andarsene: “Non hanno nemmeno riportato l’auto al noleggio perché altrimenti avrebbero capito che se ne stavano andando, sono scappati da Puerto Plata, si sono spostati a Boca Chica e hanno preso l’aereo, la polizia li ha cercati ma non li ha trovati, hanno fatto in tempo ad andarsene. Dall’Italia avrebbero comunque continuato a seguirmi, lì era troppo rischioso, l’unico obiettivo che hanno quelli laggiù è spillare più soldi possibili ai turisti, rischiavano anche loro di finire dentro senza aver fatto nulla”. L’avvocato giusto Maurizio è libero grazie all’avvocato giusto ma non può lasciare il paese e la fuga sembra impossibile: “Sono andato dal Console e gli ho detto tutto quello che pensavo di lui, di quella vicenda, che se fosse stato per lui sarei morto in prigione, che non avevo fatto nulla e che da due mesi e mezzo ero bloccato lì, che avrei fatto partire una denuncia dall’Italia alla Procura della Repubblica. Ormai non avevo più nulla da perdere. Almeno mi ero sfogato, pensavo che la cosa finisse lì e invece il Console si è spaventato e qualcosa ha cominciato a muoversi. Io intanto sono tornato nell’alloggio che mi aveva trovato l’avvocato e dove stavo ormai da mesi senza sapere che qualcosa stava davvero per cambiare”. Maurizio riceve una telefonata: “Era il console che mi comunica che qualcosa si era mosso, mi dice di chiamare il console di Porto Plata che ci sono novità per me. Chiamo e mi sento dire che sembra che l’assicurazione ha pagato il ragazzo col motorino che ha accettato l’importo. Mi dice di andare al consolato a ritirare i documenti che posso partire. Ma il mio avvocato mi dice di non fidarmi ad andare al Consolato da solo, gli dico che non posso muovermi perché in quei due mesi e mezzo ho finito tutti i soldi e ormai dormo sul pavimento. Non ho soldi per il biglietto. I funzionari mi dicono che la ‘fiscal’ ha firmato e che non è necessario che io vada, con la firma della ‘fiscal’ è stato tolto l’impedimento per lasciare il paese. Loro possono spedire i documenti ma il mio avvocato mi spiega che possono passare anche mesi, così l’avvocato decide di mandare una persona a ritirare i documenti per me. Io intanto mi preparo a rientrare in Italia, non posso permettermi che succedano altri casini”. Libero dopo 3 mesi La persona di fiducia dell’avvocato ritira i documenti e li consegna a Maurizio, è libero. “Era un mercoledì, alle 6.30 sono salito sull’aereo, ero libero”. Era il 23 settembre, Maurizio era partito per Santo Domingo il 24 giugno: “Alla fine quella trampa mi è costata 5.000 euro, mi è andata bene solo perché ho trovato l’avvocato giusto, un uomo tutto d’un pezzo che sapeva come muoversi, che ha studiato a New York ed è amico personale del Presidente di quel paese e per vie traverse è riuscito a trovare la soluzione giusta ma se fosse stato un altro cosa sarebbe successo? Io ho deciso di raccontare la mia storia proprio per mettere in guardia tutti i turisti di quello che succede adesso a Santo Domingo. Mi ha spiegato l’avvocato che la crisi laggiù ha messo in ginocchio tutti e adesso si arrangiano anche così, ci sono alcune persone che aspettano proprio i turisti per andargli addosso con motorini e auto e da lì parte la ‘trampa’, chi ci finisce dentro è perduto, l’obiettivo unico è strappare più soldi possibile a qualsiasi costo”. Tutti corrotti E alla fine tutti cedono: “Perché è impossibile che uno accetti di rimanere sei mesi lì, perderebbe il lavoro, quindi paga, anche perché laggiù la prigione è invivibile, non c’è cibo e nemmeno acqua, se hai i soldi li compri, altrimenti niente, è tutto sporco e non c’è spazio e luce, rischi la vita ogni momento. Sono tutti corrotti, quando mi è stato comunicato di non pagare quei 3.500 euro agli avvocati perché stava arrivando l’avvocato giusto, i poliziotti sono diventati cattivi, ricordo che mi spintonarono in cella, perché vedevano che la loro fonte di guadagno stava andandosene da un’altra parte”. Maurizio è rientrato in Italia, e adesso? “Adesso ricomincio, spero di dimenticare in fretta tutta questa vicenda, ma prima volevo raccontarla, che sia di monito a tutti, attenti a firmare assicurazioni, non coprono nulla. E le truffe sono ovunque. Quando i miei amici sono rientrati in Italia all’aeroporto hanno incontrato alcuni ragazzi che dovevano salire sull’aereo, il limite del peso dei bagagli è fissato a 15 chili a testa, all’improvviso i poliziotti quel giorno lo hanno portato a solo 5 kg e per ogni chilo dovevano pagare una penale che era il triplo dello stipendio mensile di ogni poliziotto. Insomma, ogni occasione è buona per provare a spillare soldi”. Maurizio ha finito, sorride: “Adesso però sono di nuovo a casa”. Si riparte.

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