“Non sono uomo del caldo, abito dietro una montagna di roccia calcarea e mi piace pensare che lo sono anch’io, assorbo tutto come una spugna. Il silenzio diventa narrativa”

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    In via Combattenti arrivano i nuovi parcheggi

    Davide Sapienza, il ‘grizzly’, nel senso fisico, della letteratura italiana, ‘così mi chiamano i miei amici’, arriva tenendo sotto il braccio… l’acqua, che l’acqua è l’io narrante de ‘La strada era l’acqua’, un io dolce, rabbioso, morbido, vivo e che scorre, scorre e scorre, come l’acqua, come Davide che quando comincia a parlare dei suoi progetti è davvero un fume in piena. Davide, prima giornalista musicale, poi traduttore e scrittore, alla continua ricerca di un flo di Arianna che porti a nuovi labirinti, nuove scoperte. In una frase del libro scrivi ‘le frontiere del futuro sono dentro di noi’, ma cosa c’è ancora da scoprire al mondo per te che sei partito dalla musica, sei stato in territori solitari e sconfnati come la Norvegia e il Canada e adesso fai parlare l’acqua? “Beh, da scoprire c’è sempre tanto per fortuna, è come se fossimo sempre in movimento e in fondo lo siamo davvero, immagino 200 anni fa una persona che arrivava sull’altopiano di Clusone e vedeva un mondo diverso, comunità agricole, versanti con molto più bosco di adesso. Ora ci siamo noi, ma fra 200 anni sarà ancora diverso e in mezzo tante cose, da scoprire, da vivere, da raccontare”. Da Milano a Songavazzo, per scoprire cosa? “I miei avevano la casa a Songavazzo e da piccolo ci venivo in vacanza, mi piaceva il posto, rappresentava una specie di frontiera, sentivo di avere spazio, le montagne, le colline, il mondo si allargava improvvisamente. Gli amici mi definiscono un ‘grizzly’ scherzando sulla mia stazza ma io sono davvero un po’ lupo solitario. La prima volta che sono stato nel Nord della Norvegia, nella tundra, dove le persone abitano a distanza di 3,4 chilometri una dall’altra, mi chiedevo il perché, sono in pochi e stanno lontani, ma poi ho capito. Loro scelgono di stare con gli altri, non sono costretti a stare con gli altri. E lo stesso è per me qui”. Infilato nella natura come l’acqua nel fume: “Sì, e quando arriva l’estate e qui si riempie di turisti divento nervoso, subisco la pressione di avere attorno troppa gente, allora prendo e me ne vado in montagna da solo e sto bene. Sparisco in montagna, da due estati con me c’è Leonardo, il mio bimbo e me lo porto con me quando posso, è davvero un’esperienza fantastica, la natura e mio figlio, sto bene così”. Davide si emoziona quando parla di Leonardo: “Sì, la mia vita si divide in due parti, prima e dopo Leonardo”. E a fare da filo conduttore la natura: “Non sono un uomo del caldo e non mi piace rifare una cosa due volte, l’esplorazione in fondo è proprio questa, cercare sempre cose nuove avendo la percezione di quello che fai, così è stato quando sono arrivato qui nel mio piccolo mondo che è la val Borlezza e non l’altopiano di Clusone, vedi, è imLO SCRITTORE VENUTO DA LONTANO, ABITA A SONGAVAZZO HA FATTO “PARLARE” L’ACQUA – HA RIFATTO “IL RICHIAMO DELLA FORESTA” DI LONDON portante la percezione della geografa, io abito in mezzo a un crocevia di mondi ben precisi, dalla mia finestra vedo il Sebino ma anche il Monte Secco, la Presolana e Falecchio, l’Alben che per me è una montagna fondamentale. Tutto questo ha un’infuenza fortissima sul mio immaginario. Vado in montagna e cammino, cammino, cammino, e ogni volta provo nuove sensazioni, per arrivare all’universale devi partire dal particolare e io qui lo posso fare. In Italia da un po’ di tempo si vedono le cose attraverso luoghi comuni, c’è poca curiosità, qui invece il silenzio diventa narrativa, e io vivo quello che scrivo e scrivo ciò che sono, tutto qui. Un percorso cominciato tanto tempo fa, con ‘Specchio’ l’inserto della Stampa avevo una rubrica con un taglio particolare, stile Rua…, che adesso è uscito con una nuova edizione e con un’appendice su viaggi recenti e con alcune parti cambiate. Un libro in evoluzione, come la vita del resto”. E uno scrittore quando è in evoluzione? “Uno scrittore deve crescere scrivendo e scrivendo fa uscire le proprie sensazioni e lascia il posto ad altre”. E tu in che fase sei? “Sono in una fase di passaggio, sto andando verso cose più narrate, è stato così anche nell’ultimo libro, con l’acqua che fa un viaggio, l’idea era quella di inflarsi nel mondo e riscoprire il suo elemento naturale e chi meglio dell’acqua poteva farlo? e l’idea di utilizzare l’acqua che si racconta mi è venuta dalla Val di Scalve. Avevo il materiale in mano da mesi ma non riuscivo a venirne a capo, era il viaggio di Dario Agostini in kayak, mi aveva detto di scriverci un libro, ma io non volevo farne un resoconto sportivo. In quei giorni ero appena tornato dal Canada, l’ultimo grande viaggio che ho fatto, un viaggio in mezzo a spazi immensi, dove ho ripulito i canali percettivi in un posto selvaggio. Ero appena rientrato, fne di ottobre, vado in Val di Scalve, avevo appena avuto la conferma dell’arrivo di Leonardo, arrivo in val di Scalve, rifugio Bagozza e comincia a nevicare, 30 centimetri di neve, rientro a casa, notte, comincio a scrivere, è la neve che parla e racconta perché… come fa a cadere e dove va a cadere. Qualche giorno dopo Dario mi dice che Sky sport lo deve intervistare, vuole che vada anch’io e legga qualche pagina del libro, gli dico che ho scritto solo poche pagine, che non posso, ma lui mi dice di andare lo stesso, vado e lo leggo. Passa qualche giorno e Dario si sposa, al suo matrimonio mi fa leggere davanti agli invitati le poche pagine che avevo scritto, mi ascoltano in silenzio, ho capito che la gente era matura per proporre un genere così alternativo e poi c’era la neve, quella neve scesa in val di Scalve che mi aveva defnitivamente sbloccato, in un mese e mezzo scrivo tutto il libro. Ero in uno stato di grazia, un inverno meraviglioso, Cristina in attesa di Leonardo, mi sembrava un sogno”. Davide partorisce il libro in un battibaleno, in attesa dell’altro parto, e poi col suo agente si guarda attorno per cercare l’editore giusto: “Alla fne siamo approdati a Galaad, una casa editrice che cercava un genere di scrittura come il mio, ci siamo futati e piaciuti subito”. Alla ricerca di qualcosa di nuovo, come te del resto: “Sì, tornando alla tua domanda iniziale, cosa c’è da scoprire, vedi sono sempre, siamo sempre alla ricerca, anche caratterialmente, forse io sono cresciuto così, ricordo che mio padre quando avevo 5 anni mi regalò ‘Il milione’ di Marco Polo, forse un segno, lui mi lasciava libri in giro, in modo discreto, me li faceva trovare e ‘Il milione’ mi ha conquistato subito”. Davide l’esploratore della parola: “E a febbraio la Feltrinelli mi ha chiesto di rifare ‘Il richiamo della foresta’ di Jack London, ci sono tantissime versioni in giro ma sono tutte per ragazzi, vogliono fare qualcosa di diverso”. Ma tu con che autori sei cresciuto? “Le traduzioni di Fernanda Pivano, Steimbeck, Hemingway, soprattutto Francis Ford Fitzgerald e da lui credo di aver preso il rispetto per il peso della singola parola, io peso ogni parola, non bisogna buttarle a caso, poi all’università ho studiato la letteratura anglo americana e mi sono innamorato di Melville, i suoi racconti sono viaggi spirituali nella natura, il mare protagonista, ti infla dentro il racconto, mi è capitato di guardare le onde e sentirmi l’anima di un marinaio. Eppure Melville fu massacrato dalla critica e venne riscoperto solo 70 anni dopo la morte”. Però sei partito dal giornalismo musicale, e poi tutto, strada, acqua, scrittura. Qual è il tuo flo conduttore della vita? “Il mio flo conduttore è cercare di far capire che la vita ti offre in continuazione dei limiti e degli orizzonti che li spostano, i limiti sono un punto di partenza e sono tanti, tantissimi. Ho cominciato con la musica ed era un giornalismo musicale diverso da quello che si fa oggi, si intervistava l’artista non il personaggio, adesso è il contrario, le riviste di musica fanno troppo gossip e domande banali”. Ti piace camminare da solo in posti selvaggi, cosa cerchi e cosa trovi? “Non lo so fno a quando lo trovo, arrivo in un posto, sperimento l’atmosfera di quel posto, ci sono luoghi imbalsamati, posti da cartolina ma che non pulsano più di vita, io cerco altro, i viaggi organizzati non fanno per me, quando vado in un posto parto dal fatto che io non ho mai visto quel luogo e che quel luogo non ha mai visto me, devo farmi accogliere e così facendo, inizio a scoprire qualcosa di lui, e per conoscerlo bisogna camminarci sopra, viverlo. Quando sono andato nel grande nord ghiacciato del Canada, vicino alla Groenlandia, volevo andare dagli Inuit, un popolo che lotta per l’indipendenza, ho trovato un contatto grazie a un professore universitario di Reggio Calabria, ho scritto a questa famiglia che mi ha risposto: ‘ma perché vuoi venire da noi?’, io gli ho risposto ‘non lo so sino a che non sono lì’, mi hanno detto ‘vieni, sei uno di noi’ e così ho fatto”. Davide guarda fuori dalla fnestra, nevica: “E lo stesso vale per qui, un giorno ero in montagna, c’era troppa neve e non ho più trovato il sentiero, ne ho parlato con un mio amico che è nato qui e vive la montagna, mi ha detto ‘dovevi guardarti attorno e pensare: che strada avrebbe percorso un abitante di queste montagne anni fa per riuscire a raggiungere la vetta tenendo conto che non c’erano i mezzi moderni di oggi? vedi, tutto qui, basta ragionare”. Nel libro ‘la strada era l’acqua’ hai tolto l’ultima pagina prima di consegnarla all’editore: “Sì, c’era qualcosa che non mi convinceva, alla fne l’acqua tornava all’origine ma non mi piacciono i fnali predestinati, tutto deve essere ancora possibile, niente di defnito, un po’ come ti dicevo prima, la ricerca continua e così prima di consegnarlo all’editore ho strappato l’ultima pagina”. In che momento sei adesso? “Sono in una fase di passaggio che mi capita solo ogni tot di anni, sto sperimentando la narrativa pura, scrivo, guardo, cesello, perché come ti dicevo prima do importanza a ogni singola parola, un po’ come fa la poesia”. Quando scrivi? “La mattina presto, l’alba mi affascina, è l’inizio di tutto, anche della creatività, del resto non sono uno che va a letto tardi e infatti quando facevo il critico musicale e dovevo andare ai concerti mi pesava far tardi. Scrivo la mattina presto e in genere dalle 4 del pomeriggio alle 8 di sera, adesso però i miei bioritmi sono in funzione di Leonardo, quindi a volte cambia tutto. Io faccio fatica a partire, sono come un diesel poi quando carburo non mi fermo più”. E per ricaricarsi c’è la montagna: “Sembra retorica ma quando ho bisogno di riprendermi me ne vado da solo in montagna, aria aperta che mi ripulisce e quando torno a casa sono vuoto, nudo e sto bene. Sto bene qui, con la gente di qui, un giorno stavo camminando in Val Sedornia e un mio amico mi ha detto ‘noi bergamaschi siamo come i larici, corteccia ruvida ma tanto da offrire’, non avevo mai fatto caso ai larici, da allora li guardo sempre, e quando vado in Presolana mi sembra di sentire la loro voce, in montagna anche se sei solo c’è sempre qualcuno vicino, anche un albero. La montagna mi ha insegnato a stare attento a ogni cosa che mi circonda che in fondo è una fonte di ispirazione incredibile, io abito dietro una montagna di roccia calcarea e mi piace pensare che lo sono anch’io, assorbo tutto come una spugna”. Montagne, qual è il tuo posto preferito? “La valle dei mulini, a Rusio”. “La sicurezza non è mai un sogno ma una condizione effimera”, è una tua frase, cosa è per te il sogno e cosa è la sicurezza? “Presi singolarmente non vanno molto lontano, la sicurezza è qualcosa che ti dà un’idea momentanea di calore, di stare a tuo agio, nessuno la disprezza, ci mancherebbe ma preferisco il sogno di un bimbo che comincia una vita in cammino verso qualcosa di indefnito”. Davide si tocca i capelli, sta in silenzio qualche secondo: “E poi c’è tutto il resto, quello sopra, Dio è una madre, è evidente che è una madre, la madre contiene tutto, genera col bisogno il bisogno”. Credi in Dio? “Sì ma non certo nel Dio che mi hanno insegnato quando ero bambino, la fede è importante ma non deve diventare una scusante o una scusa per il potere per tenere buona la gente”. E con la chiesa come va? “Ci sono alcuni concetti che non mi piacciono. La parola ‘speranza’ la trovo una fregatura e poi anche in montagna vedo cose che non mi convincono, arrivo in alta quota e trovo croci dappertutto, non credo che piantare croci dia sicurezza, Dio è altro, molto altro. Una volta ho avuto critiche anche da Messner ma io credo che la terra sa fare da sola, noi per presunzione pensiamo di rigenerarci da soli, siamo noi che non siamo in grado di capire la sacralità delle cose, questo vale per la questione dell’acqua pubblica, della catena alimentare, per ogni cosa”. Politica, da che parte stai? le associazioni ambientaliste e di sinistra ti hanno tirato per la giacca: “Sono stato bollato di sinistra anche perché ho un passato di dieci anni come collaboratore di Radio Popolare, ho votato centro sinistra e lo dico apertamente ma ho diffcoltà a sentirmi rappresentato da questo centro sinistra, ho un’idea complessa di questa politiche che sembra fatta per bloccare le persone e non farle progredire. A livello locale guardo le persone e non la politica, i fatti e non cosa votano. La composizione della Provincia di Bergamo e dell’Unione dei Comuni è di centro destra ma abbiamo portato qui Marco Paolini e nessuno ha detto niente, anzi, quando si hanno idee chiare si guarda ai fatti e non agli slogan politici, almeno nel locale e comunque anche prima io non sono mai stato uno da concerti del Primo Maggio”. Come ti vedi fra 30 anni? “Spero in una baita qui nelle nostre Orobie con Cristina a scrivere quello che mi piace. Una baita che si raggiunge solo a piedi in modo che ci arriva poca gente. Poi avrò un figlio di 30 anni, non so come sarà, ma so che io e Cristina saremo ancora lì a stimolarci a vicenda, avere vicino una moglie così dotata di talento e con una visione artistica come la sua è molto stimolante”. Nella baita ti puoi portare solo tre libri, cosa scegli? “La Bibbia sicuramente ma la versione con i vangeli apocrif, quella tanto osteggiata, poi il ‘richiamo della foresta’ e il terzo non so, ci devo pensare”. E coi tre libri ti puoi portare tre dischi: “Uno di Cristina sicuramente, uno dei Beatles e poi uno strumentale orchestrale classico, Beethoven o Debussy”. Songavazzo, tu e Cristina come vi trovate con la gente del paese: “Bene, molto bene, amministrativamente è un paese ancora diviso ma c’è molta voglia di fare, voglia di lavorare, di stare insieme, io ho accettato volentieri di dare una mano alla biblioteca, si respira una voglia di rinnovamento che fa bene a tutti. Poi come in tutti i paesi è un momento di crisi ma la crisi può e deve essere un’opportunità e noi la stiamo vivendo così, stiamo organizzando manifestazioni in tutte le salse e la gente risponde. E poi lo sto scoprendo adesso Songavazzo, da quando c’è Leonardo e lo giro con lui, mi piace. Con l’amministrazione stiamo lavorando con la scuola materna che è un asilo bellissimo, con maestre che amano il loro lavoro e quando penso che Leonardo andrà lì sono felice, perché

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