L’ultima Messa di Padre Gianni

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    (Dal numero del 4 ottobre 2024)

    Le scarpe da pallone avvolte in un sacco di juta che sembrava un piccolo saio da far giocare gli angeli. La Punto bianca e la patente presa a Sovere tra le stradine strette che portavano dritte a un paradiso di convento. La caccia ai funghi a Zocchio, in mezzo al Trentino dove la tua mamma era nata. Busto Arsizio dove invece sei nato tu. La Solbiatese che hai portato alla serie C. Gli acquari, i pesci fosforescenti, le piante colorate, i tulipani blu. E poi quella chiamata a cui non si può dire di no. Direttamente dai piani alti del Paradiso. E Casalpusterlengo, i giovani, la Comunità, il pallone, la Nazionale dei Frati Cappuccini, San Siro a Milano, Sovere in convento e poi Lovere e poi Crema e poi Rovereto e poi di nuovo Lovere. Prima di prendere su e andare a casa, dall’altra parte, la tua casa, da dove era arrivata quella chiamata a cui non si può dire di no. L’ultima Messa dalle Clarisse proprio il giorno delle stimmate di San Francesco, quel Santo che ti aveva stregato il cuore. A pochi giorni da quello che i frati chiamano ‘il transito’ di San Francesco, la notte tra il 3 e il 4 ottobre, il passaggio dalla vita terrena a quella eterna, avvenuto nella notte tra il 3 e il 4 ottobre del 1226. Scrivere è terapeutico. Macché. Tu diresti che pregare è terapeutico, magari pregare mentre dai un calcio al pallone, che rimbalza dopo aver preso in pieno il cielo. Tu diresti che fratello Sole e sorella Luna se la stanno spassando godendo dei tuoi fiori colorati in quei chioschi che sanno di guscio di te. Tu diresti che i pesci fosforescenti che nuotavano in fila indiana nel tuo acquario e mi facevamo ridere un sacco perché sembravano soldatini di mare, sono una delle meravigliose diavolerie del Creato. Tu diresti che tutti questi anni sono stati un soffio o una corsa veloce in bicicletta fino al Santuario, e nulla di più di fronte all’infinito dove sei ora. Il problema è che vorrei avere ora un briciolo della tua fede per andare oltre questo cielo che gocciola lacrime, come sto facendo io ora. Senza più distinguere tra fratello Sole e sorella… morte. E ritorna alla mente di nuovo tutto, come all’inizio: il convento, la Punto bianca, gli acquari, Zocchio, i miei casini, le tue parole, i miei guai, la tua amicizia, a volte nonostante tutto e tutti. Quei momenti durissimi e il tuo mantra a ricordarmi che tutto passa e fratello Sole e sorella Luna fanno davvero da guscio. Avere un frate come migliore Amico è stato ed è uno dei regali più belli che mi ha fatto la vita. E ora però che quella che tu chiamavi sorella Morte ti ha portato dove tutto sembra eterno, beh, è un casino. In questa sera di pioggia di fine settembre mi scopro nuda di cuore. Grazie Meraviglia, gli addii non sono mai stati il nostro forte, quindi non ti dico a presto, perché a stare qui un po’ ci provo ugualmente, ma ci si rivede, sicuro.