La montagna? Sempre più Luna Park

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    Coperte dalla foglia di fico della demagogia della “montagna per tutti” e del “tutto fa brodo pur di incentivare il turismo” si moltiplicano le iniziative che trasformano la montagna in un lunapark e che trasferiscono in quota la nevrosi urbana della velocità, della potenza, del fracasso. La decadenza della nostra società si misura nell’assoluta incoerenza di comportamenti, nella divaricazione schizofrenica – ma vissuta come normalità – tra enunciati buonisti, egualitaristi, solidaristi, ecologisti e comportamenti che vanno in senso opposto, che allargano le differenze sociali e di reddito (ormai molto più ampie di quelle della società feudale), che creano nuovi privilegi. Sul fronte ambientale con assoluta disinvoltura gli stessi soggetti che recitano collettivamente (e meccanicamente) i mantra della sostenibilità, della riduzione dell’impiego dei mezzi motorizzati, dell’etica del risparmio energetico sono i primi che si fanno promotori le proposte turistiche che implicano pesanti impatti ambientali, a cominciare dall’uso dei mezzi a motore che – senza che nessuno più si scandalizzi – arrivano dove non erano mai arrivati: sui pascoli, sulle vette. È un po’ come quando in Chiesa si andava tutti, per convenzione sociale. La società “secolarizzata” ha riprodotto gli stessi meccanismi affermando i suoi sacerdoti, le sue formule rituale. Sono rifessioni inevitabili quando si constata che mentre le moto scorazzano sempre indisturbate su pascoli, sentieri e mulattiere, si aggiungono ad esse i quad e gli… elicotteri. Venghino signori, venghino, un altro giro in elicottero… Commentando il post in cui riprendevo il tema delle moto in montagna e delle gare di motocross che transitano lungo i sentieri del Parco (?) delle Orobie bergamasche Anna Carissoni di Parre (“razza” di pastori e combattiva paladina della montagna) mi scriveva che: “sarebbe doveroso anche denunciare l’illuminazione notturna delle cascate del Serio, nonchè le escursioni di massa con l’elicottero (50 euro a cranio), una delle quali interesserà domani [20 agosto] la zona del Barbellino – alle sorgenti del Serio – e del Rifugio Curò”. Nel message Anna faceva riferimento anche ad altri oltraggi alla montagna su cui tornerò tra breve. Ma occupiamoci prima degli elicotteri. Oltre alle “escursioni di massa” denunciate dalla Carissoni ho scoperto che il pomeriggio di domenica 19 agosto la ProLoco di Ardesio ha organizzato dei voli in elicottero sopra il paese e lungo l’Asta del Serio, l’alta Valle Seriana, in collaborazione con Elimast. Un tempo alla festa del patrono o alla Madonna d’agosto c’erano le giostre. Oggi la soglia dell’emozione è stata innalzata di molto. In luoghi come Gardaland, che hanno sostituito i vecchi Luna Park, le attrazioni si chiamano Space Vertigo e Bluu Tornado, un “gioco” che sottopone coloro che vanno in cerca di sensazioni forti artifciali all’accelerazione che subisce un pilota di caccia. Qualche anno fa un giovane sano di cuore ci ha lasciato la pelle. Oltre alla “saturazione” adrenalinica quello che caratterizza la nostra società decadente è anche la confusione ormai cronica tra realtà e virtualità, tra realtà e gioco. L’elicottero strumento di lavoro utilissimo in montagna viene scambiato per una specie di attrazione da Luna Park. La Elimast di cui sopra promuove le escursioni in elicottero “per vedere il mondo dall’alto e provare incredibili sensazioni”. Con 40 euro decollando dall’eliporto di Darfo si compie una “escursione” sulla Presolana. Prezzi popolari. Ma “escursioni in elicottero” sono possibili anche decollando dall’ Aero Club Alpi Fly di Rovetta. L’Hotel Milano (Alpen Resort, Meeting and Spa) di Castione della Presolana, all’avanguardia nelle proposte di turismo “innovativo” oltre a proporre da tempo le escursioni su quad rombanti (“L’avventura a cavallo di questi simpatici [specie per gli escursionisti a piedi!] 4 ruote lungo percorsi che ci portano a conoscere il meraviglioso paesaggio delle Alpi Bergamasche, accompagnati da un Capo Guida Quad.”). Di questa piaga (c’è anche un noleggio quad al Monte Pora) abbiamo già diffusamente trattato anche sollevando il problema del transito sulle piste forestali chiuse ai mezzi a motore. Qui vogliamo segnalare l’attività proposta dall’Hotel Milano “Presolana in elicottero”. “Si parte dall’hotel nella mattinata con le macchine per raggiungere il passo della Presolana (circa 3 km). Si prende l’elicottero e si raggiunge la vetta della Presolana (mt. 2527) a questo punto con le guide alpine si incomincia la discesa in corda doppia ed una camminata fno al fondo valle”. Dall’elicottero-giostra all’elicottero-ascensore. A giudicare da questo uso allegro dell’elicottero per scopi di puro divertimento viene da chiedersi se siamo nello stesso mondo che pare assillato dal problema di risparmiare qualche grammo di emissioni di CO2 per chilometro quando si tratta di imporre nuovi standard “ecologici” in campo automobilistico. Vi viene il sospetto che l’attenzione ai gas serra e agli spaventosi effetti del surriscaldamento globale venga fatto valere solo quando serve a giustifcare le più ignobili speculazioni sulle “energie rinnovabili”, sulle “biomasse (legname e materie prime agricole bruciate con tanto di pesanti emissioni di microparticolato e altri inquinanti) o a mantenere in piedi l’industria matura dell’automobile? A me si. La montagna ridotta a fondale scenografco Emozioni adrenaliniche, uso di mezzi meccanici per salire su e già dalle montagne come in un Luna Park senza viverle, senza provare la fatica, tutto alla massima velocità . Questo un aspetto che sta alla base delle “nuove” proposte turistiche ben poco sostenibili. Poi c’è la dimensione spettacolare. Il cinema, la televisione, gli effetti speciali, i 3D, gli ologrammi hanno ormai segnato profondamente le nostre percezioni della realtà e il nostro senso estetico. Anche in questo caso le distinzioni tra realtà e fnzione sono del tutto sfumate. La metafora dei “reality show” è stata superata dalla “realtà aumentata”, la nostra realtà individuale di tutti i giorni fltrata dallo smartphone che diventa vero organo esosomatico si senso. La realtà “normale” non basta più, non piace più, deve avvicinarsi a uno spettacolo 3D, colpire tutti i sensi, saturare di sensazioni. Nel campo delle “attrazioni turistiche” l’idea non è nuova e si chiama Son e Lumiére (Suoni e Luci). Si tratta di spettacolarizzare con l’uso di luci e artifci tecnologici l’arte e in particolar modo i luoghi monumentali che verrebbero “fatti rivivere”. Purtroppo non manca chi propone di applicare anche ai monumenti naturali e alle montagne questo approccio. In uno di primi post di Ruralpini (oltre quattro anni fa) mi era capitato di stigmatizzare la proposta di illuminare a giorno il Monte Rosa per il periodo dell’Expo 2015. Era una proposta assurda per il costo e lo spreco energetico e si è fortunatamente arenata. Alle cascate del Serio, però, quest’anno si è dato vita ad un vero e proprio per quanto discutibile spettacolo di Son e Lumiére. La spettacolarizzazione delle cascate in realtà viene da lontano. Le cascate, che sono le più alte d’Italia e le seconde d’Europa con il loro 315 m, non furono visibili dal 1932 (anno della realizzazione dell’invaso artifciale del Barbellino) al 1969 quando l’Enel accondiscese alle pressanti richieste del sindaco di Valbondione. Per parecchi anni il defusso avvenne una volta all’anno, poi due. Attualmente e cascate rivivono (per mezz’ora) cinque volte all’anno da giugno a ottobre (tanta “generosità” della società elettrica si spiega non solo con esigenze di immagine ma anche con la necessità di garantire – come imposto dalla legge – un minimo defusso vitale del fume Serio). Quest’anno è stata introdotto la “notturna” con tutto un contorno di spettacolarizzazione: “Sabato 21 luglio [le cascate] aprono al pubblico, e questa volta è un’apertura serale che promette davvero tanta emozione. Alle 21,30 esatte, dalla località Maslana di Valbondione, si potrà ammirare e ascoltare il gigantesco scroscio in versione “by night”. Ma la serata non propone solo l’incanto delle cascate, perché in programma c’è un concerto, previsto alle 20,30 proprio in località Maslana, e poi i fuochi d’artifcio, che prenderanno il via appena dopo la chiusura della cascata, alle 22”. Per quale motivo bisogna sovrapporre tutto ciò. Non basta la bellezza della cascata “liscia”?

    La si vuole “gassata”. Una tendenza scivolosa che porta ad apprezzare solo la “realtà aumentata”, quella artifcializzata, a concentrare la fruizione di una montagna-Luna Park in pochi luoghi e tempi fortemente spettacolarizzati. Qui non si aggredisce la montagna ma un danno lo si produce ugualmente assecondando queste tendenze che si traducono in inevitabile svalutazione della montagna “liscia”. Tutto ciò contrasta in modo palese con la proclamata ricerca di “naturalità”. In realtà negli ultimi anni si moltiplicano i progetti di trasformazione della montagna in senso artifciale. C’è chi progetta alberghi sulla vetta del piccolo Cervino, si moltiplicano gli ascensori, le colate di cemento come quel parallelepipedo piazzato lo scorso anno sulla Marmolada per “agevolare la visione delle Dolomiti ai disabili”. Eppure è la stessa società che – almeno sino ad un certo punto – appoggia la sacra crociata dei Verdi che intendono rinaturalizzare le Alpi riportandole ad una wilderness immaginaria e ideologica reintroducendo orsi, lupi, linci, gipeti, grifoni e quant’altro. Si naturalizza (in modo artifciale) la montagna alpina già intensamente vissuta dall’uomo mente si artifcializza quella che era rimasta inviolata. Con la motivazione della “democratizzazione” della fruizione ma in relatà con la fnalità di attirare il turismo della facile (e mercifcabile) emozione a tutti i costi. La Presolana “ferrata”? Franco Brevini, giornalista e alpinista, ha lanciato dalle pagine del Corrierone la proposta-provocazione di ferrare la normale della Presolana. Oltre a chi sale in elicottero e scende a peso morto a corda doppia bisogna far salire “tutti”. Per fortuna la proposta ha ricevuto un coro (quasi unanime di no) e non tanto per motivazioni “puriste”, ma per motivi pratici e di buon senso, gli stessi che spingono il Cai a limitare nuove ferrate che diventano un incentivo ad affrontare la montagna sa parte di chi non ha la suffciente preparazione, non la conosce abbastanza, non la teme e non la rispetta come sarebbe giusto. La Presolana è una montagnasimbolo, parte importante della storia dell’alpinismo lombardo (Achille Ratti, allora retore della biblioteca Ambrosiana e futiro Pio XI la scalò nel 1888) e questa sarebbe già una buona motivazione per evitare di attrezzarla per le facili ascensioni. Ma l’aumento dell’affusso non è sostenibile in ragione del maggior rischio di cadute sassi che si produrrebbe per la presenza di alpinisti inesperti (la roccia è friabile). Questa volta anche il sindaco (che dovrebbe pensare anche ai quad, alle moto, ai voli di elicottero…) si è detto contrario. Iniziative necessarie al turismo Molte delle iniziative che trasformano la montagna in Luna Park vengono giustifcate con la necessità di fornire motivi di attrazione per i turisti. I quali, in assenza di nuove proposte, preferiscono altre destinazioni. Avendo contribuito allo studio “Valorizzazione sostenibile del comprensorio Presolana Monte Pora” Irealp – Regione Lombardia 2010 (in cui mi sono occupato non solo di malghe ma anche di fruizione turistica integrata dell’ambito agro-silvo-pastorale sotto il proflo escursionistico e sportivo) mi sento di sostenere che prima di pensare a iniziative eclatanti e spettacolari bisognerebbe avere le carte in regola riguardo alle offerte di fruizione turistica “di base”. Quantomeno nel comprensorio Monte Pora la rete sentieristica è in cattive condizioni (le moto contribuiscono signifcativamente al degrado), il sistema di segnaletica è confuso e si sovrappone (Cai, Pro loco, Comunità Montane), i segnavia scarsi. Pochissime le aree attrezzate per la sosta. Non parliamo dei cartografa escursionistica e di siti. Le malghe rimaste sono poche e poco valorizzate. La malga Monte Alto di Costa Volpino è bruciata ed è rimasta così da anni, il Rifugio Palù, dove atterrano gli elicotteri e dove arrivano i quad e le motoslitte è stato realizzato con fondi destinati all’agricoltura sottraendo la malga alla sua destinazione. Se si sprecano e non si curano risorse già presenti (una rete di percorsi escursionistici molto interessante ed estesa) e non si favorisce la fruizione sostenibile (le moto, i quad, le motoslitte scacciano gli escursionisti, i biker, i cavalieri) poi con quale legittimità si difendono iniziative ed interventi impattanti. Senza iniziative da Luna Park, con l’areoporto di Orio al Serio a portata di mano valorizzando le tante risorse esistenti il turismo in alta val Seriana e Borlezza potrebbe rappresentare il pilastro economico del territorio e compensare il declino dell’industria e dell’edilizia.

    PENSO COME LA MONTAGNA MERITIAMOCI LA PRESOLANA

    A metà del secolo scorso il grande “forestale” americano Aldo Leopold scrisse diversi saggi sul rapporto dell’uomo con il proprio territorio. Sono scritti preziosi e titoli come “Etica della terra” ci regalano pensieri di straordinaria grandezza. Uno mi ha sempre colpito sul rapporto con il proprio territorio. Una frase semplice, ma scolpita per sempre: “pensa come una montagna”. Dal 1990 vivo sotto la Presolana. Ho cercato di imparare a pensare come lei: per farlo ho iniziato a camminarla. Ho pensato che avrei potuto imparare tantissimo. Prendo appunti interiori, a volte con gli occhi e la macchina fotografca, altre volte con un taccuino, ma quasi sempre semplicemente mi lascio avvolgere e cerco di immaginarmi come una forma della montagna. Sul sentiero nel bosco dal Colle Presolana alla baita Cornetto ho visto un piccolo insieme di piccoli tronchi morti e ritorti che per qualche misteriosa ragione sembrano essere diventati una capra. Passo spesso di lì ma solo di recente ho notato questa forma. Chissà, ho pensato, se è venuta qui da sola? C’è tutto: barbetta, corna, corpo slanciato. Altre volte incontro un camoscio e non riesco a fnire di stupirmi del suo modo di essere forma della montagna: la cammina con leggerezza, vede cose che noi non possiamo vedere. E’ il suo destino. Nella montagna trova la sua ragione di vivere. Il camoscio, pensa come la montagna. La montagna lo accoglie. Anche un sentiero pensa come la montagna. Ci sono quelli storici, quelli che donne, bambini e uomini di molto tempo fa avevano tracciato semplicemente camminando la montagna. Tanto tempo fa il mio amicomaestro Renzo, per suggerirmi come trovare un sentiero nascosto sotto la neve, mi disse: “fermati, osserva la montagna e pensa a come pensavano quelli che dovevano camminarla per poterla attraversare molto tempo fa”. Semplice, per lui che pensa come la montagna, ma per me che venivo dalle vie d’asfalto della città, questo non era così facile da immaginare. Un grande insegnamento. É vero, quegli uomini pensavano come la montagna e la montagna li lasciava scorrere sulla sua pelle – le pendici, i boschi che dovevano lavorare, i pascoli che dovevano curare. La sintonia del pensiero era forte: a volte c’erano delle divergenze, si viveva una vita diffcile, ma quella era una vita pulita. Gli abitanti che pensavano come la montagna conoscevano la notte, vedevano la luce della luna e della stelle, vivevano nel ritmo della montagna, che è immutabile: stagioni che trascorrono, luce e buio che si alternano, cose da fare che non consentono scorciatoie neanche se ti fanno una strada sino all’alpeggio: è meno faticoso ma è pur sempre un lavoro che deve stare con le stagioni, gli animali, il cielo. Quelle donne, quei bambini, quegli uomini, conoscevano una cosa meravigliosa che il turista e gli abitanti di oggi della Presolana hanno smarrito: il silenzio. Loro non ci pensavano al silenzio. Ma le preghiere rivolte alla montagna e ai suoi abitanti invisibili, gli spiriti che dovevano aiutarli per svangarla, tutto ciò era il valore profondo del silenzio. Oggi il silenzio è un valore aggiunto quando invece dovrebbe essere “all inclusive”. Quello che è accaduto dopo, in Presolana e quasi ovunque sulle Alpi, lo sappiamo già tutti. Ora però si esagera, prima di tutto perché la legge degli uomini ha chiuso due occhi, permettendo, nel nome del proftto (non del guadagno: del proftto fuori misura) di aggredire il pensiero istintivo che non usciva dalle università e dai corsi aziendali, ma dalla Terra: pensavano come la montagna e agivano come la montagna. Erano la montagna. Noi oggi cosa siamo? Persone che discutono e spesso di cose che non conosciamo: rivendichiamo libertà che in realtà sono aggressioni motorizzate e inquinanti, spesso senza senso. Per la soddisfazione di pochi, calpestiamo quel poco che resta da salvaguardare e da presentare al mondo fuori dalla Presolana con un sorriso e la gratitudine: questo per la soddisfazione di pochi, troppo spesso sostenuti da chi ci amministra nel nome dell’economia. Ma quale economia? Quella che alla fne ci toglierà il vero valore della montagna, quello che la rende unica? Se voglio la città, se voglio Rimini, vado in città, vado a Rimini. Una volta nello Yukon, in Canada, dove trentamila abitanti vivono in un territorio più grande dell’Italia intera, un uomo mi disse: “vedi, noi qui siamo solo visitatori. Per quante generazioni potremo restare in questa foresta boreale, restiamo solo visitatori. É così che riusciamo a capire meglio il nostro ruolo”. Noi no. In una Lombardia assediata dal cemento, dall’asfalto, dal rumore, dall’inquinamento (siamo tra i luoghi più inquinati al mondo), dove il terreno agricolo viene divorato a ritmi angoscianti, la montagna secondo me sta pensando di andarsene. E’ stanca. Ci ha parlato. Ci aveva insegnato a pensare come lei. Invece abbiamo acceso i motori e ogni altro genere di congegno: impauriti dal silenzio si fa di tutto pur di fare rumore. Almeno, così, non si pensa troppo. Fa male pensare. Costringe a riconoscere le proprie responsabilità e a cercare un modo di armonizzare le proprie esigenze con quelle altrui. Ma un conto sono le esigenze, altro il puro divertirsi inquinando e insultando la montagna. Oggi sappiamo pensare solo come noi: consumatori, materialisti dagli ego spropositati, p r o m o z i o n e dell’ignoranza, manifestazioni che corteggiano gli istinti di massa più bassi, giustifcazioni risibili (e spesso fuori dalla legge vigente) ad azioni palesemente violente, svilimento dei lavori storici della montanga, abbandono del territorio, incapacità di investire sui lavori che davvero farebbero tornare il sorriso alla montagna: questo perché oramai a livello istituzionale la conoscenza del territorio è quasi zero e le proposte turistiche prodotte dall’assenza di pensiero legato al territorio rischiano di soffocare i bellissimi germogli culturali che comunque in questi ultimi anni stanno portando una brezza nuova sotto la Presolana: germogli che pensano anche loro come la montagna e che hanno capito che la montagna non ha bisogno di rumore. Ricordate Marco Paolini alle stalle di Paré? Eravano in 4000. Tutta gente che salì a piedi lassù a condividere una giornata memorabile. Alla fne non c’erano rifuti in giro, Paré tornò subito come prima. Chi venne “da fuori” rimase colpito dalla bellezza di questa montagna di Presolana. Quello è il “turismo” che abbiamo bisogno: turismo cosciente e non turismo senza testa. Siamo in montagna: in un comprensorio turistico di montagna si parte dalle fondamenta, e le fondamenta sono i sentieri. Li abbiamo, perché gli uomini che li tracciarono pensavano come la montagna. Percorrerli, nel silenzio che si coniuga con il verbo “elaborare” è l’unico modo per riscoprire un giacimento di ricchezze inestimabili: non essere assaliti dal turismo da divertimentifcio, “impasticcato” di cose che si trovano ovunque, che non rendono giustizia all’identità unica, straordinaria, di quel laboratorio infnito e sorprendente che io chiamo Presolana perchè quella montagna ci guarda tutti e ha avuto anche troppa pazienza. Spogliamoci della nostra stupida abbondanza: è una droga. Elaboriamo un modo giusto per meritarci la Presolana. Pensiamo come la montagna, perché sono tante le idee nuove che ci sta suggerendo grazie a chi, pensando come lei, sta provando ad elaborarle e, con gratitudine, a restituirle pulite, ecologiche, sostenibili, vivibili. Il resto, è rumore.

    Il commento

    Non solo alpinismo. I turisti, in montagna cercano identità

    La bella estate della montagna nasce dalle smanie della villeggiatura di massa, nel secondo dopoguerra. Prima era villeggiatura d’elite, roba da signori che si costruivano la villa alla periferia dei paesi, conservando una certa puzza sotto il naso per quei “montanari” che si sbattevano per vivere, tutto casa e stalla, lavoro nelle miniere o negli stabilimenti sorti sulle rive del fume, per ricavarne energia (elettrica). Gli anni sessanta segnano una sorta di rivoluzione sociale, la “villeggiatura” (soggiorno in villa) diventa alla portata delle famiglie di impiegati e operai città. Si portano i nonni, le mogli e i fgli in montagna, i maschi vanno su a “trovarli” in quello che ancora si chiamava fne settimana e non ancora weekend. Alloggiano in stanzette con il fornello a gas, pentolame e arte di arrangiarsi. I montanari arrotondano gli scarsi salari, si stringono un po’ liberando spazi per gli ospiti temporanei. Si stringono anche legami che durano decenni, i bambini diventano ragazzi, i nonni muoiono e le mamme imbiancano. L’invasione di massa cambia l’edilizia, i villeggianti portano in alto l’esperienza (devastante) della città, i muri si assottigliano, le fnestre si allargano in sfregio alla logica montana del rapporto caldo-freddo che ispirava i capomastri facenti funzioni di architetti quando costruivano o ristrutturavano le case, liberate dalle stalle a piano terra, i cortili si aprivano sulla strada abbattendo cinte murarie e portoni secolari. E in quegli anni nascono le “seconde case”, derivanti da una logica economica, a domanda (edilizia) si risponde, si vendono i terreni e in casa sembra entrare la fortuna. I fgli dei montanari con quei soldi vengono mandati a studiare e lavorare in città, si investe sulla conoscenza per migliorare la vita, una scelta che rivela l’intelligenza delle scarpe grosse e cervello fno. Il bilancio dell’alpinismo L’alpinismo è roba cha viaggia su binario a parte ma con la stessa evoluzione: da elite a massa (relativa), dall’alpinismo di necessità (cime e passi valicati per contrabbando, caccia, feno magro, miniere, pascolo) a quello di conquista. Sono i “signori” di città che hanno in testa la “conquista” della vetta, non chi ci sta sotto da vite intere spese per ricavare qualcosa da quella montagna che segna i confni e gli orizzonti, gente che vedeva quei “matti” sudare di fatica “per niente” su sentieri e rocce solo per il “gusto” di arrivare primi in cima, dove non c’è niente, solo lo stesso cielo che si vedeva da sotto. Su quelle vette qualcuno ci era già passato, inseguendo o cercando qualcosa d’altro, un camoscio, una capra o una pecora vagante, o scappando da qualcuno, non fosse che dalla guardia di fnanza che li inseguiva per il contrabbando. Storie che ho raccontato in “Pukajiirka ‘81” tanti anni fa per spiegare come a un certo punto anche ai giovani del posto fosse venuta la voglia di dimostrare che non erano solo quelli da ingaggiare a giornata per “sirellare” in alto i signori, ma fossero capaci di arrampicarsi su per le rocce, si potevano insomma permettere il lusso anche loro di sudare per niente. Il crollo dei miti Gli alpinisti anche di paese vedono la montagna con occhi diversi dai loro stessi compaesani. Me lo raccontavano i “pionieri” del settore: guardavano la Presolana come una cosa viva, ne coglievano gli “umori” e i “malumori”, La gente di paese la guardava come si guardano le case, i prati e i boschi. Ma quegli alpinisti inconsciamente azzeravano tutte le leggende di folletti, orchi e streghe che popolavano le storie da stalla, per tenere alla larga i bambini dai pericoli nell’avventurarsi fuori dai confni del paese, inoltrandosi in territori che già gli adulti affrontavano con cautela, sentieri impervi che percorrevano i boschi e le rocce. Quei primi alpinisti di paese facevano come Gagarin nel primo volo nello spazio, che a domanda rispose “No, Dio non l’ho incontrato”. E loro potevano dire che non c’erano più né lupi né orsi e tanto meno il resto delle cupe storie raccontate dalle nonne per esorcizzare la voglia di avventura dei cuccioli d’uomo. Cosa cerca il turista? Quando si parla di turismo bisogna conoscerne la storia, i diversi percorsi. Sapere cosa cercavano i primi “villeggianti”, poi quelli del boom economico. Sapere cosa sta cercando chi adesso viene in montagna è una diagnosi anche economica. La conoscenza della domanda, fa diversifcare l’offerta e i relativi (eventuali) investimenti per incentivare l’affusso. Gli alpinisti arrivano con mezzi e salmerie proprie e se ne vanno insalutati ospiti. Un alpinismo di massa ha qualche risvolto economico (in genere si parte da quote più alte, insomma dai paesi) ma poi ha dei costi: prima di tutto in vite umane, inutile consolarsi con le “vittime esperte”, può capitare, ma in genere sono vittime dell’inesperienza di chi stanno accompagnando. E poi ci sono i costi del soccorso con mobilitazione di decine di persone, quelli sanitari, quelli della riabilitazione… La domanda inevasa “Attirare” turisti in montagna è termine generico: in quale parte della montagna? Resto del parere che ci sia una domanda largamente inevasa (e conveniente) di turismo. E’ quello di “identità”. Una massa di gente che cerca un posto dove respirare non solo un’aria sana ma un’aria migliore, che li faccia sentire qualcuno e di qualcuno. Un turismo di qualità della vita. Che ha una sola risposta: nel far trovare paesi vivi e culturalmente vivaci, che diano opportunità di accoglienza non solo in albergo, ma in paese. Non serve stordirli con spettacoli che già trovano (di livello superiore) nelle lunghe stagioni cittadine. Serve trovare una comunità che lavora, che ha le sue feste, il suo modo di sbarcare il lunario, i suoi ritmi (diversi comunque da quelli di città), i suoi rapporti umani, che si riconosce e saluta per strada, che ha le sue regole, anche i suoi difetti, che è talmente conscia di vivere diversamente dalla città da non voler cambiare e non farsi colonizzare (come avvenne con l’edilizia negli anni settanta). In questa comunità il turista torna villeggiante e a poco a poco scopre il piacere di sentirsi compaesano. La concezione (per cui nacquero, con un equivoco di fondo, le Pro Loco) che bisogna farli divertire, che ci si debba travestire per farli sentire a casa propria, va in senso contrario. E’ da “casa propria” che stanno fuggendo, per rifatare. Cercano “casa nostra”. Facciamogliela trovare

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