Io confeso il confessionale come Refegium Peccatorum

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    Padre Angelo Lazzati, classe 1943, anno di guerra. Frate Cappuccino, barba da profeta, parola tranciante, ma non provocatoria, dal pulpito. E’ lui il frate che ha parlato dell’attesa, dell’avvento, in una chiesa, quella dei frati di Lovere, sul Colle S. Maurizio, piena zeppa. Omelia moderna, diretta, come chiede la CEI (Conferenza Episcopale Italiana). La chiesa dei frati di Lovere è stata piena per tutte le festività, refugium peccatorum. Lunghe code ai sei confessionali. “Nei quattro giorni che hanno preceduto il Natale, facendo un po’ di conti, ho confessato almeno 200 persone”. Da moltiplicare per sei. “Ma poi ho confessato anche fuori, nelle parrocchie… Diciamo che la giornata di punta è stata quella della Vigilia di Natale, in confessionale dalle 8 del mattino fino alle 7 e mezzo di sera, salvo la pausa pranzo”. Padre Angelo è stato ordinato nel 1977. Ha confessato generazioni. Il peccato Cos’è il peccato? “La definizione classica è questa: il peccato è il male conosciuto e voluto. Io sono consapevole che un’azione umana è moralmente negativa e, tuttavia, liberamente e volutamente la compio. Ma il peccato è all’ interno di una storia, di un orientamento di vita che comporta delle scelte coscienti, responsabili, libere in una parola. Cioè, pur sapendo che da quella azione deriveranno effetti morali negativi per me o per il mio prossimo, ugualmente la decido e la pongo in atto orientando la mia storia in senso opposto a quello prefissato. E’ quindi uno sbaglio di direzione, una deviazione voluta dal mio percorso esistenziale, un movimento che si oppone al mio stesso essere e, dividendo la mia persona, mi impedisce di realizzarmi pienamente come uomo”. Questo presuppone però che io conosca ciò che è bene e ciò che è male. “La domanda: ‘E’ bene o é male?’ sorge in ogni uomo nel momento stesso in cui sta per compiere un’azione di rilevanza morale”. Non è che i tempi hanno cambiato la domanda: quello che sto per fare mi conviene o non mi conviene? “Dipende dal tipo di convenienza. La convenienza di un acquisto che sto per compiere fra due prodotti gastronomici di prezzo diverso. Non implica necessariamente una convenienza morale, bensì solo economica, ma certamente lo implica l’eventuale acquisto di un prodotto anticoncezionale che attenta alla vita nascente”. Ma di fronte a un’azione, non è che adesso il giudizio sulla convenienza pesi più di quello sulla morale? Come dire, faccio questo anche se è peccato perché mi conviene? “Se faccio questo anche se è peccato perché mi conviene do un giudizio morale preciso: ‘So che è male e, tuttavia, lo faccio’. Dunque so di voler compiere liberamente e senza alcun dubbio un’azione negativa e, proprio per questo, peccaminosa. Ma occorre conoscere, oggi, in un clima di relativismo etico così accentuato, il mondo di valori a cui la persona fa riferimento…”. Appunto, la domanda è: i valori si sono talmente abbassati che alla fne passano in secondo piano rispetto alla convenienza? “Questo può essere ma allora non è cambiata la rilevanza del valore morale bensì solo la percezione individuale o comunitaria del valore”. Rispetto agli anni 70, quando lei ha cominciato a confessare, la percezione dei valori è cambiata? Di quanto? “Una domanda interessante. Si tratta allora di un problema socioculturale che riguarda i grandi cambiamenti di prospettiva innescati dal Maggio francese ’68 ma anche dai grandi orientamenti assunti dalla Chiesa a partire dal Concilio Ecumenico Vaticano II, indetto e celebrato tra il 1963 e il 1965. Siamo passati da una religiosità che nessuno metteva in discussione e che, certo, ha avuto anche i suoi meriti, ad un’altra che ci ha chiamati a una fondazione etica più profonda e personalizzata delle nostre decisioni personali mettendoci nelle mani una libertà di scelta, che implica, quindi, una risposta più rifessa, e perciò più impegnativa, dell’uomo come soggetto morale”. Che tradotto significa? “Che la teologia morale cambia la sua formulazione ma non la sua essenza, che l’uomo amplia la sua percezione dei valori morali ma non ne cambia la sostanza. Essi, cioè, rimangono identici, così come la società può cambiare le sue forme istituzionali, più o meno consolidate dall’esperienza, ma non la loro essenza che consiste nella ricerca del bene comune e personale dei suoi componenti. La Chiesa quindi, dopo una profonda riflessione su se stessa, ripropone le verità essenziali della fede consegnatele dal suo Signore in un modo più semplice e comprensibile ma anche più impegnativo al credente, chiedendogli un’adesione sempre più convinta e personalizzata. Le due grandi Costituzioni Conciliari, la ‘Gaudium et Spes’ e la ‘Lumen gentium’, ai rispettivi paragrafi 16, sottolineano questo aspetto, che potremmo così riassumere: l’uomo avverte nel profondo di se stesso l’eco di una voce che gli dice: ‘fai il bene ed evita il male’ e, nella misura in cui l’ascolta e la segue, evitando il male e seguendo il bene, si trova orientato verso Dio, suo Fine Ultimo e lo riconosce e lo sceglie come suo Sommo e Vero Bene. Ogni uomo, come tale, anche se non cristiano, seguendo questa voce interiore, procede così verso la piena realizzazione positiva di se stesso come creatura. Cioè la Salvezza eterna oppure, rifiutandola, la sua Perdizione. E questo orientamento fondamentale è presente in ogni uomo, perfino negli atei, perché anche in essi Dio ha messo un desiderio infinito di bene. Dice Sant’ Agostino: ‘Ci hai fatti per te, Dio e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te’. Si tratta solo di riconoscerlo e accettarlo”. Ma allora il peccato non è solo la trasgressione dei comandamenti e dei precetti… “Certamente. Il peccato è il tradimento dell’uomo. L’uomo che tradisce se stesso”. Ma la trasgressione dei comandamenti e dei precetti cosa c’entrano con l’ateo? “Il Decalogo altro non è che la teologia naturale stipulata attraverso una Legge di Alleanza contratta tra Dio e l’umanità dentro la storia di un Popolo preparato culturalmente e religiosamente ad accoglierla per donarla a tutta l’umanità. Cioè, il Decalogo è pienamente condivisibile e accettabile da tutti gli uomini, in quanto uomini anche se non è sempre è facile osservarlo. Gesù Cristo, l’Uomo Nuovo non lo ha abolito ma lo ha messo nel ‘cuore’ di ogni uomo con l’effusione del suo Spirito. Questa è la teologia naturale che, partendo dalla creazione, é passata nell’ebraismo ed è giunta alla Chiesa attraverso la predicazione e la vita di Cristo. La Chiesa, in questo senso, su preciso mandato del suo Fondatore e Signore, non fa che proporre all’uomo la strada per conoscersi e realizzarsi veramente e pienamente come uomo e non contro l’uomo”. La solitudine Qual è il peccato più confessato? “In genere quello che riguarda il sesto comandamento, cioè il retto uso della sessualità”. (“Non commettere atti impuri”). “Credo che oggi la gente sia condizionata da quello che le sta intorno: questa violenta esposizione del corpo ha diluito la percezione del peccato che il massiccio spiegamento dell’ apparato mass-mediatico tende continuamente ad ampliare, a prescindere da ogni valutazione etica. Basti considerare i casi più recenti che riguardano veline, escort, transessuali…”. Vuol dire che l’avvertono ancora come peccato, ma come peccato veniale e non mortale? “No, precisiamo: è difficile entrare nella percezione individuale, ogni coscienza ha la sua sensibilità e il suo percorso personale. Ma tutto il contesto tende ad abbassarla o a ridimensionarla”. Però è il più confessato. “E’ quello che più tocca l’uomo nella sua fragilità”. E qual è allora il peccato che viene avvertito come più grave? “La gente non dice solo il suo peccato, ma confessa anche la sua solitudine. Molto spesso”. E questa solitudine la porta al confessionale? “Anche questo. Ma, a questo punto si potrebbe considerare il rapporto che si crea quando si cade in peccato come accadde ai nostri progenitori che, dopo il peccato originale, si ritrovarono soli e disorientati, separati e lontani l’uno dall’ altro pur essendo stati creati per essere ‘una carne sola’”. Noi, come diceva lei, avevamo una concezione consolidata e definita del peccato, i comandamenti, i precetti… a proposito alcuni precetti sono caduti, il non mangiar carne il venerdì non è più un precetto… “Alcuni erano solo disciplina, se vuoi anche igienica. Oggi poi, la coscienza laica che rifiuta il precetto ecclesiale, si costringe a diete dimagranti feroci pur di mantenere la linea…”. Era più comodo avere gli elenchi dei peccati… Adesso molto è lasciato alla coscienza. E proprio in base alla coscienza, quale è quello che viene avvertito come il peccato più grave? “La gente che normalmente si viene a confessare in buona coscienza e piena libertà testimonia, credo, di conservare il senso del peccato ma anche il bisogno di esserne liberata. Non più, dunque, il peccato come semplice trasgressione di una norma esterna, ma un peso insopportabile che grava sulla coscienza della persona. Ad esempio, del tradimento subito o dell’adulterio commesso, si viene a confessare non solo il danno compiuto o ricevuto ma anche il dispiacere subito o arrecato…”. Praticamente viene a confessare il peccato dell’altro e il suo dispiacere di subirlo. “C’è, appunto, la confessione dell’adulterio commesso ma anche il dispiacere di averlo subito. Il gioco delle coscienze è molto delicato e complesso; il confessionale non è solo elenco di colpe. Anche il tradito va oltre il dispiacere, domandandosi se ha forse delle colpe per non aver risposto alle attese o per non essersi comportato come avrebbe dovuto, di non essere stato all’ altezza della situazione”. Settimo non rubare In questo mondo di ladri, come diceva la canzone, il settimo comandamento è confessato? Quanto? “E’ confessato meno. Sembra coinvolgere meno la persona. La gente che si confessa sembra riservarlo al gioco intricato giocato intorno ai grandi capitali che si spostano secondo le leggi della finanza o del mercato mentre la gente che lavora forse non ha questo senso del furto o della frode ma piuttosto quello di essere derubata o defraudata”. Frodare il fisco non esiste proprio come pecca to… “Non lo sentiamo molto”. Per non dire niente. “Non lo sentiamo molto.”. E i nuovi comandamenti, “ama il prossimo tuo come te stesso”…? “Questo non fa parte del nuovo ma del primo comandamento. E se è vero come è vero che l’uomo è creato ‘a immagine e somiglianza di Dio’ (Gen.1,27) allora è chiaro che ogni mancanza di amore verso l’uomo riguarda inevitabilmente anche Dio; tuttavia Gesù aggiunge effettivamente un comandamento nuovo, quello di amarsi gli uni gli altri come Lui ci ha amati, quindi anche il nemico che crocifigge noi così come ha crocifisso Lui (Gv.13,34). Nella confessione però si può dire che, normalmente, si conserva la sensibilità verso il prossimo che soffre mentre si fatica di più a perdonare i torti ricevuti”. Sì? Siccome ultimamente ci sono proclami, anche politici, che vanno in senso inverso… “Alle parole, secondo Gesù, devono anche seguire i fatti. Comunque, verso il prossimo che soffre la gente dimostra sensibilità e generosità costanti. Ai nostri appelli di Natale dello scorso Anno per la raccolta di viveri a favore della popolazione eritrea ha risposto alla grande”. Nel mandare “lontano” i viveri certamente c’è risposta. Un po’ meno magari nell’accoglienza. “Beh, certo l’accogliere una persona nella tua casa comporta anche la modifca dei meccanismi interni alla vita di relazione perché implica rapporti più ravvicinati, intimi e personali, ma allora ciò riguarda non più solo l’ambito del peccato bensì anche quello dell’ospitalità del cuore. La sensibilità verso il problema c’è, poi dipende dalle circostanze e dalle situazioni singole, interne ed esterne nelle persone o nei gruppi”. E’ differente la sensibilità del peccato tra uomo e donna? “Si, certo, é diverso il tipo di approccio psicologico. La donna tende all’analisi, l’uomo alla sintesi”. A conferma di quello che dicevano i vecchi parroci che quando andavano nel confessionale delle donne erano rassegnati a lunghe confessioni, appunto, “analitiche”. “Esatto. L’accusa del peccato non cambia nella sostanza ma solo nella forma espressiva esterna: la donna si diffonde nei particolari, l’uomo tende alla sintesi. Due approcci diversi ma interessanti e complementari. La stessa realtà da due angolazioni diverse ma arricchenti e complementari Poiché: ‘maschio e femmina li creò. Tali fece Dio l’ uomo e la donna’ (Gen.1,27). Ma, per essere ‘una unica carne’ (Gen.2,24)“. Ci sono ancora cose che riescono a spiazzarvi? Una cosa che l’ha sorpresa. Si sorprende ancora qualche volta? Le è capitato ad esempio che le arrivi uno che non si confessava da anni, da decenni? “Non recentemente. Ma da giovane sacerdote mi ricordo che ero in una grande parrocchia dell’hinterland milanese. Avevo predicato e confessato intensamente per tutti i giorni della settimana in preparazione alla Pasqua; avevo quindi concluso il mio ministero con il lunedì dell’Angelo.Al termine della Messa mi si avvicina un maturo signore che, accompagnato dalla moglie mi chiede con fare garbato: ‘Potrebbe confessarmi, Padre?’. Poi prosegue: ‘Guardi padre, sono 30 anni che non mi confesso. Otto mesi fa in ospedale avevo già tentato di farlo con il padre cappellano ma questi mi aveva invitato prima a prepararmi. Io ho cercato di farlo in questi mesi ma cosa vuole padre, ora più di così non saprei cos’altro cercare’. Allora lo ascolto, gli do l’assoluzione e quindi lo vedo sciogliersi in lacrime. Poi entra la signora che s’inginocchia e pure lei si mette a piangere di commozione. ‘Guardi, padre – mi dice – sono trent’anni che prego perché mio marito si confessi. Oggi sto provando la gioia più intensa di tutta la mia vita con lui’. Io credo che queste siano le più grandi soddisfazioni per un confessore”. L’assoluzione Ha mai rifiutato l’assoluzione? “Raramente, solo se non ci sono le condizioni”. E quali sono? “In pratica solo quando manca il pentimento”. Sono sempre le stesse persone che vengono a confessarsi? “No, non è così. In queste grandi festività c’è un afflusso certamente maggiore rispetto al resto dell’anno liturgico, tuttavia ci sono sempre volti nuovi. Poi ci sono anche le persone che hanno intrapreso da tempo un cammino di consolidamento della loro fede cristiana, che si sono assunti degli impegni di servizio più specifico nelle loro comunità e celebrano più regolarmente il sacramento anche durante il resto dell’anno”. Una volta i frati erano il punto di appoggio di quelli che piuttosto che andar dal parroco (che poi incontravano lungo la strada) preferivano andare da chi non li conosceva: “Può darsi, ma per i parroci oggi è più difficile, devono saltare di qua e di là, sono sempre meno col passare del tempo ”. Noi viviamo in un momento di individualismo in cui nessuno dice niente a nessuno, una volta nelle comunità tutti sapevano, adesso ci siamo isolati nelle nostre case con siepi a chiudere ogni forma di vista o di dialogo, e confessare al nostro parroco qualcosa anche sapendo che non rivelerà niente è pericoloso? “Mi fa venire in mente un bel flm degli anni ‘60, ‘Il buio oltre la siepe‘. Sì, può darsi che per qualcuno sia così, i tempi sono cambiati, una volta c’erano le confessioni fiume, per Natale e Pasqua c’erano le file ai confessionali e confessori straordinari per i Tridui Eucaristici e dei Defunti ma anche alla messa domenicale. Ora tutte queste consuetudini di vita stanno rapidamente evolvendo in seguito ai rivolgimenti culturali in atto nella società e comportano una necessità di acculturazione e di aggiornamento delle forme pastorali”. Ma trovano difficoltà a confessare aspetti di vita, della loro personalità? “Questo non glielo saprei dire. Dipende dal modo con cui si vive l’incontro con il sacramento. In genere la gente si apre e riceve sollievo dalla confessione e dall’assoluzione ma il conoscere più profondamente la persona e il percorso che l’ha condotta al confessionale per cambiare la vita, dipende dalla continuità e dalla costanza del suo successivo cammino di fede”. La vede la persona dal confessionale? “Certo, oggi la grata non c’è più in quasi tutte le chiese ma la personalizzazione del sacramento dipende soprattutto dall’ incontro profondo con il Signore che in esso avviene”. Si può fare la comunione senza confessarsi? “Se non hai commesso peccato grave sì, ma la confessione non è solo questo, è altro. Più si consolida la volontà di un rinnovamento della vita cristiana, più se ne colgono le finezze e il desiderio di purifcazione del cuore”. Non è conformismo andare a confessarsi perché è Pasqua o Natale? “Difficile oggi parlare di conformismo cristiano; c’è piuttosto un conformismo laicista dietro modelli proposti dal sistema mass-mediatico che, alla fine, diviene monotono e noioso benché apparentemente più sfrontato. In un tempo in cui è “’vietato vietare’ c’è sempre più spazio, almeno per chi lo vuole, per una scelta libera e sempre più protesa al superamento delle convenzioni e ,quindi, sorretta da convinzioni personali più profonde. Magari non in altre cose, ma nella confessione sì”. Reato e peccato Reati e peccato. Le è mai capitato che le due cose coincidessero? “Si tratta di due punti di vista diversi: il peccato e il reato riguardano entrambi l’uomo ma il primo è un evento teologico e non è perseguibile civilmente anche se può andare contro la legge naturale; mentre il secondo è un evento giuridico e può e deve essere perseguito dalla legge civile. Quindi è un discorso che va affrontato in un’altra sede. Il Decalogo ti dice solo che se vai contro l’uomo vai inevitabilmente contro l’ immagine di Dio che è in lui, quindi anche contro te stesso”. Le hanno mai confessato un assassinio? “No, sono anche entrato in carcere, alcune volte, ma non ho fatto l’esperienza di ascolto di questo peccato nella confessione e, comunque, quand’anche ci fosse, andrebbe considerato in ordine allo situazione interiore della persona. La confessione e l’assoluzione di un simile peccato suppongono la conoscenza delle circostanze esterne e delle disposizioni interne di chi l’ha commesso”. Coscienze che cambiano e che si adattano anche al peccato: “Sì, in una coscienza che si abitua a vivere nel peccato tende ad attenuarsi il senso della colpevolezza. Lo sprofondamento progressivo nel male tende a sminuire gradualmente la rilevanza e l’incidenza del male morale. Una simile modificazione della sensibilità della ‘coscienza’ può gradatamente indebolirla fino a renderla cattiva”. Le vostre risposte e formule in confessionale sono asettiche e uguali per tutti? “No, devo sempre considerare la persona che ho davanti, che è sempre unica e irripetibile, mai replicabile. La risposta riguarda sempre e solo ’quella’ persona”. Se questa persona avesse davanti un registratore che potrebbe dare l’assoluzione non sarebbe la stessa cosa? “Se una persona chiede una cosa simile dimostra una concezione perlomeno strana del sacramento e ha certamente sbagliato direzione”. Perché delle volte ci si trova davanti a un confessore che vuole sapere tutti i particolari? “Non è proprio così, ci sono peccati che per essere assolti hanno bisogno di situare il contesto in cui sono stati commessi e la motivazione con cui sono stati concepiti”. Perché uno deve capire se tanto poi c’è l’assoluzione? “Perché bisogna verificare il grado di avvertenza e di deliberato consenso e, quindi, il grado di responsabilità con cui la persona ha capito quello che stava facendo. Ciò aiuta a comprendere la disposizione della persona e la profondità del suo pentimento. Ma ognuno ha un percorso diverso da un altro”. Quanto dura una confessione? “Difficile dirlo, dipende sempre dalla singola persona”. Secondo lei hanno bisogno di parlare o vorrebbero che lei dicesse vai e basta? “No, non credo, vengono per liberarsi dai propri pesi, per riconciliarsi con se stessi e, in quel momento, la disponibilità del confessore è assoluta”. Quando lei finisce dopo una giornata intera in confessionale, non si sente carico di peccati? “No, li metto nelle mani di Gesù Cristo: è Lui che se li è caricati tutti su di sé morendo sulla Croce per noi. Non sono stanco moralmente, per niente, magari fisicamente ma poi vado a riposare”. Che mondo è questo rispetto a quello degli anni ’70? “E’ un mondo che ancora cerca Dio e questo è consolante. La confessione è molto più di una seduta di psicoanalisi, gli psicologi fanno uscire i traumi ma poi li lasciano lì senza dare un orientamento di senso. E’ questo il metodo delle scienze umane e va rispettato; la grazia della confessione, invece, cogliendo il centro dell’uomo, innesca in lui un processo di guarigione profonda del suo essere perché ne raggiunge tutte le dimensioni interiori aprendolo sempre più al senso ultimo del suo esistere”. C’è anche nelle altre religioni la confessione? “Nel cattolicesimo è il massimo, è presente nel cristianesimo ortodosso mentre nel protestantesimo non c’è. Qualcosa troviamo nel buddismo, almeno a livello di comunicazione dialogica della colpa al fratello o al maestro di vita interiore. Ma l’assoluzione è diversa: non solo ascolta ma anche rimette il peccato. Come faceva Gesù”. E quindi nel protestantesimo è un contatto diretto fra il peccatore e Dio: “Sì ma questo aumenta l’angoscia. Non per niente la flosofa dell’angoscia è nata in un simile contesto religioso. Invece, quando io sacerdote sono davanti a una persona so che attraverso di me è il Signore che ascolta, che parla e si comunica ad un fratello; se non avessi questa consapevolezza sarei un matto da legare a mettermi in confessionale. Li io sono solo un tubo, ma un tubo consapevole che riceve e comunica la infinita misericordia di Dio, anche se rimango, per la mia umanità un misterioso impasto di miseria e di grandezza, come diceva Pascal”. Non si intoppa ogni tanto quel tubo? “No, almeno finora. Spero continui così”. Mai tentato di tradire il segreto confessionale? “Assolutamente no, un sacerdote nel confessionale diventa una tomba. Nel momento in cui ascolta la confessione di una persona ha presente solo quella persona e il resto non c’entra più. La confessione è molto più di tutta la psicologia moderna, perché coglie la persona nel centro del suo essere e gli dà la luce, la psicologia trova le sue problematiche ma non le dà la risposta e la forza per risolverle. Non è questo, a livello di metodo, il suo compito. Ricordo una famosa affermazione di Woody Allen alcuni anni fa: ‘Sono stato trent’ anni in analisi ma non mi è servito a niente’. Poi si mise con la figlioccia. Ma non oserei dire che fu per questa ragione che lo fece”.

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