Da CortoLovere a Giulia, giovane bergamasca vincitrice del Premio Campiello, a Vermiglio, nel cuore della Valle, film candidato all’Oscar”

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    (Dal numero del 4 ottobre 2024) 

    di Luca Mariani

    In poche pagine orchestra sapientemente un crescendo di tensione narrativa ancorata a una vicenda bellica e raccontata attraverso una voce narrante che è anche voce epistolare.” Sono queste le motivazioni che hanno spinto la giuria guidata da Walter Veltroni a scegliere il racconto della bergamasca Giulia Arnoldi come il vincitore della XXIX edizione del prestigioso premio letterario Campiello giovani. «Era una vittoria inaspettata. Sono consapevole che la mia scrittura sia ancora molto acerba e da migliorare. L’emozione è stata grandissima per la sorpresa, per l’affetto che si è creato con gli altri finalisti e per il futuro che si va ad aprire.» Giulia, hai 19 anni, in estate ti sei diplomata e adesso ti sei iscritta a Lettere moderne all’università di Bergamo. Cosa vuoi fare da grande? «Da grande vorrei scrivere e insegnare, perché entrambe queste attività possono dare ispirazione a qualcuno. Vorrei essere di ispirazione come gli scrittori e gli insegnanti lo sono stati per me.» Ce ne è stato qualcuno in particolare? «Tutti gli insegnanti che ho incontrato durante il percorso scolastico. Il mio scrittore preferito in assoluto è Fëdor Dostoevskij con i suoi racconti e apprezzo molto anche il romanticismo tedesco.» Ma torniamo al tuo racconto. Come ti è venuta l’idea di scriverlo? «Il racconto nasce in un viaggio di istruzione sul monte Cengio, che la scuola superiore Einaudi di Dalmine, che io ho frequentato, organizza tutti gli anni per le classi quinte. Durante questa salita verso la vetta mi sono guardata intorno e ho notato alcuni elementi della natura come la nebbia, i fiori e una roccia. Visto che ho una pessima memoria e mi dispiaceva prendere il telefono per appuntarmele ho chiesto ai miei compagni di classe di ricordarmi queste parole. Loro stranamente ci sono riusciti e durante il viaggio di ritorno in pullman ho iniziato a scrivere l’incipit del racconto.

    Ovviamente poi a casa ho fatto un lavoro di ricerca e stesura del testo.» E poi perché hai deciso di partecipare al premio Campiello giovani? «Ho conosciuto questo premio nel 2022 quando ho vinto le Olimpiadi di italiano. Tra queste due competizioni letterarie c’è una collaborazione perché il vincitore del Campiello giovani entra nella giuria delle Olimpiadi di italiano. Perciò ho conosciuto la ragazza vincitrice del Campiello giovani che mi ha invitata a provare a partecipare a questo premio. Così dopo che è nato questo racconto mi sono chiesta: “perché non inviarlo e non provarci?” Alla fine è andata bene.» Il protagonista del tuo racconto è Michele, un giovane soldato… «Lui rappresenta tutti i giovani che in tutte le guerre combattono per difendere la propria patria e soprattutto la propria famiglia. Nel mio lavoro di ricerca c’è stata anche la lettura delle lettere che i soldati inviavano a casa alle famiglie. Ho notato che soprattutto tra i giovani soldati c’era questo tentativo di rassicurare le famiglie anche se le condizioni erano terribili. È interessante perché è una forma di narrazione e come tale può distorcere la realtà. Loro cercavano di far passare questo messaggio di tranquillità.» Nel racconto un ruolo importante lo hanno anche le donne: la mamma di Michele e la fidanzata Agnese. «Loro sono il più grande affetto famigliare che il protagonista ha e il più grande ricordo di casa. Lui è legato alle sue origini non tanto per i luoghi, ma per gli affetti. È più legato ai luoghi della montagna che sta vivendo, mentre agli affetti è legato alle due figure femminili con cui ha vissuto prima della guerra.» E gli animali? «Sono l’unica forma vivente che Michele sente vicino a sé sulla montagna. Visto che i soldati sono troppo stremati per fare gruppo e dopo che ha visto i suoi compagni morire, il protagonista sente che gli animali sono tanto soli quanto lui. Quindi si sente più vicino agli animali che all’essere umano, anche perché si rende conto che anche lui stesso, come tutti gli umani in guerra, sono disumani tanto quanto un animale.» Mentre scrivevi quale era il tuo obiettivo? «Volevo semplicemente trasmettere le emozioni che il protagonista prova all’interno del racconto. Il messaggio invece è nato dopo.» E quale è? «Sono due quelli che vorrei aver trasmesso. Da una parte è sempre importante parlare di guerra a prescindere dal periodo storico che è interessato. Inoltre tutte le guerre hanno in comune il fatto di essere orribili e di essere da un certo punto di vista insensate. Poi ognuno di noi ha bisogno di qualcosa che lo possa tenere aggrappato alla vita. Qualcosa che ti aiuta a superare le sofferenze. Per Michele sono le voci della montagna e il ricordo dei cari.» Questa idea della fuga mentale come metodo di sopravvivenza l’hai ripreso da altri autori? «La principale fonte di questo racconto è Giuseppe Ungaretti. Non è un caso che l’abbia scritto durante l’anno della quinta superiore, quando si studia questo poeta che è il più amato da tutti gli studenti italiani. Ungaretti spesso parla del ricordo dei cari e della natura. Quindi ho cercato di rappresentarli all’interno del racconto.» E perché per te è sempre importante parlare della guerra? «Credo sia importante non fare una narrazione idealizzata della guerra. Tutti i soldati compivano azioni di cui poi si vergognavano, a prescindere dall’intento. È un modo per dire che nonostante i nostri ideali, a volte l’istinto può far cadere tutte le certezze e fa commettere atti di cui poi ci si pente.» E come nasce il titolo “Appena prima dell’ultimo accordo”? «In una maniera abbastanza particolare. Ci sono due motivi. Il primo è quello che gli attribuisce maggiore significato: in un passaggio del testo io paragono ciò che sta succedendo sull’altopiano ad una melodia. Quindi l’ultimo accordo è la fine e la caduta del monte Cengio. Quindi prima dell’ultimo accordo sono i momenti della sconfitta e della morte di Michele. Il secondo motivo semplicemente perché richiama un passo del racconto in cui un gheppio si lancia in “in picchiata per catturare un topo, come la mano di un pianista appena prima dell’ultimo accordo.” Mi piaceva la frase, l’ho collegata agli animali e quindi l’ho scelta come titolo.» Perciò c’è un forte legame tra la tua scrittura e la musica? «Sì, ho scritto il racconto con l’unico e solo sottofondo di Antonio Vivaldi. L’intensità del testo cambia anche in base a come cambiava la musica.» Come è stato il rapporto con gli altri quattro finalisti? «Siamo diventati amici perché il Campiello non è solo un premio letterario, ma è anche un gruppo di giovani autori che condividono la stessa passione. Sono molto contenta perché da quei quattro ragazzi ho imparato sia a livello umano che a livello di scrittura più di quanto mi abbiano insegnato molte altre persone per una vita intera.» E adesso? «Sto lavorando ad un altro progetto, un po’ più ampio e sempre di natura storica, ambientato nel periodo della divisione tra Germania est e ovest.» Perché proprio questo contesto storico? «Ho studiato tedesco alle superiori e soprattutto nell’ultimo anno ci siamo concentrati su questa parte di storia grazie alla nostra insegnante di tedesco Anita Rizzi che ha fatto un approfondimento molto interessante, utile a capire le contraddizioni, non solo storiche, ma anche sociali di un periodo che ha molte ripercussioni sull’attualità.»