CERETE – Don Stefano: “Facevo il geometra e sono entrato in Seminario a 28 anni…”

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    (Dal numero del 4 ottobre 2024)

    Il vociare allegro di alcuni bambini che si divertono all’interno del parco giochi contrasta con il silenzio di un sagrato vuoto e ancora vestito a festa per l’ingresso del nuovo parroco, don Stefano Ubbiali. “Ho parcheggiato proprio ora a casa”, leggo sul display del mio telefono, alzo lo sguardo e don Stefano è già lì, al cancello dell’Oratorio ad aspettarmi. “Sono ancora catapultato tra qui e Bergamo dove sto sistemando le ultime cose, ma sono davvero contento”. Questa è la sua nuova casa, proprio sopra l’Oratorio, che oggi è chiuso. “Qui se non ricordo male c’è una panchina, possiamo sederci”, e allora don Stefano inizia a raccontare i suoi primi giorni valligiani: “Sono stati giorni belli e intensi, per quanto mi abbiano detto ‘andrai in montagna, non avrai molto da fare’, posso già dire che non è così… almeno non per ora, perché questo è il tempo di conoscere le persone, incontrare i gruppi e girare per i paesi. Ho ricevuto un’accoglienza calorosa sia sabato che domenica e ho percepito la voglia di incontrarmi, di vivere insieme quei momenti e di fare festa. C’erano anche il gruppo della parrocchia che ho lasciato e della mia parrocchia di origine che mi hanno accompagnato e presentato bene. Quindi a parte i chilometri (sorride, ndr) che avevo già messo in conto perché devo girare un po’ qua e un po’ là, sta andando tutto al meglio. Ho trovato una comunità che non è seduta ma che ha voglia di lavorare”. E tu che arrivi dalla città, qui hai trovato una realtà completamente diversa: “La prima cosa di cui mi sono accorto e che è la più banale è che il lunedì devo andare a fare la spesa e non avevo la minima idea di dove andare! In città trovi tutto dietro l’angolo, qui è un po’ diverso. Per il resto non ho sentito particolarmente il distacco, non perché non fossi affezionato, perché sono stati anni molto belli e, anzi, mi dispiace essere venuto via ma allo stesso tempo quello che ho lasciato non si è cancellato ma andrà avanti qui”. Qualcosa però ti manca: “Ho già capito che c’è vivacità, ma quello che adesso un po’ manca è la realtà dell’oratorio, dove praticamente vivevo tutto il giorno, c’era sempre qualcuno e c’era sempre l’occasione di incontrare tanta gente. Qui le persone le incontri un po’ in giro, un po’ alle riunioni e qui in Oratorio molto meno ma lavoreremo anche su questo”. Sarai un parroco unico per quattro comunità… “Sì ed è una bella sfida, fortunatamente non sono da solo, perché c’è don Pietro Milesi che abita a Onore e mi darà un grande supporto anche per conoscere e per capire alcune dinamiche di queste nuove realtà. E poi ci saranno don Augusto, don Gustavo ma anche don Giulio e don Renato e gli altri preti dell’Unità Pastorale con cui potremo lavorare bene e confrontarci. Sono quattro comunità molto diverse tra loro con alcune particolarità in ognuna e dovremo cercare di essere una cosa sola. La sfida è proprio quella di riuscire a sentirci comunità anche se siamo in quattro, in tanti hanno belle aspettative e altri che faranno un po’ più fatica ma anche in questo caso non c’è fretta, ci lavoreremo”. Tu cosa ti aspetti? “Parto con la fiducia che qualcosa di bello accadrà. Per quanto riguarda me, mi aspetto di riuscire ad esserci un po’ per tutti anche se ci sarà un po’ da correre, dalla comunità ho la speranza che senta questa bellezza di poter essere una cosa sola e di lavorare insieme perchè questo diventi ricchezza invece che semplice fatica”. E con i giovani? “A Boccaleone i giovani che frequentavano l’oratorio non erano tutti quelli che frequentavano la chiesa, ma quello non mi spaventa perché anche loro hanno un cammino di fede, si allontanano e si avvicinano, ma credo che per un sacerdote sia fondamentale stare in mezzo a loro senza giudicarli e calandosi nel loro mondo senza confondersi ma ascoltandoli e coinvolgendoli”. Quale è la sfida più grande per un sacerdote? “Conciliare l’essere prete ed essere un uomo come tutti gli altri, dimostrando che le due cose possono stare insieme in modo che la gente ti veda sì come una figura che ha un ruolo, ma che non sei così distante da loro”. Torniamo un po’ indietro, alla tua vocazione… “La mia chiamata? Di preciso non saprei, forse perché un momento esatto non c’è, però quando ho detto a mia mamma che stavo pensando di entrare in Seminario, lei mi ha risposto in bergamasco che… era ora (sorride, ndr). Ho fatto il chierichetto da quando avevo 6 anni, mi piaceva stare in Oratorio, ho fatto il catechista, l’animatore e anche alcuni viaggi missionari in giro per il mondo, insomma era un ambiente che mi faceva stare bene. Detto questo, c’è sempre stato qualcosa che ha frenato la mia decisione di prendere la strada del Seminario. Finita la maturità ho trovato subito il lavoro, finito quel lavoro ne ho trovato un altro poi sono stato in un ufficio di geometri e avevamo una commissione grossa quindi ho rimandato di nuovo e nel 2007, quando avevo 28 anni, ho capito che era arrivato il momento di scegliere cosa fare nella vita, che non potevo più tenere il piede in due scarpe. Ho fatto il ministro straordinario e ho accompagnato una mamma di 40 anni malata di tumore al cervello… per lei era arrivato il tempo della morte e per me di prendere una decisione”. Hai avuto dubbi o ripensamenti? “Mai, mi sono abbandonato alla fiducia di quelli che camminavano con me, e poi avevo un’età matura e un’altra consapevolezza”. E fuori dalla vita parrocchiale? “Una delle cose mi piace fare è girare e conoscere nuove realtà, ho fatto diversi viaggi missionari, dal Perù al Madagascar e quest’estate a Città del Messico, ma anche giri più vicini con i miei amici quando ero un adolescente. Mi piace molto camminare in montagna e quando mi hanno detto che sarei venuto qui non potevo che essere felice anche perchè da piccolo venivo a Fino del Monte e quindi conosco già qualche posto. Mi piace stare un po’ da solo e magari prendermi del tempo per leggere e per scrivere. E poi sì, spero di avere un po’ di tempo per tornare a fare qualche lavoretto con il legno. So che qui c’è il gruppo dei presepi e andrò presto a conoscerli”. I rintocchi delle campane e il cielo che inizia a gocciolare chiudono così la nostra chiacchierata. “Don Stefano, mi scusi…”, una voce dal sagrato ci ricorda che qui di tempo da perdere proprio non ce n’è.