IL REPORTAGE – Il virus: la nuova arma di distruzione di massa. Alle origini dell’antrace, della Sars, Ebola… sino ad arrivare al coronavirus. Il reporter Giorgio Fornoni, l’unica persona ad entrare nel laboratorio del Kgb in Siberia dove nascono virus capaci di distruggere il mondo. Ecco il reportage, tra scienziati, morti e quell’interrogatorio di 15 ore del KGB

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Coronavirus. Paura. Contagio. Fake news. Titoli ad effetto. Parole. A mucchi. Nel ‘piccolo’ è successo e sta succedendo lo stesso effetto panico di quello che è accaduto qualche settimana fa nella zona del Basso Sebino per la meningite. E dopo il boom e il panico si è tornati alla normalità. Coronavirus e meningite, sia chiaro, sono virus completamente diversi e anche la loro natura è completamente diversa. Da più parti si insinua il dubbio che il coronavirus sia stato prodotto in uno dei laboratori militari cinesi, insomma, un’arma chimica che doveva essere usata in caso di attacchi o per altri scopi, qualcuno insinua che ci sia stato un errore e sia partito il contagio. Di prove non ce ne sono e di voci ce ne sono anche troppe. Abbiamo fatto un percorso inverso. Pubblichiamo un reportage di Giorgio Fornoni sulle armi di distruzioni di massa, armi chimiche, anche la Sars era fra queste, la sorella maggiore del coronavirus.

Giorgio è l’unica persona al di fuori di militari e autorizzati, quindi agenti del KGB, scienziati ecc. ad essere entrato in questa zona off limits della Siberia, richieste di permessi, alcuni mai arrivati e poi il coraggio e l’incoscienza di entrarci ugualmente, Giorgio che è stato fermato a ridosso del sito militare in mezzo alle steppe russe e prelevato dagli agenti segreti del KGB e sottoposto a un duro interrogatorio durato 15 ore. Ma Giorgio quando è riuscito ad andarsene non è tornato in Italia, macchè, è andato sino in fondo, dentro quei laboratori dove non è mai entrato nessuno, non è stato preso ma quello che ne è uscito è un documento, sono filmati, che quando li abbiamo visti qui in redazione ci hanno fatto venire i brividi.

Giorgio comincia il suo viaggio da Alexey V. Yablokov, delegato Onu per i problemi atomici: “Quando da noi durante la guerra fredda costruivano sommergibili nessuno pensava che prima o poi si sarebbero dovuti smantellare. Lo scopo era solo quello di costruirne il maggior numero possibile”; spiega Yablokov.

Comincia il viaggio di Giorgio

«Siamo a Severodvinsk nel Nord della Russia, vicino al mare di Barents. La temperatura è polare: meno 35. Era una cittadella chiusa, un tempo, inaccessibile; ma ancora oggi per entrare servono tante richieste ed estenuanti trattative. Poi, finalmente, i permessi. Questi scafi, prigionieri del ghiaccio, sono ciò che resta della grande flotta di sottomarini atomici. Tra queste lamiere arrugginite ci sono ancora i reattori nucleari di propulsione, missili e siluri. Il loro cuore nucleare, abbandonato da una decina d’anni è un potenziale strumento di distruzione. Ai tempi della guerra fredda ne erano stati costruiti 242, simili al Kursk affondato nel mare di Barents e al celebre Ottobre Rosso del film. Lo smantellamento per ora riguarda solo i sommergibili nucleari ed è diventato il grande business di questi anni. Per smantellare un sommergibile nucleare ci vogliono all’incirca tra i 9 e i 12 mesi. Il decommissioning, ovvero il processo di smantellamento, già di per sé complesso, è reso ancora più estremo dalle temperature polari: mare gelato, vento e neve. Altrettanto critiche sono le condizioni di sicurezza. Gli operai costretti per ore a respirare sostanze tossiche e a muoversi su precarie impalcature».

Giorgio incontra un operaio: “Vivo qui a Severodvinsk con la mia famiglia. Lo stipendio è misero, ridicolo, ci vorrebbe sempre di più. Sono qui dall’82 capisce? Sono 22 anni”. «Gli operai – continua Giorgio –  lavorano duro e fingono di non vedere tutti questi pericoli per non perdere il posto di lavoro. L’accordo internazionale ha previsto la demolizione dei sottomarini atomici con capitali americani e norvegesi, poiché questi due paesi sono i più esposti alla contaminazione dell’Artico. I lavori però vanno troppo adagio in rapporto alle necessità anche perché la burocrazia russa rallenta tutto e di questo passo ci vorranno quasi 100 anni se non si interverrà radicalmente».

“E’ dura – spiega l’operaio – con questo tempo ma non mi lamento. Al chiuso sarebbe pieno di fumo… all’aperto è meglio, preferisco l’aria libera”.

«I contenitori delle barre di uranio estratte dai reattori inserite nei container, attendono di essere trasportate su treni speciali da questo magazzino al grande deposito, o pattumiera nucleare di Mayak. Vendere ai paesi del terzo mondo non è così semplice ma nemmeno impossibile. All’India è stata venduta una portaerei attrezzata al lancio di missili nucleari. C’è però un giro perverso: il loro arsenale fa paura, ma siccome non hanno soldi, noi li aiutiamo, però il denaro per testare nuovi tipi di missili invece ce l’hanno. E poi ci sono armi ancora più pericolose perché stanno in poco posto, tanto per usare un’espressione rozza, e sono le armi chimiche e biologiche. Di queste non sappiamo e non vediamo nulla. E sul nulla si costruiscono tutte le ipotesi. Alcuni giornali italiani riportano la seguente notizia: “Sarin, Soman, Tabun, VX, Ipriti, Lewisiti, agente-Orange e altro ancora, sarebbero le micidiali armi chimiche che con una decisione sconcertante, sulla quale pesano diverse interrogazioni parlamentari, datate 13 giugno 2003, il Ministero della Difesa avrebbe dichiarato di voler acquistare. Partono le interrogazioni e Internet è travolto da messaggi di allarme. Sappiamo che le armi chimiche esistono e sono conservate in arsenali identificati, e quelle biologiche sono state messe al bando 40 anni fa. Eppure questa minaccia è invisibile e di fatto incontrollabile perché la sua origine spesso è naturale».

Il supervirus Ebola

Il supervirus Ebola, responsabile della febbre emorragica, è un killer che non perdona. E’ il più aggressivo tra quanti siano mai apparsi nella storia dell’uomo. Contagio certo in prossimità di un malato, tasso di mortalità vicino al 100 per cento. Compare per la prima volta nel ’76 in Zaire, ma a diventare di dominio pubblico è l’epidemia dell’aprile ’95, sempre in Zaire. Tra le vittime anche 6 suore italiane. Per contenere l’epidemia la regione fu isolata dai militari e i medici si proteggevano con scafandri completi. L’epidemia non si è ancora estesa al di fuori dell’area originaria perché la mortalità è talmente elevata da rendere molto difficile la propagazione attraverso gli stessi malati. Qualche mese fa Ebola si è ripresentato di nuovo, sempre nella stessa area remota colpita nel ’95, che oggi, però, si chiama Congo. Il pericolo più grosso non è per la popolazione in generale, non è un virus che viene sparso nell’aria, si diffonde come può fare l’influenza, ma è un virus che si sparge solo con fluidi biologici, soprattutto sangue, e quindi colpisce operatori sanitari e quelli che sono a diretto contatto con i malati. Di conseguenza rimane di solito un fenomeno relegato all’Africa e quindi non ha un’importanza economica tale da richiedere grandi investimenti da parte di Usa e Europa, che hanno altre priorità.

I nuovi virus “rielaborati”

Giorgio arriva a Mosca nel febbraio 2004 e incontra Anatoly A. Vorobyev, Capo Dipartimento Microbiologia, Virologia Mosca “I microbi hanno 50 generazioni in un giorno – spiega la virologa – negli ultimi 30 anni sono nati circa 30 nuovi virus e batteri: – Legionella; – HIV; – Ebola; – Lassa; – Marburg; e molti altri… anche Ebola quindi è un virus naturale. Ebola è un virus naturale nato in Africa. Inoltre in laboratorio è quasi impossibile crearlo, muore in fretta, mentre in natura acquisisce resistenza e muta”.

Lev Fiodorov invece è una delle massime autorità mondiali nel campo chimico e biologico. “Si tratta sicuramente di forme endemiche in Africa – spiega Lev Fioorov – ma quando i militari hanno avuto in mano questi virus, li hanno rielaborati per cui non si può escludere che l’uomo abbia contribuito al loro rientro in natura sotto forma più violenta. Quando nei primi anni ’70 venne scoperta l’ingegneria genetica, i microbiologi militari sovietici hanno usato virus, Tuleramia e Ebola rendendoli più aggressivi”.

Laboratorio segreto

Giorgio mostra un filmato: «Questa è Kolzovo, nella Siberia centrale, sono immagini esclusive di quel triangolo laggiù che è la sede del più grande centro biologico al mondo…

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