I SINTI DI TRESCORE – “Siamo dimenticati qui. Questo campo è un ghetto”

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«Siamo qui. Il Comune ci ha abbandonati, si ricorda di noi solo quando deve chiederci i soldi». Soltanto le parole di Mario Huyer rompono il silenzio in via Pascoli a Trescore Balneario.

«È da tempo che chiediamo di sistemare la ghiaia nei viali del campo, ma loro non ci ascoltano. Perciò, quando ci hanno chiesto di pagare 100 euro perché era nato un bambino noi abbiamo detto di no».

Mario ha 55 anni, un corpo robusto e più basso della media avvolto in un maglione dolcevita grigio. Al centro della testa tonda e pressoché glabra due vispi occhi marroni.

«Ci hanno rinchiusi qui e si sono dimenticati di noi. Sembra di essere in un ghetto. Però la gente di Trescore ci conosce bene. Viviamo in questo campo da quasi trent’anni».

Percorrendo via Pascoli, una strada di campagna poco curata e in leggera discesa, si incontra una casa in costruzione, una serie infinita e ordinata di serre e una cascina che pare abbandonata. Al centro di tutto ciò si trova il campo nomadi dove è parcheggiata la roulotte bianca di Mario.

 «Ormai siamo restati qui in pochi. Siamo meno di trenta».

Il sole è alto sulla pianura e riscalda il mucchio di copertoni affastellati ai margini dell’asfalto. Il vento freddo soffia delicato facendo vibrare l’erba incolta sulle sponde del rivolo scuro che separa la strada dal campo e solleva una sottile colonna di fumo da un cumulo di cenere poco prima dell’ingresso aperto, delimitato da nessun cancello.

Sdraiata lì vicino una bottiglia vuota da 66 cl di birra Peroni e un bidoncino dell’umido fermo in quella posizione da molto tempo.

Un lieve odore di bruciato riempie l’aria e Mario Huyer prosegue il suo racconto:

«Noi siamo sinti, siamo nomadi, siamo quelli delle giostre! Però io adesso non faccio più quel lavoro. Oggi è diventato molto costoso. Devi avere i posti giusti, altrimenti non rende. Per questo molti di noi hanno i gonfiabili e la macchinetta per lo zucchero filato: è vantaggioso perché hai meno spese e puoi andare in tanti posti. Siamo sempre noi anche quelli che mettono le luci di Natale nei diversi comuni. Però quest’anno, per colpa della crisi e del costo dell’energia elettrica abbiamo lavorato meno».

Non è un caso che appoggiate all’unico edificio più alto e vistoso delle roulotte, alle spalle di Mario, ci sono due luminarie a forma di stelle che giacciono semi dimenticate tra un pallone di cuoio sgonfio e una dozzina di bocce di pietra scolorite.

Il discorso di Huyer viene interrotto da una donna che gli consegna un tablet bianco che squilla. Lui risponde e dopo la chiamata aggiunge: «Sono due ragazzi di Pescara che vogliono comprare questa macchina. Stanno arrivando qui per vederla»… SUL NUMERO IN EDICOLA DAL 3 FEBBRAIO

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