I PERSONAGGI/2 – DOMENICO IMBERTI – Partigiano a 15 anni: “Facevo il garzone dal fornaio, le botte prese di notte, le riunioni con Bepi Lanfranchi, la prima zolletta di zucchero…”

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“Facevo il garzone dal fornaio di Ponte Nossa che riforniva anche tutti i paesi qui intorno: Premolo, Parre, Gorno, Oneta, Ponte Nossa…. Allora si usava rifornire le botteghe di notte, in modo che anche gli operai e le operaie del primo turno, quello delle sei – lo stabilimento tessile di Ponte Nossa contava più di 4000 maestranze – facessero colazione col pane fresco, e questo significava che partivo per i miei lunghi giri con la gerla sulla mia sgangherata bicicletta poco dopo la mezzanotte… Ma ai fascisti non piaceva la gente che girava di notte, e così mi capitò due volte di essere picchiato da loro senza alcun motivo…”.

Domenico Imberti, di Ponte Selva, classe 1929, qualche acciacco dovuto all’età ma memoria ancora lucida, deve proprio al suo lavoro il fatto di essere diventato partigiano. Lo avevamo incontrato qualche tempo prima che morisse. E questo è quello che ci aveva raccontato: “Il 6 gennaio del ’44, nella zona dove c’è il distributore di benzina Api che allora non c’era, venne trovato un fascista morto. Partita da Clusone alla caccia dei colpevoli, la brigata dei repubblichini fece irruzione in chiesa, dove la gente era riunita per la Messa dell’Epifania. Il povero Parroco ebbe un bel gridare ‘In chiesa con le armi non si entra!’, quelli entrarono lo stesso e siccome i partigiani veri si erano nascosti, chi in sacrestia chi sotto i larghi ‘gabà’ (mantelli) dei più anziani, presero una dozzina di ragazzotti, tra cui il sottoscritto, e ci accompagnarono a suon di manganellate fino alla stazione a vedere il morto che nel frattempo avevano spostato lì. Dovevamo guardare il morto e ‘parlare’, ma poiché nessuno di noi sapeva cosa fosse successo e perciò non diceva niente, le botte continuarono finché ci caricarono tutti sul treno, dove trovammo anche parecchi giovani delle Fiorine, perché anche in quella chiesa avevano fatto una retata.

Una volta a Clusone, presso la scuola elementare, altri interrogatori e altre botte. Si avvicinava il mio turno e io guardavo terrorizzato i bastoni di scopa che c’erano dappertutto e le macchie di sangue sul pavimento… Ma proprio quando eravamo rimasti solo in due da ‘interrogare’, si avvicinò uno strano tipo che disse autorevolmente agli aguzzini di lasciarci stare, che a noi avrebbe pensato lui, e poco dopo ci disse di andarcene.  

Non ci sembrava vero e ci avviammo verso il cancello – era ormai sera e fuori c’erano padri, madri, parenti che attendevano con ansia di conoscere la sorte dei loro cari – ma, una volta varcato il cancello stesso, mi presi un’altra bastonata. Sentii la voce di mio padre che mi gridava: ‘Saluta!’. Allora capii perché le avevo prese di nuovo, non avevo salutato la sentinella… Insomma, finì che per riprendermi dovetti stare a letto per una settimana”.

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