GROMO – Alfredo, 5 anni dopo il Covid: “Il ricovero a Esine, ho visto morire tre compagni di stanza, sono stato fortunato. Ho ripreso ad andare in bicicletta e sciare ma…”

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di Luca Mariani

Una lacrima scivola via dall’occhio sinistro. È pesante ma limpida e si sdraia in silenzio nella prima ruga. «Sono contento che ne abbiamo parlato. Era da un po’ che non lo facevo. Mi commuove sempre anche se non voglio.» Quando Alfredo Zanotti riesce a far rivibrare le sue corde vocali, la bocca prende l’onda di un liberatorio sorriso e la lacrima si butta sulla guancia sbarbata. «I primi due anni capitava spesso di parlarne, soprattutto a chi era morto il fratello, la mamma, la sorella o il papà. Adesso c’è ancora qualcuno che ti chiede, ma è scemata. Abbiamo smesso di parlarne anche con chi l’ha vissuta.»

Capelli bianchi, battuta pronta e lo sguardo simpatico di chi ama stare con le persone. Alfredo nel 2020 ha quasi 63 anni e la sua vita è messa in pericolo dal Coronavirus: «Era già qualche giorno che sentivo di non stare bene.» Sono i primi giorni di febbraio. Alfredo sta finendo il trasloco della sua Autocenter dalle Fiorine, alla nuova sede in via Alcide De Gasperi a Rovetta e in Italia si parla del Covid come un’influenza solo un po’ più grave. Così continua a lavorare fino a mercoledì 12: «Ho provato la febbre e ne avevo 38,8. Allora mi sono chiuso in camera, in isolamento, nella mia casa di Gromo.» I giorni passano, ma la febbre no. Anzi la difficoltà a respirare diventa sempre più evidente e preoccupante. «La mia dottoressa veniva a vistarmi e voleva darmi l’ossigeno, ma le bombole erano già introvabili.» Intanto la situazione del contagio è ormai sfuggita al controllo. L’allora premier Giuseppe Conte ha dichiarato l’inizio del primo lockdown. Così il 13 marzo il gromese classe ’57 viene ricoverato all’ospedale di Esine. «La prima settimana è stata dura. Non lo hanno mai fatto, ma un paio di volte ho sentito che discutevano se intubarmi o no. Poi pian piano ho ripreso coscienza.»

La ripresa delle capacità celebrali è accompagnata anche da una, seppur minima, attività fisica: «Dopo un paio di settimane già camminavo nel reparto. Non mi lasciavano se no sarei uscito. Mi dicevano: “sei quello che sta meglio di tutto l’ospedale”. E allora dicevo: “dimettetemi!” Mi sembrava di stare bene ma non ero ancora a posto. Avevo ancora l’ossigeno attaccato. Non avevo più il casco, ma la mascherina.» Il personale continua a monitorare pressione e saturazione di Alfredo e non smette di dirgli che la sua ripartenza abbastanza veloce è merito del fisico allenato: «Ho sempre fatto bici e sci di fondo. Questo mi ha aiutato tanto. Ce ne erano tanti più giovani di me che erano messi proprio male. Quando io sono stato dimesso loro erano ancora lì.»

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