Gino Strada

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 “Non sono un pacifista, sono semplicemente contro la guerra. Noi andiamo dove c’è bisogno e… dove essere curati costa”

Missionario laico? Laico lo sono di sicuro, missionario direi proprio di no”. E’ della generazione che già fatica a inquadrare se stessa in un mondo scomparso, le date, gli avvenimenti della storia fanno aggio su quelli personali. E definiire se stessi oggi oltre che faticoso, è spesso inutile, il giorno dopo già devi cercare di non farti inquadrare da qualcuno cui fa comodo “arruolarti” per (sua) convenienza. Gino Strada è divertito dal fatto di non ricordare con precisione l’anno in cui si è laureato in medicina, che importanza può avere nel quadro della grande storia quel dettaglio, ai margini dell’affresco? Comunque dovrebbe essere il 1978. Poi si è specializzato in “chirurgia d’urgenza” che già sembra una scelta di qualcosa di… insolito. “Sì prima la chirurgia d’urgenza e poi quella cardiovascolare”. Quest’ultima più comprensibile, il fi lone dei trapianti si capisce che possa affascinare un giovane laureato. Ma la chirurgia d’urgenza? “Perché è molto interessante professionalmente, vuol dire lavorare anche in condizioni non sempre facili, anche qui, e poi a Milano c’era questa grande scuola di chirurgia d’urgenza che era stata fondata dal Prof. Staudacher (Carlo Staudacher che dal 1969 al 1980 fu assistente ospedaliero nella Divisione di Chirurgia d’urgenza all’Ospedale Maggiore di Milano – n.d.r.). Io lavoravo nel suo reparto quindi è stato naturale affezionarmi a quella disciplina”. Hai detto “anche qui”, che vuol dire in Italia… “Beh, la chirurgia d’urgenza è quella che si occupa dei traumatismi acuti, è una chirurgia molto impegnativa, si lavora tanto, non ci sono mai orari, non è un’attività di tutto riposo”. Una carriera davanti, anche se non di tutto riposo, e uno decide di occuparsi di “traumi” in paesi lontani… “Lontani per modo di dire, lontano è tutto quello che non vogliamo sentire come nostro, ma se ci si pensa non sono poi tanto lontani…”. Adesso no, ma in quegli anni… “Allora non pensavo specificamente alla chirurgia di guerra. Volevo appena verifi care cosa poteva voler dire essere un chirurgo in quelle parti del mondo dove chirurghi e medici non ce ne sono molti”. E il primo impegno fu con la Croce Rossa. “Partii con la Croce Rossa Internazionale da non confondere con la Croce Rossa Italiana. Partii e fi nii in un ospedale per feriti di guerra in Pakistan. I feriti della guerra afgana venivano trasportati in Pakistan… credo fosse il 1987. Era un ospedale della Croce Rossa Internazionale”. E poi ti sei staccato dalla Croce Rossa. “Ci ho lavorato un po’ di anni, fi no al 1992”. E come è nata l’idea di creare i “tuoi” ospedali? “L’idea di Emergency è nata da quell’esperienza lì, dai bisogni enormi che vedi e di quanto poco si possa rispondere e quindi una mano in più serve sempre”. Adesso che l’organizzazione l’hai creata sembra naturale, ma ritornando a quell’epoca uno si può chiedere, perché non sei restato con la Croce Rossa, non deve essere stato facile metter su degli ospedali in terre straniere. “Ma era anche successo che la Croce Rossa Internazionale ha smesso di mettere a disposizione ospedali, hanno cambiato la loro politica degli aiuti, diciamo così, e quindi i bisogni semplici, naturali, di curare i feriti sono diventati ancora più drammatici”. Il primo ospedale che hai realizzato? “E’ stato un piccolo ospedaletto che abbiamo messo su nel 1995 nel nord dell’Iraq, ai confi – ni con l’Iran”. E hai avuto diffi coltà? “No, era una piccola cosa, non era certo un grande centro. Poi a mano a mano siamo andati avanti e così abbiamo realizzato altri ospedali in Iraq, in Cambogia, in Afghanistan, in Sierra Leone… Quest’anno Emergency compie 15 anni e nessuno allora immaginava sarebbe diventata quello che è oggi”. Quanti sono adesso gli ospedali che avete? “Abbiamo una decina di centri tra ospedali e centri di riabilitazione. Poi abbiamo moltissime cliniche e posti di pronto soccorso…”. Una grossa organizzazione. “Grossa no, siamo sempre piccoli rispetto ad altre organizzazioni, ma abbastanza unica nel suo genere, cioè praticamente siamo gli unici che costruiscono e gestiscono ospedali in tutto il mondo, una cosa è inviare un medico ad aiutare per tre mesi, un altro è costruire e gestire un ospedale, devi coinvolgere molta gente e deve durare”. Tutta gente che non vuole essere considerata “missionaria”. E allora come ti consideri? “Uno che fa il suo mestiere in modo professionale, mi piace lavorare bene, non mi piace l’approssimazione. Tanta professionalità e tanta passione”. Uno dice, va bene, cose che si possono fare anche in Italia. “Certo. Se vai in un pronto soccorso italiano in genere trovi abbastanza medici, magari trovi anche quelli che fanno a gara per curare un paziente, anche per fare esperienza, se vai in un pronto soccorso africano ci sono pochi medici e un sacco di pazienti. E allora serve farlo in Italia ma a maggior ragione serve farlo dove i medici non ci sono”. Voi siete praticamente presenti in tutti i posti del mondo dove ci sono focolai di guerra, guerre vere e proprie o conseguenze di guerre appena sopite. Quindi hai una grande esperienza, una lettura sul campo dei perché? La maggior parte di queste guerre sembrano “guerre di religione”. Che rapporto c’è tra religione e guerra? “No, assolutamente no. Le guerre sono una piaga che dura da centinaia di anni anche se nella storia sono state sempre più violente e quelle di oggi sono le più violente che si siano mai viste. Ma le ragioni delle guerre hanno sempre tutt’altra origine, le guerre si fanno per rapinare qualcosa, poi si usa la religione come è stata usata anche nei secoli scorsi per giustifi care le guerre, per farle accettare, per tenere alto il morale, ma le ragioni vere sono altre”. Una delle ragioni ultime è stata quella dell’esportazione della democrazia… “La chiamerei la ragione, più che altro, dell’importazione del petrolio, quella dell’esportare la democrazia era una scusa, la ragione vera era un’altra… cosa vuol dire, per regalare la democrazia a un paese vengo lì e lo bombardo? Mi sembra un approccio assolutamente folle”. Tu lavori in zone in cui l’Islam è dominante. Siccome in occidente si sta guardando all’Islam come al futuro “invasore” e si coltiva la paura… Ma io credo che tutte queste cose siano fenomeni assolutamente italiani, molto provinciali. Chi vive spesso all’estero si rende conto che queste paure sono delle grandi stupidaggini che si inventano i nostri mezzi di informazione, i nostri politici. Le comunità islamiche convivono da molti anni in altri paesi europei e sono parte normale di una società. E’ soltanto qui che creiamo queste fobie stupide”. Da noi c’è chi ha usato anche il termine di “civiltà inferiore”. “Chiunque usi il termine ‘civiltà inferiore’ dimostra soltanto di essere un cretino”. Hai detto una volta che tu non sei un pacifista ma sei contro la guerra. Che differenza c’è? “La differenza è che io sono semplicemente contro la guerra mentre ho sentito molti che si definiscono pacifisti e poi sono a favore di questa o di quella guerra. Sono quei pacifisti a giorni alterni, di solito vanno bene le guerre che sono condotte dagli amici politici mentre quelle condotte dagli avversari non vanno bene. Questo tipo di pacifismo non è il mio”. Ma pacifismo non vuol dire avere necessariamente un carattere accomodante… “Vuol dire semplicemente non accettare la violenza, soprattutto quella di massa, come rapporto tra le persone”. E questa presa di posizione deriva da un tuo atteggiamento interiore? “No, nasce semplicemente da un atteggiamento di civiltà. Credo che la violenza sia uno dei sintomi più evidenti di inciviltà”. Hai mai subito un torto per cui sei stato anche solo tentato di reagire con violenza o l’hai fatto? “Fatto no ma tentato di reagire, boh, poi sai, non è che uno ha molte possibilità di tirare un cazzotto a qualcuno, la tentazione ovviamente ti viene, io a quello lì gli spaccherei la faccia, poi nella realtà ti ritrovi a… non farlo”. Non ti piace la definizione di “missionario” anche con l’aggiunta di laico. Ma nel mondo in cui vai a portare l’aiuto della tua organizzazione, ti incontri con i “missionari cattolici”, che spesso la loro parte la fanno. Come li giudichi? “Il giudizio è molto vario. Io ad esempio ho un buonissimo rapporto con i Comboniani che ritengo persone serie, lavoratori molto aperti mentalmente. Perlomeno sono quelli con cui ho avuto più incontri. Con altre realtà non ho avuto molti contatti”. Sei in giro per il mondo, ti chiedono di dove sei, va bene, sei italiano. Come vieni giudicato? Cosa dicono di noi? “In questo periodo preferirei avere un avvocato per rispondere a questa domanda”. Non c’è più la concezione degli Italiani brava gente… “No, chissà perché, è svanita. E non parlo degli ultimi due o tre anni, parlo degli ultimi 15-20 anni. Non è che siano scortesi. Certo quando si parla dell’Italia si deve essere gente di spirito per sopportare le battute”. Non dai fastidio quando arrivando in un paese straniero costruisci un ospedale dando un esempio di efficienza ed efficacia che indirettamente può essere vissuto come uno schiaffo morale alle inefficienze statali di quella nazione? “No, gli interessi che si toccano sono soprattutto interessi economici di chi sulla medicina specula e fa soldi. In tutti quei paesi la medicina è rigorosamente a pagamento. L’importante che sia d’accordo la popolazione e in molti casi anche le autorità sanitarie”. Se per una sorta di resurrezione tornasse al potere il centrosinistra in Italia e ti offrisse, per un altro miracolo soprannaturale e soprapolitico, la poltrona di Ministro riesumando quello della Sanità… “Non mi sembra un problema che me lo debba offrire la sinistra, non capisco perché la sinistra piuttosto che la destra…”. Lo dico perché mi sembra improbabile che te lo possa offrire Berlusconi… “Lo riterrei probabile almeno quanto quello che me lo offrano i suoi attuali oppositori”. Va bene, era solo un’ipotesi. Di che cosa avrebbe bisogno la sanità italiana? “Sulla sanità la penso in modo molto semplice, la sanità dev’essere di alto livello, pubblica e gratuita. Fine”. E non è così. “Mi sembra di no. Mi sembra che la nostra sanità pubblica sia contaminata pesantemente dalla logica del privato, tanto che gli Ospedali si chiamano Aziende Ospedaliere. Poi, accanto alla contaminazione del pubblico, c’è la “La sanità? Dev’essere di alto livello, pubblica e gratuita. Quella italiana è sempre più Azienda” “Paura dell’Islam? Tipico provincialismo italiano” “Gli immigrati? Non è che vengano sui barconi cantando di gioia” presenza di un privato di solito di qualità bassissima, che si camuffa bene, che si presenta col rossetto, le camere eleganti con le televisioni e i fi ori, però medicina poca; e infi ne una sanità che comincia a non essere più gratuita totalmente per tutti i cittadini, come dovrebbe essere. E questo è preoccupante”. Era una domanda in un certo senso “politica” in quanto sei stato accusato (che poi sostanzialmente non era neppure una vera accusa) di aver avuto un ruolo appunto politico a livello internazionale, con l’episodio del sequestro e della liberazione del giornalista Daniele Mastrogiacomo nel 2007. Insomma dicono che sei una sorta di ministero ombra che tratta direttamente con i Governi. “Intendiamoci su cosa vuol dire far politica. Se si intende la capacità di avere rapporti con i governi dei paesi dove andiamo a lavorare, è ovvio che dobbiamo averli, è un pezzo del nostro lavoro. Se per politica invece intendiamo entrare nell’arena di opposizione-governo, non solo sono totalmente fuori ma anche totalmente equidistante. Quanto all’episodio citato non so se si possa chiamare politica salvare la pelle a una persona. Poi sapevano benissimo che senza Emergency non ci sarebbe stata più alcuna possibilità…”. Emergency è italiana o internazionale? “Recentemente è stata stabilita anche negli Stati Uniti e in Inghilterra ma resta un’organizzazione italiana”. Tu hai lavorato anche per mettere al bando le mine antiuomo, costruite prevalentemente in Italia: “Si costruivano, adesso non è più consentito, l’Italia era uno dei grandi produttori mondiali. La campagna fu un grande movimento di civiltà e adesso dal 1997 sono al bando. E’ un’altra delle grandi belle cose che è riuscita a fare Emergency”. Una sorta di provocazione: voi andate nei posti dove ci sono i bisogni per dare risposte all’origine. Sembra quello che sostiene la Lega, “aiutiamoli a casa loro”. Anche se quella posizione nasce dalla paura dell’immigrazione. “La nostra paura dell’immigrazione la vedo come una stupidità. Il nostro comportamento di fronte al problema dell’immigrazione lo vedo come una forma di razzismo criminoso. Non ci sono mezzi termini per definirlo. Andare ad aiutare sul posto: io penso che le persone che vengono o tentano di venire qui, magari su un barcone che rischia o addirittura affonda, non stiano cantando di gioia mentre sono in navigazione. Penso che arrivino dei disperati e quelli che sopravvivono o che noi facciamo sopravvivere, perché a volte non ci preoccupiamo nemmeno di salvarli, sono proprio disperati. Penso che se queste persone potessero avere un lavoro, da mangiare a casa loro, sarebbero ben felici di stare a casa loro. Quindi una ragione in più per essere là”. Già, è la piccola differenza tra chi è là e chi si limita a dire che bisognerebbe esserci.

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