ENTRATICO – Dentro l’omicidio del professor Errico. L’intervista all’Avvocato che ha fatto assolvere i due indiani: “Quella traduzione sbagliata…”

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Assolto. Dalla Corte di Assise. Un po’ a sorpresa. Una sorpresa non per tutti. Perché l’Avvocato Michele Agazzi e il suo collega Antonio Abbiatello all’innocenza di Surinder Pal e di Mandip Singh ci avevano creduto da subito. Un lavoro certosino quello dei due avvocati che ha convinto il Giudice e ha portato all’assoluzione dei due indiani. Facciamo un passo indietro. Tre ottobre 2018, Cosimo Errico, 58 anni, professore del Natta di Bergamo viene ucciso con 23 coltellate nella sua fattoria didattica ‘Cascina dei fiori’ a Entratico. Surinder Pal 59 anni e Mandip Singh, 40, i due indiani, vivevano a Casazza e lavoravano come operai alla cascina che Enrico, di Bergamo, sposato e con un figlio, aveva trasformato in fattoria didattica e location per feste. La notte tra il 3 e il 4 ottobre il figlio di Enrico lo ha trovato accoltellato, nella cucina davanti al frigorifero, il corpo era in parte bruciato e attorno impronte di scarpe insanguinate. L’ipotesi corto circuito è stata scartata subito. Sul luogo del delitto non c’era il Dna di Pal ma l’impronta secondo il PM portava a lui, il riferimento era alle tracce delle scarpe Carrera con il logo sulla suola, numero di scarpa 42-43 che corrispondeva al piede di Pal, scarpe che però non sono mai state ritrovate. Le impronte insanguinate portavano al ripostiglio sul retro, dove l’assassino aveva preso la benzina, e poi al quadro elettrico vicino alla porta di uscita che era stato staccato e secondo l’accusa solo chi frequentava la cascina poteva conoscere così bene quel posto. E il giorno dopo il delitto i due indiani, sono stati prelevati all’alba e portati in caserma e in caserma hanno visto un paio di Carrera: “Le tue scarpe erano lì”, disse Pal intercettato e per l’accusa questo era un elemento significativo in quanto si stava preoccupando. Poi sul pullman mentre rientravano dall’interrogatorio l’intercettazione che sembrò decisiva: “L’hai ucciso, non dovevi ucciderlo” riferito a Enrico. “E invece – spiega l’Avvocato Agazzi – proprio questa intercettazione è servita a scardinare le certezze dell’accusa, è stato nominato un perito per tradurre esattamente quello che i due si sono detti sull’autobus, in India infatti ci sono mille dialetti e due lingue principali, i due indiani sono punjabi e parlano un dialetto particolare, quindi ci voleva una traduzione sicura e la traduzione che è stata fatta dal perito è diversa, i due avevano avuto un diverbio con un connazionale che non pagava l’affitto e si sono detti ‘Lo dovevi picchiare, lo hai picchiato?’ un concetto quindi completamente diverso”. E questa frase ha cominciato a sgretolare il castello di certezze. “Abbiamo analizzato il fascicolo in ogni suo aspetto – continua Agazzi – e abbiamo approfondito una serie di aspetti chiave, ci siamo accorti subito che qualcosa non tornava. Quindi siamo andati ad approfondire alcune anomalie”. E quali sono queste anomalie? “I tempi non tornavano. Questo signore per fare quello di cui lo accusavano avrebbe dovuto avere più tempo di quello che in realtà ha avuto, e in realtà prove dirette non ce ne sono, non c’erano nemmeno le scarpe, e la bicicletta con cui si muoveva non aveva tracce. Non c’erano nemmeno testimoni. I tempi poi non tornano, l’imputato avrebbe dovuto compiere l’omicidio in 12 minuti, cioè in un lasso di tempo di 12 minuti lui litiga e trova il tempo di sferrare 23 coltellate, prima ancora cercare l’arma, perché il litigio sarebbe avvenuto lì, non lasciare traccia, incontrare il suo coinquilino, che era accusato di favoreggiamento, convincerlo ad aiutarlo, mettersi d’accordo, anche perché l’accusato è stato stabilito che aveva il telefono spento dalla mattina, quindi non aveva nemmeno potuto avvisare il suo coinquilino, lo avrebbe incontrato, convinto ad aiutarlo e fatto sparire tutto e poi trovarsi a tavola. Tutto questo in 12 minuti e poi ci sono molti altri piccoli dettagli che non tornano. La Procura aveva dato una versione dove sembrava spacciato, e infatti è stato in carcere un anno e mezzo. Ricordo che mi aveva chiamato lui a marzo dell’anno scorso, pieno lockdown, ci siamo messi al lavoro e abbiamo risentito tutti, c’è sempre qualcosa che non torna e qualcosa che non quadra nelle dichiarazioni. E così è emersa l’incongruenza della conversazione in pullman dei due imputati che poi con la nuova traduzione ha assunto un significato diverso”…

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