ENDINE – Vincenzo, 5 anni dopo il Covid: “Da quando sono uscito dall’ospedale devo tenere l’ossigeno, soprattutto quando faccio i 30 scalini per entrare in casa mia”

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Era marzo, non stavo bene da un paio di giorni, avevo la febbre alta, facevo fatica a camminare e a muovere le mani e mi mancava il respiro”, inizia così il racconto di Vincenzo Figaroli, 80 anni tondi. Il Covid è una storia lontana cinque anni, ma il ricordo è sempre lì, fisso, non si cancella mai. È un pomeriggio piovoso di gennaio, Vincenzo e sua moglie Eugenia, che lui chiama affettuosamente Geni, mi accolgono nella loro casa di Rova, piccolo borgo sopra Endine. Vincenzo porta con sé uno zainetto nero, dentro c’è la sua bombola dell’ossigeno.

La corsa in ospedale

Il racconto prosegue, nitido: “Avevo chiesto a mio nipote di andare a comprarmi il gelato, mi sembrava l’unica cosa che riuscissi a mangiare. Avevo immaginato fosse il Covid, d’altronde i sintomi erano quelli e in tv non si parlava d’altro. Il fiato non arrivava e quella sera abbiamo deciso di chiamare l’ambulanza, ma per due volte ci hanno risposto che non riuscivano e così abbiamo aspettato fino a domenica notte”.

Eugenia riprende: “La febbre continuava a salire, ne aveva più di 39, e quando l’ho visto su quella poltrona quasi morto, ho preso di nuovo il telefono e ho chiamato, quella volta mi hanno detto che sarebbero arrivati”. E poi? “Gli hanno provato la febbre, era 40.5 e hanno deciso di portarlo via… le nostre scale sono strette e quindi è sceso da solo, non so nemmeno come abbia fatto, poi l’hanno messo sul lettino e l’hanno portato via. Non l’ho più visto”.

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