immigrazione

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    (p.b.) Tornano le invasioni barbariche sulla penisola ubertosa che ha avuto l’inavvertenza geologica di buttarsi in mare aperto, vera portaerei sull’ex mare nostrum di antenati arrivati a abitarla da ogni parte del mondo, creando miti che si rifanno ad altri miti, l’eroe troiano (Enea) che sbarca nella terra dei Latini, l’eroe acheo (Diomede) che arriva nella “paludi di Esperia” a medicare le sue paturnie. E poi greci (Magna Grecia), cartaginesi, saraceni, epiroti, celti, galli, goti, unni, alemanni, ostrogoti, visigoti, alani, egizi, vandali, longobardi, franchi… e infine, saltando tra i secoli, francesi, tedeschi, spagnoli e austriaci, insomma “Popoli avversi affratellati insieme” solo nella conquista, perché comunque alla fine gli abitatori occasionali che si illudevano di essere stanziali, venivano sottomessi e anche nella concorrenza degli invasori andava a finire che “l’un popolo e l’altro sul collo vi sta”.

    Gli invasori erano attratti dalla grande storia italica (non italiana, che è fin troppo recente). Che è stata storia di conquista. Passo indietro: c’è stato un tempo in cui eravamo noi gli “invasori” e la Repubblica e poi l’Impero romano dominavano il mondo conosciuto (quello del Mediterraneo) e non erano certo un modello di gestione nell’amministrazione delle terre conquistate, al punto che a Roma c’era la concorrenza spietata per spuntare il titolo di “Governatore” delle “Province” e bastava qualche anno per arricchirsi a spese dei popoli conquistati.

    I nuovi barbari non sono conquistatori, sono semplicemente dei fuggiaschi, dalle guerre e dalla miseria, arrivano su barconi traballanti, mettono in conto di rischiare la vita, sanno perfettamente che qui li metteranno in campi di concentramento chiamati eufemisticamente con altri nomi, li sbatteranno sui monti in edifici fatiscenti o finiranno in paesini sperduti dove l’albergatore mira a incassare non certo a spendere.

    Ma la paura dell’invasione da noi viene coltivata e ingigantita ad arte. Sembra che ci rubino tutto, l’anima, la fede, la casa, il lavoro e il corpo, nemmeno si tornasse al Graecia capta ferum victorem cepit, insomma che ci sia il pericolo che ci azzerino la nostra cultura e ci impongano la loro. Vale la pena ricordare che l’antica Grecia (conquistata da Roma) seppe imporre la sua cultura perché ne aveva una affinata nei secoli e i Romani al confronto era solo davvero dei “barbari”. Così come la cultura romana si impose poi ai popoli barbari che invasero la penisola, al punto che il latino diventò la lingua dal mediterraneo fino al vallo di Adriano in Gran Bretagna, adottata non per niente dalla Chiesa cristiana, diventata egemone anche politicamente dopo Costantino.

    Saltando a piè pari altra storia e altre storie come quella del colonialismo raffazzonato del “nuovo Impero sui colli di Roma” e i bastimenti dei nostri emigranti bistrattati in ogni dove (c’è un signore che mi ha raccontato come veniva trattato in Svizzera), arriviamo alla questione “profughi” che già come definizione significa gente che scappa e si rifugia in un posto che ritiene sicuro.

    E qui le reazioni sono un minestrone di frasi fatte. Quelli che i profughi ci rubano il lavoro e però non hanno un lavoro (e allora come fanno a rubarti quello che non hai?). Quelli che i profughi disturbano e poi li sbattono in cima alla montagna dove al massimo disturbano le vacche quando le porteremo in alpeggio. Quelli che non ci fidiamo più a tenere aperta la porta di casa che una volta era aperta anche di notte (e poi durante l’anno denunciano furti a raffica in paesi dove non c’è profugo che faccia ombra). Quelli che vengono su a migliaia perché hanno buontempo e credono di trovare il paradiso terrestre e annegano a centinaia ma sono testardi perché insistono a fare gite in barca col mare grosso e non capiscono perché non hanno un altro posto per fare il bagno. Quelli che hanno diseredato i bisnonni che erano emigrati sui bastimenti in cerca di fortuna senza una lira in tasca e venivano accusati di rubare il lavoro ed esportare la delinquenza in America. Quelli che hanno un’attività ma non trovano gli operai perché quando gli arrivano in fabbrica a fare domanda di assunzione i nostri ragazzi chiedono di avere liberi il sabato e la domenica perché devono andare in giro con gli amici. Quelli che non lavorano in fonderia perché fa troppo caldo. Quelli che non fanno i muratori perché la mamma non vuole che tornando a casa sporchino il divano. Quelli che hanno un diploma e aspettano stesi sul divano che qualcuno li chiami ma non danno il numero di cel a nessuno per non essere disturbati.

    Quelli che hanno il diploma e mica buttano via dieci (10!) anni di scuola superiore per lavorare al tornio. Quelli che la scuola non serve a niente e non l’hanno finita ma vorrebbero fare il concorso per impiegati di concetto. Quelli che lo Stato usa i nostri soldi per soccorrere quei miserabili e invece farebbe bene a diminuire le tasse e poi scoprono che quei soldi vanno nelle tasche di compaesani che ne approfittano e quindi a rigore restano in… Italia, sia pure cambiando di tasca. Quelli che non fanno la dichiarazione dei redditi per non sprecare la carta. Quelli che arrivano da noi solo i ladri e i delinquenti e poi al telegiornale scoprono che l’Italia è in cima alla classifica dei corrotti e che i ladri siamo noi. Quelli che basta col buonismo ma poi si arrabbiano quando i carabinieri li beccano in flagrante e vorrebbero un po’ di “buon” senso. Quelli che l’Europa sta a guardare e se la ride (che poi è vero che sta a guardare, ma almeno non arriva a ridere come quei nostri connazionali la notte del terremoto de L’Aquila). Quelli che se li tenga il Papa in Vaticano e poi vanno a fare la comunione convinti che Gesù in fondo non volesse dire quello che ha detto. Quelli che non sanno quello che Gesù ha detto ma sono convinti che non lo abbia detto. Quelli che bisognerebbe mitragliarli mentre sono ancora a casa loro, quelli che bisognerebbe aiutarli a casa loro, quelli che non ci credono che non hanno una casa loro. Quelli che non solo non sanno quello che si fanno, ma non sanno nemmeno quello che si dicono.

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