PALAZZI DI CIOCCOLATO

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    Attraverso nuda l’Italia, nuda di idee, nuda di pensieri, problemi, gente. Un motore caldo e benzina a sufficienza. L’attraverso e me la mangio di fretta come un gelato alla fragola. Nel parcheggio davanti a un bar un edificio giallo, con le pareti scrostate e le tapparelle quasi tutte abbassate, dentro, centinaia di anziani, è una Casa di Riposo. E’ luglio anche li dentro. Forse non lo sanno nemmeno. Anche loro andavano di fretta alla mia età. Anche loro vanno di fretta adesso. Verso qualcosa d’altro. Che non decidono più. Fin da quando sono arrivata qui in redazione, ormai tanti anni fa, mi hanno sempre colpito le case di riposo, prima non ci facevo caso, impegnata a ballarmi ogni secondo del mio tempo. Mi hanno sempre cosi tanto colpito che un mucchio di volte mi sono sentita Don Chisciotte contro i mulini a vento. Ho incontrato tanti nonni, non ricordo i loro nomi, non di tutti, ma di tutti ricordo lo sguardo, grande, perso, impaurito, triste, implorante. Perché? E’ contro la Costituzione togliere la libertà alle persone. Se una persona in un posto non vuole andare non la si deve mandare e se non si può accudirla si trovano altre soluzioni. Ci si mobilita per tutto, ho visto manifestazioni per questioni di cui non fregava niente a nessuno. Non ho visto alzare un dito, una voce, un grido per migliaia di anziani chiusi in case di riposo in questo anno e mezzo di covid senza poter vedere nessuno. Hanno aperto indagini e inchieste su morti in ospedale per ipotetiche negligenze, nelle case di riposo ci sono state migliaia di morti e le inchieste sono finite tutte archiviate. L’età fa la differenza ma la coscienza non fa la differenza, quella ce la teniamo e non si lava nemmeno a 100 all’ora in moto con il vento contro mentre andiamo al mare…

    Arrivati alla salita di ghiaia ed erba appena tagliata che portava dritti alla collina dell’infinito, che la chiamavamo cosi, spingevamo le nostro bici con la mano, che non ce la facevamo più. Attraversavamo il sole e le cicale, mentre i grilli facevano il solletico al vento con il loro canto strano. Le nostre braccia si sfioravano nella salita, le magliette gonfiate e sollevate dal vento mostravano pezzi di corpo pronto a sbocciare. Ogni tanto. Non sempre. Quell’ogni tanto che non vedevamo l’ora. A tredici anni iniziavamo a scoprire che l’amore iniziava a regalarci trasformazioni terrene, cuori e copri coinvolgere. La collina dell’infinito divenne velocemente un segreto da rivelare soltanto alle nostre bocche. Quella collina che da chi guarda dalla finestra di quell’edificio riporta ricordi che portano ancora quel nome, ‘infinito’, ed è tutta lì la speranza, un fine corsa che sa di un inizio corsa da un’altra parte, sui piani alti dei palazzi di cioccolato,fragili di cuore e resistenti come il metallo di un fare,anche quando dentro piove.

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