Ossa cave, cuore di tamburo, una nube gonfia a dismisura, riconduco ogni cosa a me. Vengo da me in ogni cosa. Cerco spiragli e spariglio ritagli. Non confondere peso con profondità. Profondità confusa. E fusa senza avere un gatto. Sento freddo quando vedo folle intorno a patiboli, banalità crudeli di chi non sa ridere di se stesso.
Sbuffo come un vulcano e mi abbuffo di albe a caso. L’Oceano Atlantico sul mappamondo mi faceva sentire a casa. Senza catene. Piena di blu nei muscoli. Capaci del perdono di essere perdonati. Zavorre vischiose, i rancori.
Cerco alianti d’anime e anime che volino anche senza alianti. Abito qui per una manciata di anni e poi per troppi anni trovo casa in un camposanto e allora scelgo la vita senza anni in un campo senza santi.
Un bordello di pensieri colorati che portano alla luce foreste nuove, con rami che si spaccano e fioriscono canti nel buio. Seduta a un tavolo di un bar che non esiste, riservato a clienti blu, non sento la durata delle pietanze, ma assorbo profumi che non conosco e passeggio dentro di me in una strada nuova.
Quel senso del ripartite che solo gennaio ci dona.