Ho preso una storta al cuore. Avrei bisogno di nottate avide di sogni. L’anima intanto dorme, incurante di me. Guardo il sole all’alba, lui viene fuori dalla notte, dal buio, così, un pezzettino per volta, e poi tutto insieme riparte.
Entro dalla porta con la timidezza di quando andavo all’asilo. Molte porte non le voglio più aprire. Mi nascondo in luoghi inaspettati da me: una vecchia macchinina colorata di rosa che ho sul comodino, una lettera consumata da occhi grandi.
Aprile è il mio disagio di meraviglia e la meraviglia del mio disagio. Tu sei risorto. Io non so nemmeno se sono nata davvero. Però quelle grandi croci che ogni anno appaiono su colline e dentro chiese, in manifestazioni ed eventi, mi fanno sempre guscio.
Come se noi qui sulla terra procedessimo al buio, fra le mani troppi bicchieri di cristallo, e nel cuore la paura di fare a pezzi ciò che di fragile e prezioso ci è stato affidato.
Si crede che quando una cosa finisce, un’altra ricomincia immediatamente, ma non è così, tra le due cose c’è lo scompiglio. Ed è lì che siamo da migliaia di anni.
Tutti nasciamo felici. Poi ci sporchiamo la vita. Ci sporchiamo di vita. Sto cercando un bagno di cielo per tornare come ero prima. E ogni anno quando si avvicina Pasqua, sembra tutto più facile. Intanto mi azzardo ad amare il suono della luce in un’ora che sembra morta, mi incanto davanti al colore del tempo in un muro abbandonato.
Vorrei chiederTi qualcosa. Ma qui si sanno cose che non servono.