benedetta gente nuovo

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    (p.b.) L’Unione Europea sta per frantumarsi. E dipende dal voto al referendum degli abitanti della “perfida Albione”, che già se n’è stata alla finestra in tutti questi decenni, partecipando ma tenendosi le mani libere di farsi gli affari propri. Che quindi il sogno dei grandi statisti e intellettuali del secolo scorso svanisca per mano di chi l’ha di fatto osteggiata fin dall’inizio, è paradossale. L’inizio della fine è stato il gran passo, l’unione monetaria. Siamo finiti in mano al… mercato e quello ha dettato le leggi, stoppando il passo verso una vera Unione, con un Parlamento vero, un vero Governo non designato dai Governi, una politica estera unitaria. I nazionalismi sono risorti a nuova vita. Che poi il No all’Unione da parte degli inglesi porti anche alla dissoluzione della Gran Bretagna, con la separazione della Scozia, è nemesi, verrebbe da dire che gli starebbe bene. Se non fosse che darebbe la stura in ricaduta a separazioni ulteriori negli Stati-Nazione, che se la sarebbero cercata, perché quando si comincia a dividersi, ognuno nel suo piccolo si sente legittimato a mettersi in proprio, si arriva a spaccare il capello in quattro. E si resta pelati.

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    “La letteratura è un’immortalità retroattiva”.E’ un aforisma di Umberto Eco. Gli intellettuali sono una casta dai confini incerti, in fondo c’è sempre qualcuno che ne sa più di te e non si sa quale sia il punto esatto in cui uno esce dal marasma di conoscenze raffazzonate per entrare a pieno titolo nel pantheon dell’intellighentia. Che se un tempo collocava l’individuo nell’élite della considerazione e del prestigio almeno del proprio paese, adesso subisce la legge del contrappasso, viene o ignorata o disprezzata, carmina non dant panem, con la poesia non si campa, praticamente si è dei falliti. A meno che tu produca il best seller che vende milioni di copie, come appunto “Il nome della rosa”. Che tutti conoscono per il film, più che per il libro (che pure ha venduto 50 milioni di copie). Eco, come tutti gli uomini, che ne siano o meno consapevoli, puntava all’immortalità, come da aforisma citato. Aveva avuto un confronto stimolante con il card. Martini. “A cosa crede chi non crede?”, era il titolo del libretto. “C’è una nozione di speranza (e di responsabilità nostra nei confronti del domani) che possa essere comune a credenti e non credenti?”. La risposta è: “C’è, deve esistere in qualche modo, in pratica, perché si vedono credenti e non credenti vivere il presente dandogli senso e impegnandosi con responsabilità”. In questo senso le virtù morali di un non credente addirittura hanno più valore etico di quelle di un credente, finalizzate a un premio nell’aldilà. Ma che anche il non credente punti all’immortalità è concetto banale, il credere in un’altra vita o nella prosecuzione della propria vita con altri mezzi (i figli, la fama) è la consolazione degli abitanti del pianeta da che hanno pensato, superando l’istinto come genesi e guida delle proprie azioni e dei propri sentimenti. E chi seguendo la ragion pura non ce la fa proprio a credere che ci sia un aldilà della propria vita terrena, punta alla memoria, a lasciare traccia di se stesso nella storia, per non precipitare nella disperazione dell’inutilità, dell’aver vissuto per niente. Ma c’è una storia con la S maiuscola e piccole storie che si perdevano sui vetri delle credenze delle cucine odorose o sulle lapidi dei cimiteri. Ma le credenze fanno posto alle cucine moderne, i cimiteri subiscono l’insulto della cancellazione sempre più ravvicinata delle esumazioni, via via, ne arrivano altri, non c’è più posto. E già i nipoti faticano a conservare memoria dei nonni, figurarsi dei bisnonni, vissuti al tempo in cui non c’era il computer, non c’era nemmeno la televisione e si faticava a conoscere la gente del paese vicino. I “non ti dimenticheremo mai” finiscono dimenticati dopo pochi anni. Gli intellettuali, nelle loro gradazioni di fama, puntano alla memoria scritta, come gli artisti alla memoria visiva o sonora. I loro nomi restano “eterni” nelle loro opere. Exegi monumentum aere perennius, scrive Orazio, di cui gli studenti (almeno quelli del liceo classico) conoscono dopo millenni ancora il nome, dovendo tradurre le sue opere. Ma pochi superano i confini del “proprio mondo”. Anni fa chiedevo ai miei alunni come mai ci fosse una Via Pascoli al paese e la risposta è stata sconsolante, il poeta era precipitato nella smemoratezza. Chi ha progettato il Partenone? Chi ha fatto costruire il Colosseo? Monumenta aere perennia (che sfidano il tempo) in quanto tali ma perfino la fama di Fidia è sfumata. E anche la letteratura non garantisce l’eternità, neppure retroattiva, con il dilagare dell’analfabetismo di ritorno. Peccato. Bisogna rassegnarci a vivere “come d’autunno sugli alberi le foglie”. 

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