benedetta gente

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    Siamo alla vigilia di un settembre anomalo, alla festa del paese esplode la voglia di stare allegri, trovare ragioni di (nuova) vita, al diavolo gli scenari apocalittici che ci vengono propinati, via via, godiamoci quel che resta della bella estate. Qualcuno parla di politica in fondo alla tavolata, prima sottovoce ma poi gli animi si scaldano, sarà il vino, sarà la birra, adesso quei due alzano la voce e allora c’è uno che per troncare la discussione intona una canzone di quelle vecchie che conoscono solo i vecchi, che già i giovani parlano d’altro e fanno un sorriso di circostanza per quei boomer che siamo a nostra insaputa, tagliati fuori. Loro hanno l’aria di sopportarci, ma poi sanno che anche noi vecchi andremo a votare per preparargli un futuro che vorrebbero costruirsi per conto loro e invece finirà che si ritroveranno un futuro vecchio, costruito su macerie di fedi e passioni datate e fuori tempo, ma che sopravvivono caparbiamente per una sorta di accanimento terapeutico, come il mazzolin di fuori che vien dalla montagna che stanno cantando con gli occhi umidi di nostalgia quelli che sono i loro padri e nonni alla grande tavolata della festa del paese, con le campane che suonano a concerto per richiamare quel che resta dell’antica massa di fedeli che credeva in un futuro certo che si è sfrangiato prima in semplice speranza e adesso in agnostica rassegnazione a sbarcare il lunario, con orizzonti improvvisamente annebbiati.

    Se “settembre è il mese del ripensamento sugli anni e sull’età”, adesso pesano gli anni e l’età, ci si misura nella gara anagrafica (e io allora che ne ho 83 due più di te?), orgogliosi di essere sopravvissuti anche quest’anno che non si sa mai, si vive alla giornata e poi c’è quel vecchio che stava giù nell’orto e all’improvviso ha detto al figlio, non mi sento bene, vado a buttarmi sul letto, se non mi sveglio più pace, se mi sveglio ceniamo insieme. E se n’è andato davvero, da un mondo che non è più a misura di vecchi che c’è stato un tempo che stavano a capotavola, il rispetto di chi aveva vissuto quello che hanno chiamato il “secolo breve”, le guerre, le fatiche, la fame.

    Adesso vengono sbandierate nuove fedi (politiche) che sanno di posticcio ma proprio per questo sono proclamate con più veemenza, tutti ad aspettare il nuovo salvatore della patria che poi della patria non frega niente a nessuno, il “salvatore” mica deve davvero occuparsi dell’umanità, risolva i miei di problemi che tanto basta e lo voto per questo, al diavolo gli “altri”.

    E sulla scena passano e ripassano quelli che ti vogliono vendere l’elisir della felicità. Venghino signori, venghino… E noi lì ad ascoltarli, caso mai questa sia la volta buona. Ma dai, c’è ancora qualche giorno, al paese suonano le campane e stasera c’è la sagra. E si balla perfino. Ballo liscio.

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