benedetta gente

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    Siamo di nuovo zona rossa. Dopo il lungo tira e molla, discussioni, chiudi tu, chiudo io, decidi tu, decido io, si è arrivati a fare quello che quasi tutti gli Stati europei avevano già fatto. E siamo al solito in ritardo per i veti, le paure, i calcoli politici ed elettorali. Non cambieremo mai se non cambiamo noi stessi. E allora riecheggia per l’ennesima volta la sferzante frase di Tito Livio: “Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur”(mentre a Roma stavano a discutere e litigare sul che fare, la città di Sagunto veniva espugnata dal generale cartaginese Annibale). In questo caso Sagunto è il contagio. Noi stavamo ancora ad aspettare che decidessero a che ora era il nuovo coprifuoco con la certezza della chiusura dei… musei. I musei? E la metropolitana di Milano che è l’enclave di ogni possibile contagio che continuava a scorrere portando migliaia di persone mascherate che comunque non possono evitare di respirare? Ma già, Milano, come Roma, va al voto in primavera, non bisognava scontentare chi va al lavoro, non colpire il poco turismo che ancora arrivava (che poi ci vuole pelo sullo stomaco e sprezzo del pericolo nell’andare a Milano per diporto in piena pandemia). E anche in Regione Fontana e & non vorrebbero esporsi più di tanto, all’improvviso le decisioni toccano ad altri, al Governo centrale con Conte che è in calo nei sondaggi di gradimento e non vorrebbe assumersi tutta la responsabilità delle nuove chiusure e scarica una parte delle responsabilità sulle… autonomie della serie “fate zone arancione all’interno delle zone rosse” che Arlecchino servitore di due padroni è sempre stato uno di noi. Il cerino sta bruciando e se lo passano da uno all’altro.

    Intanto in America, con centinaia di migliaia di morti e milioni di contagiati, hanno votato per il nuovo Presidente e le borse crollano per eventuali riconteggi e ricorsi “alla Corte Suprema” (come aveva minacciato Trump) che bloccherebbero l’economia e intanto il contagio, come nella poesia di Trilussa, “livella” le ambizioni, le furbate, le illusioni di onnipotenza e le attese messianiche e populistiche di eternità. Il “panem et circenses” funziona sempre. E constatare che gli Stati “ricchi” americani hanno votato a sinistra (si fa per dire, hanno votato Biden) e quelli “poveri” a destra (per Trump) ci fa dubitare di non essere “lateralizzati”, come succedeva a scuola quando ti dicevano di alzare il braccio destro e c’era quello che alzava il sinistro, nella confusione delle menti tra destra e sinistra, che poi più tardi nell’incertezza di “cos’è la destra, cos’è la sinistra” ci si rifugiava nella poesia di Brecht “Lode del dubbio” e ci si poteva anche consolare con il pensiero forte (la banalità) che a questo mondo di sicuro c’è poco e quel poco non è nemmeno di conforto, essendo la fine dei nostri giorni.

    I mesti, sfilacciati, solitari cortei (un ossimoro) del 4 novembre hanno confermato la cancellazione senza ripensamenti del passato, amaro o dolce che sia, si è azzerato tutto, figurarsi quell’Annibale Barca che conquistò Sagunto mentre a Roma stavano a litigare sul che fare, figurarsi i precedenti di quel “panem et circenses” che non sappiamo più nemmeno tradurre, figuriamoci se si ripresentasse un nuovo Antonio Ferrer (vedi Promessi Sposi al tempo della carestia) che era riuscito a scaricare la colpa della mancanza di pane sul povero “vicario di provvisione” che il popolo voleva linciare, quando la decisione populistica del pane a “prezzo politico” era sua e non solo era impraticabile (per mancanza della materia prima) ma aveva peggiorato la situazione con la chiusura dei forni.

    “Via via, vieni via di qui, niente più ti lega a questi luoghi (…) neanche questo tempo grigio (…) non perderti per niente al mondo (…) fuori piove un mondo freddo” (Paolo Conte. Che non è il Conte a capo del Governo e, fortuna sua, nemmeno quello a capo dell’Inter).

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