Mentre nel mondo continuano i fuochi di guerre, rivolte, scontri istituzionali importanti (nell’America di Trump), nel nostro piccolo mondo provinciale sentire politici che esultano per il fallimento dei referendum che non hanno raggiunto il quorum, è una indiretta conferma che la nostra democrazia è malata. Se uno ti fa una domanda, almeno per cortesia devi rispondere, magari ammettendo e scusandoti perché non sai rispondere, ti hanno preso alla sprovvista. A maggior ragione se uno ti chiede un parere: è diverso rispetto a una semplice domanda, qui vogliono sentire come la pensi su un determinato argomento e il tuo parere, a quanto pare, conta, insomma non è una discussione da bar. Anche qui puoi ammettere che non sai cosa dire, non conosci la materia. O addirittura non capisci la ragione del contendere, che nel caso dei referendum è stato il fenomeno più diffuso. Quello che stava scritto sulle cinque schede era illeggibile, bisognava quindi informarsi cosa cambiava barrando il, Sì o il No. Troppa fatica, non abbiamo tempo da perdere, figurarsi.
Il referendum è un piccolo, marginale residuo di democrazia diretta, sia pure limitata alla possibilità di abrogare, cancellare una legge, anche solo in parte. La democrazia diretta, assembleare, ha funzionato male fin dall’inizio: sono due assemblee popolari, manipolate ad arte, interpellate direttamente, che condannano a morte Socrate e Gesù. E lo stesso meccanismo dell’ostracismo per cui si poteva mandare in esilio per dieci anni un personaggio ritenuto troppo ingombrante scrivendo il suo nome su un coccio, nella storia è stato usato per interesse, sempre manipolando le folle.
E le folle oggi sono manipolate con mezzi molto più sofisticati ma con metodi che rasentano la barbarie, basta seguire un qualsiasi dibattito televisivo dove tutti si urlano addosso.
Il giovane universitario racconta che pensa di andare in Francia, come suo fratello. Ha la cittadinanza italiana ma, precisa “mio fratello maggiore la cittadinanza in Francia l’ha ottenuta in due anni. È ingegnere e anch’io faccio ingegneria”. Ha la mamma di origini indonesiane, lo fanno sentire forestiero in quella che considera casa sua da sempre, dalla nascita.
In Parlamento ci sono proposte di legge a iosa, tra quelle che sono per lo jus sanguinis, lo jus scholae, lo jus soli, lo jus Italiae (la differenza con lo jus scholae, se ho capito bene, starebbe sull’inizio, se nei dieci anni scolastici va contato l’asilo). Lo dicono in latino, tanto per rivendicare l’esclusiva della democrazia rappresentativa. Non sanno il latino nemmeno loro ma glielo hanno suggerito, fa molto cult e mortifica gli interlocutori. Ma non si muoverà un alito di discussione in Parlamento tra gli eletti (che poi sono i “nominati” dai partiti, la scelta rappresentativa è già stata annacquata, il “demos” può scegliere solo tra gli scelti).
Adesso la palla è tornata a loro, ma “non c’è campo”, è un pallone sgonfiato, prevale la paura del forestiero, al netto di quelli che pensano alla “razza italiana” che ovviamente non esiste, basterebbe aprire un libro di storia, ma poi bisogna anche saperlo leggere, di qui sono passati tutti, alla rinfusa Ostrogoti, Galli, Arabi, Greci, Alemanni, Normanni, Unni, Longobardi, Franchi, Spagnoli, Goti e Visigoti… “Dividono i servi, dividono gli armenti” del “volgo disperso” che si illude di avere un pedigree identitario, dimenticando che perfino Roma dipenderebbe, nelle sue origini, secondo Virgilio, da un eroe troiano, tra l’altro sconfitto, Enea.
La battuta che girava nei giorni scorsi era un invito a votare Sì sulla scheda gialla “che almeno possa arrivare qualcuno che salti l’uomo”. Il riferimento era alle sconfortanti esibizioni della Nazionale di calcio. Tutti (quorum ego) adesso per il tennis, per Sinner e Musetti. Peccato per la sconfitta a Parigi dove il pubblico francese tifava per lo spagnolo Alcaraz. E allora, dai, vai con Paolo Conte: “Oh, quanta strada nei miei sandali /quanta ne avrà fatta Bartali / quel naso triste come una salita / quegli occhi allegri da italiano in gita / e i francesi ci rispettano / che le balle ancor gli girano (…) Tra i francesi che s’incazzano / e i giornali che svolazzano…”.
E la democrazia malata? Come diceva quel tale quando voleva cambiare argomento, “ne terremo parlato”. Magari un altro giorno.