«E Cesare tirò / la sua moneta in aria, /venne croce e disse sì, / e si riempì di gloria» (Vecchioni).
Come diceva una canzone degli anni ruggenti: “Spesso promossa in Latino, sempre bocciata in Storia, l’Italia è ripetente”. Smemorati? Semplicemente ignoranti, se il passato prossimo è un tempo già imbarazzante, quello remoto è del tutto sconosciuto.
Il viaggio nella storia di Atene, dove mezzo millennio prima di Cristo avevano già sperimentato la monarchia, l’oligarchia, l’aristocrazia e la democrazia, con qualche rigurgito populista, praticamente tutti i modi dello stare insieme, ti fa allargare le braccia sul presente, che ripete gli stessi errori, e disperare del futuro. La stessa contrapposizione tra Sparta e Atene andrebbe raccontata a monito delle genti: della potente Sparta non è rimasto niente, di Atene rimangono non solo l’Acropoli e i monumenti ma i fondamentali di filosofia, scultura, pittura, epica, musica, teatro… Chi ha vinto, alla lunga? Il rapporto di forza vince la battaglia, ma la cultura vince la guerra. “Graecia capta ferum victorem cepit”. Roma aveva una lingua agreste, mancavano i vocaboli concettuali, ecco perché adottò quelli greci che ancora riecheggiano nell’italiano.
Cresce, anche se di poco, la partecipazione al voto. Una signora mi chiede perché dovrebbe andare a votare, non ne ha più voglia. Per scegliere il meno peggio, le dico e mi rendo conto del pessimismo che me lo fa dire. Lei dice, meglio stare a casa, allora. Beh, rispondo, allora avrà a comandare il peggio, perché quelli del peggio vanno a votare, eccome.
Poi, nella patria della democrazia mi vengono tentazioni elitarie e selettive, fastidi di dover stare a sentire gente che non sa niente ma quel niente lo scrive a grandi lettere sui social e perfino sui muri. Non che io sappia molto, ma mi rendo conto di sapere poco. Nel negozietto del quartiere storico di Atene vendono magliette. Su una c’è una frase di Socrate: “So di non sapere”. Dovrebbe essere un estratto dell’Apologia di Socrate, riportata da Platone (Socrate, come del resto Gesù, non ha scritto una riga) in cui avrebbe detto al popolo riunito nell’Agorà per giudicarlo: “Sicuramente sono più sapiente io di quest’uomo; anche se forse nessuno dei due sa proprio un bel nulla, ma la differenza fra noi è che lui crede di essere sapiente anche se non sa proprio un bel niente, io, almeno, so di non sapere”.
C’è stato un tempo in cui un cittadino italiano, per avere il diritto di voto, doveva passare in municipio e dimostrare di saper leggere e scrivere. Se per avere la patente di guida devi passare un esame piuttosto severo, per scegliere chi ti guida dovresti almeno conoscere i fondamentali della democrazia, “sapere cosa si va a ricevere” diceva un precetto ecclesiastico per la Comunione. Sapere perché e per chi si va a votare mi sembra già una condizione essenziale per avere diritto al voto. La democrazia (potere del popolo) per non essere stravolta da chi poi la usa per stravolgerla o addirittura eliminarla, ha bisogno di conoscenza dei fondamentali dello stare insieme, non una somma di individui, ma una collettività (non oso più sprecare la parola comunità) in cui i bisogni sono piramidali, prima soddisfare quelli che riguardano tutta o gran parte del paese e poi scendere di gradino in gradino a quelli più ristretti. Oggi i sindaci vengono tirati per la giacca per bisogni individuali e alcuni cozzano o sono addirittura incompatibili con i bisogni collettivi.
Poi sono tornato da Atene, via via menare e scaricare Socrate e la sua maieutica. «Pani e pesci, pesci e pani, / più son piccoli e più alzano le mani; / non ci casco questa volta, / dite all’ultimo di chiudere la porta».