CLUSONE – Marco, cinque anni dopo il Covid: “41 di saturazione, Piario, il coma farmacologico, Palermo, il delirio, la paura, le allucinazione e per tornare a camminare ci ho messo sei mesi…”

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Luca Mariani

«Prima era una cosa molto presente e focalizzata. Oggi, dopo cinque anni, l’unica cosa che è ancora molto viva è la pienezza della morte, a cui non ero preparatoMarco Maffeis ha la voce sicura e robusta. Le parole sono misurate, chiare e precise. È seduto comodo sulla sua sedia nera, ergonomica con le rotelle, la gamba sinistra accavallata sulla destra e il dorso elegantemente reclinato all’indietro. Attorno a lui, poster, figurine e un computer al centro della scrivania. Adesso è nel suo studio in via Bergamo a Clusone. Ma cinque anni fa era in ospedale, in terapia intensiva perché il Coronavirus lo aveva colpito: «Non ero preparato a vedere così tanti morti attorno a me. Eppure stare a contatto con questa malattia, con questo isolamento, cresceva in me la sensazione netta che la morte ci è amica. Nelle persone c’era proprio una forte sofferenza emotiva oltre che fisica, perciò quando qualcuno moriva, nel senso di vuoto, si percepiva una sorta di calma. Questo si capisce in maniera chiara nel docufilm ‘Le mura di Bergamo’ che racconta l’esperienza del covid. Ci sono le interviste alle persone anziane che sono guarite e uno di loro dice: “io adesso sono spaventato. Ho fatto tantissima fatica per preparami alla morte, ero pronto, invece adesso sono guarito e dovrò attraversare questa sofferenza un’altra volta.”»

L’incontro con il Covid per Marco avviene già a fine febbraio: «Mi sono ammalato il 26. Fino a quel giorno sono stato lucido. Ero preoccupato, non l’ho mai sottovalutato.» Però già dal giorno dopo le sue condizioni peggiorano. Il problema è che gli ospedali della zona sono già in emergenza. L’allora sessantunenne resta a casa, ma di quei giorni nella memoria c’è poco o nulla. Ormai è incosciente. I polmoni sono in grave difficoltà e il 9 marzo viene ricoverato a Piario: «Mi hanno detto che quando mi hanno portato via avevo 41 di saturazione. Del periodo qui a Groppino non ricordo quasi niente. Mi sembra di ricordare una frase che mi è stata detta forse dal primario: “non mollare!” Ma è una percezione, non un ricordo netto.»

Sono i giorni tragici del Covid che viene riconosciuto pandemia a livello globale e sulle rive del fiume Serio sembra incontenibile. Nelle strutture lombarde i pazienti da curare sono così tanti che altri ospedali in Italia si offrono di accoglierli e curarli. Così il 13 marzo Marco è trasferito all’ospedale Civico di Palermo. «Sono stato in coma farmacologico per più di un mese. Di questo periodo so che per far smaltire l’acqua dei polmoni mi giravano prono. Lì a Palermo eravamo in due, oltre a quattro pazienti non covid, c’era tutto il tempo per farlo. Qui non c’era proprio il tempo.» I primi ricordi che affiorano nella mente di Marco sono databili dal 15 aprile. Però anche questo momento del risveglio non è semplice: «Ho fatto una settimana di delirio. Avevo allucinazioni continue, quasi al livello della pazzia. È una sensazione bruttissima. Si è lucidi a momenti e si hanno continue visioni. Erano di una violenza molto forte.»

Mentre a fatica Marco torna cosciente scopre di essere in Sicilia, a curarsi per il Covid, così inizia a capire la gravità e il dramma della pandemia. Questo gli è ancora più evidente due settimane più tardi quando viene trasferito all’ospedale Luigi Sacco di Milano.  

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