ARDESIO – LA STORIA – Flaminio, l’eremita che incanta l’Italia: “Non mi interessa la gente, mi fa perdere solo tempo. Ho lasciato casa con 100 lire”

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“Gli amici li vedo volentieri, ma tutta questa gente che arriva solo per curiosità mi fa solo perdere tempo e io di tempo da perdere non ne ho. E’ una cosa che bisognerebbe insegnare ai ragazzi: non perdere tempo, lavorare, pensare  a quanto servirà in futuro, come la legna per l’inverno, tanto per fare un esempio”.

In queste ultime settimane, Flaminio Baretti  ha contato una novantina di persone venute a trovarlo anche da molto lontano: da Roma, da Pisa, da Firenze, dal Friuli, oltre che dai più vicini lodigiano e bresciano;  ma sembra del tutto indifferente alle lusinghe della celebrità, che  in questi ultimi tempi si è diffusa a dismisura: di lui hanno parlato giornali,  video e post che hanno avuto numeri altissimi di visualizzazioni, soprattutto da quando è stato immortalato dal docu-film ‘Zenerù’ di Andrea Grasselli, opera pluripremiata ed apprezzata dalla critica, in cui il regista racconta “la relazione poetica tra l’antico rituale dello Zenerù e la vita dell’eremita Flaminio”:

“Mah, relazione poetica…Poetica fino a un certo punto perché da tribolare ce n’è sempre. Io il film non l’ho nemmeno visto tutto, solo il finale con gli uomini che scendevano di notte da Pezzolo con le fiaccole per bruciare lo Zenerù, che poi la tradizione non è precisamente così. Mi dici che nel film sembro un fantasma e mi chiedi perché non parlo mai mentre di solito non mi mancano le parole? Veramente pensavo che le immagini sarebbero state corredate dai sottotitoli, comunque  ho fatto quello che mi diceva il regista, si vede che lui il film ce l’aveva in testa così…”

Nel pomeriggio di maggio i prati sono uno splendore e l’erba ormai alta dice che tra poco sarà tempo di fienagione. Flaminio – classe 1948 – guarda con un po’ di apprensione i ripidi versanti da sfalciare: ora l’età si fa sentire anche per lui, qui le falciatrici meccaniche non si possono usare a causa delle pendenze, e pare rasserenarsi solo quando  l’amico Antonio lo avvisa del fatto che verrà dal lago un giovane bergamino intenzionato ad aiutarlo. E pensare che avrebbe potuto campare benissimo  se lui, figlio unico, avesse continuato l’attività di famiglia, quella del fotografo, nel negozio, il ‘Bazar’, che suo padre aveva in Ardesio:

“Ci ho lavorato fino a 23 anni, poi non mi andava più, mi sono messo al seguito di alcuni pastori di Parre, andandomene da casa con 100 lire in tasca e nient’altro. Anni abbastanza avventurosi, non salivamo in alpeggio, c’era abbastanza pascolo qui intorno, mangiavamo nelle osterie, dormivamo per terra, è da allora che non riesco più a dormire in un letto vero…Beh, si beveva anche un pò e una volta rubammo una gallina per mangiarcela tra noi…Però dopo un po’  passai alle dipendenze di  alcuni pastori più seri, lo Sperandio Imberti e il Bortolo ‘Ghisì’, che mi assunse dopo aver constatato che con poche occhiate avevo contato con precisione il numero delle sue pecore. A loro riuscìi anche a salvare un agnello che era rimasto indietro rispetto al gregge e che ormai davano per perso in una zona particolarmente impervia del Barbellino,  me ne sono rimasti sempre riconoscenti. Comunque una vita poco ‘normale’ durata sette anni, finché mio padre, pensando che ormai avessi bisogno di abbandonare quella vita vagabonda, mi comprò la metà della cascina in cui vivo. Ci pensai per un altro anno, finché  mi decisi. Mi costruii gabbie e pollaio  per allevare  galline e conigli, poi  comprai anche alcune vacche che tenni per quasi una trentina d’anni. Ora allevo solo pecore,  quando ammazzo quelle vecchie ne faccio carne salata, la lana la filo e mi confeziono i vestiti: la lana non è come gli altri tessuti, va bene sia per l’inverno che per l’estate, è un ottimo isolante sia per il freddo che per il caldo”…

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