di Giampiero Valoti
Lo chiamavano Basèla perché era nato, nel 1901, alla Basella di Urgnano. La sua famiglia si era trasferita a Nembro in cerca di lavoro, come tante dalla Bassa bergamasca: nel fiorente paese della valle Seriana c’erano le fabbriche, c’era la filatura di cotone Crespi che si stava espandendo e dava occupazione a tutti: il direttore prima di assumere una nuova operaia – perché la manodopera era soprattutto femminile – faceva un solo rapido controllo; bastava avere tutte… le dita delle mani. Presso la manifattura di Benigno Crespi, che era sorta nell’ultimo quarto del 1800 e già occupava quasi un migliaio di operaie e di operai, trovarono lavoro suo fratello Lorenzo, per qualche tempo poi farà il muratore e sua sorella Lucia come aspatrice; un altro fratello era morto nella Prima guerra mondiale.
Lui, Pietro Azzola, o Piero come lo chiamavano tutti; invece, prestò la sua opera presso una delle due industrie produttrici di calce del paese, entrambe sorte da poco e in piena espansione, la ditta Frana – l’altra, dirimpetto, era la ditta Cugini, al tempo “Angeli e C.” – che aveva sede non lontano da casa sua, in via Manzoni a Nembro. Alla ditta Frana si cavavano i sassi di calcare con la dinamite, gli operai battimazza poi li spezzavano a colpi di maglio sino a ridurli alla grandezza di un pugno; quindi, gli addetti ai forni li “cuocevano” per produrre la calce in zolle. Un po’ cuocevano anche loro. Un lavoro di fatica dura, costante.
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