5 ANNI DOPO IL COVID – Don Armando, ex parroco di Parre: “Ero al ritiro coi cresimandi, avevo 40 di febbre…l’ossigeno, settimane tra la vita e la morte…quando sono tornato, ho messo il cappello di Alpino e sono andato a portare la comunione agli ammalati…”

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Don Armando Carminati si racconta cinque anni dopo il Covid.

di Luca Mariani

È il 2020. È la fine di febbraio. Sono i giorni del carnevale e don Armando Carminati è impegnato con le attività sacre e i festeggiamenti in maschera: «La domenica ero a Lovere per il ritiro dei cresimandi. Non mi sentivo bene infatti quando sono arrivato a casa ho provato la febbre e ne avevo 40. Quel giorno ai volontari dell’oratorio ho detto di fare lo stesso la festa anche se già c’era la paura per il coronavirus.» Dopo un paio di giorni l’allora parroco di Parre sembra guarito. È martedì e la febbre non c’è più. Ma è solo una breve parentesi: «Come di colpo era sparita, è poi riapparsa. Giovedì mattina avevo tra i 37 e i 38. Lì mi sono preoccupato, perché in quei giorni era esploso il tema del contagio di covid-19. Ho chiamato il mio medico e lui si è allarmato, anche perché avevo difficoltà a respirare: avevo la saturazione sugli 80.»

Così, sabato 29 febbraio, don Armando, ascolta i consigli del suo dottore, Leonello Mazzoleni, e chiama il 118. Sono giorni complicati per il personale sanitario e le ambulanze. Il personale è poco e c’è troppo bisogno. Infatti nella canonica parrese i crocerossini arrivano un paio d’ore dopo la chiamata: «Sono venuti in stanza e mi hanno detto: “Don, noi dovremmo portarti via perché i dati ci sono tutti, però non sappiamo dove vai a finire e se ne esci, perché stiamo assistendo a di tutto e di più.” In quei giorni anche mio fratello don Luigi era in ospedale, cosciente e con il casco per l’ossigeno. Era nei corridoi e vedeva ogni momento gente arrivare e poi morire. Lui era in mezzo ai cadaveri. Quando lo chiamavo era scioccato e piangeva. Allora ho detto: “io firmo e resto qua.”»

Intanto a Parre come in tutti gli altri comuni della val Seriana la tragedia cresce in maniera impensabile e spaventosa: «Continuava a morirmi la gente. Alla fine ne sono morti più di trenta. Suonavo le campane, ma poi ho detto al sacrestano di smettere, perché era un casino.»

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